C’è una terra di mezzo in cui si incontrano e si riconoscono tra loro solo i figli feriti. Spesso capita alla soglia dei trent’anni, quando iniziano a far pace con l’infanzia ma accettano che farà parte anche del futuro. Che se la porteranno dietro come un moncherino da nascondere in tasca, a volte, ma altre da accarezzare allo specchio come una medaglia al merito: “Per aver imparato a stare al mondo con fiducia, sacrificio e dedizione, nonostante le premesse fossero pessime”.
In questa terra di mezzo incontro e riconosco Giancarlo Commare. Siciliano d’origine e romano d’adozione, cresciuto con la madre e la sorella, ex ballerino esordiente in teatro. Per tutti, oggi: l’Edoardo Incanti di SKAM Italia, poi Rocco del Paradiso delle signore e Antonio in Maschile singolare. E ora Gabriele, new entry di Ancora più bello (sequel di Sul più bello in cui è co-protagonista insieme a Ludovica Francesconi, dal 16 settembre al cinema distribuito da Eagle Pictures). Ed è interessante – ma a pensarci bene fa parte di un disegno inevitabile – che anche nei suoi ruoli Commare torni ad incarnare il ritratto di una nuova mascolinità. Attraente e solida, sì, ma attraversata da una fragilità che smentisce naturalmente il manifesto del vecchio machismo (più o meno romantico). E racconta quello di una generazione che prima ha raccolto un testimone scomodo, e poi ha deciso che di indossare maschere e fingersi invincibile, forse, non ne ha più voglia.
Quindi “sul più bello” arrivi tu: nel secondo capitolo del film il personaggio di Arturo è stato fatto fuori dalla storia senza troppe spiegazioni. Com’è stato subentrare così nello storytelling dopo Giuseppe Maggio?
Non ti nascondo che di ansie e timori ce n’erano parecchi. Non solo il mio personaggio, Gabriele, doveva confrontarsi con il fantasma di Arturo, ma anche Giancarlo doveva confrontarsi con quello di Giuseppe. Il pubblico si è affezionato molto alla storia del primo capitolo del film. Il rischio era di non conquistare l’approvazione.
E invece – colpo di scena – il tuo è un personaggio maschile più interessante e articolato di quello precedente.
Anche a me piace molto, perché non è un personaggio che vediamo spesso rappresentato. Di solito è sempre un principe azzurro, un eroe romantico per eccellenza che risolve tutto e si mostra forte rispetto alla donna. Qui siamo proprio all’opposto. È Marta ad essere più forte di Gabriele. Lui espone tutte le sue fragilità e le insicurezze in modo naturale, senza pregiudizio. Credo sia la sua forza.
Un giovane uomo che preferirebbe rinunciare all’occasione della sua carriera piuttosto che separarsi dalla ragazza che ama: sembra quasi anacronistico nell’epoca del fiero workaholism. A te è mai capitato?
Sì, è vero. E infatti onestamente non so se riuscirei mai a fare una scelta del genere. Non mi sono mai ritrovato a dover scegliere tra lavoro e amore.
Mai?
Mai. Forse perché sono uno che preferisce fare sacrifici per arrivare a ottenere il futuro che lo farà stare bene. Gabriele invece si presenta così, e tanto di cappello, ma perché lui viene da una famiglia che voi ancora non conoscete e che scoprirete nel terzo film (Sempre più bello, che uscirà nel 2022, nda).
Perché tu rimani, nel terzo film.
Sì, rimango. E vedrete la famiglia di Gabriele, che è piena d’amore, con un senso di comunione che lo nutre fin da quando è piccolo. Come essere umano è educato ad amare e a prendersi cura dell’altro, a maggior ragione quando incontra Marta, che lo sorprende su ogni fronte. Lui farebbe di tutto per lei: anche se incapperà in alcuni errori, ne è veramente innamorato.
C’è un momento nel film in cui Marta ti offende involontariamente, paragonandoti a Tommaso (il rider attraente su cui si gioca il triangolo amoroso, nda). Dice: “Lui non guarderebbe mai una come me”. Mentre tu sei lì e la guardi eccome, ci stai pure insieme. E accusi il colpo…
Brava che l’hai notato. Sai cosa? Io ho avuto la fortuna nella vita, che ovviamente in una prima fase non ho vissuto come una fortuna, di essere cresciuto solo con mia madre e mia sorella. Mia madre è stata una guida sempre al mio fianco, a tirarci su entrambi. Questa sensibilità che oggi mi ritrovo me l’ha trasferita lei. Io mi rispecchio più in questo tipo di uomo, uno come Gabriele, piuttosto che in chi vuole sentirsi uomo sovrastando gli altri. Credo che una delle cose più belle sia proprio mostrare certe fragilità. Anche perché chi fa il macho alla fine c’ha paura. Non voglio complimentarmi con me stesso, ma sento di essere abbastanza intelligente da questo punto di vista. Non mi interessa indossare maschere.
Io credo che questo torni anche nella tua filmografia. Da SKAM Italia a Maschile singolare, e adesso con Ancora più bello, sembra un po’ che tu stia incarnando l’evoluzione dell’eroe romantico anni Duemila, dello Scamarcio dei primi tempi…
Può essere, sì, che stia capitando un po’ per caso e un po’ per scelta. Il fatto è che io vorrei fare questo lavoro nell’ottica di creare un dono. Costruirlo e confezionarlo per metterlo nelle mani degli altri. Ed è importante poter raccontare qualcosa di sensato. È fighissimo andare a fare red carpet ed essere fermato per strada, ma quando ricevo messaggi da parte di fan che mi ringraziano per una scena o per un film, quella è un’altra storia.
Tiro a indovinare: è capitato soprattutto con Maschile singolare?
Esatto. In particolare mi ha scritto un ragazzo che, dopo aver visto il film insieme ai genitori, è riuscito a liberarsi dalla sua paura di confessare chi fosse realmente. E pensa che la reazione dei genitori in realtà è stata di totale accoglienza. Se in qualche modo ho contribuito a questo cambiamento nella sua vita, capisci quanto posso esserne felice?
Un film romantico sull’accettazione dell’omosessualità oggi: basta un passo falso per essere tacciati, al contrario, di non inclusività o di strumentalizzazione. Avevi valutato i rischi prima di accettare il ruolo?
Forse non ci ho pensato più di tanto. Per me era tutto così naturale, come dovrebbe essere. Perché averne timore?
Perché da grandi poteri…
Spider-Man, giusto? Forse avvertivo più il peso di essere al centro della narrazione, e quindi di dovere rappresentare al meglio quel personaggio, nei minimi dettagli. Forse la paura era di scadere nel cliché, di non creare immedesimazione, di non rendere giustizia a certe persone. Ma in fondo, dopotutto, era “solo” una storia d’amore.
Con parecchie scene di sesso, girate così bene da farlo sembrare facile. Invece qual è stato l’approccio sul set per ottenere quel risultato?
Prima di affrontare quel tipo di scene ci hanno detto che non volevano fossero volgari. Quindi la sfida era quella di essere naturali senza scadere nella volgarità. Penso a quando abbiamo girato la scena in panificio, con Gianmarco Saurino. In realtà avrebbe dovuto durare decisamente meno rispetto a quello che avete visto nel film. Ma per l’ultimo ciak i registi hanno provato a darci lo stop molto più tardi, quindi noi abbiamo continuato a improvvisare a oltranza, finché non ci hanno bloccati. In tempo per una battuta rappresentativa di Saurino: “Non mi restava che abbassarmi le mutande per andare avanti”.
Ok, ti dico solo una parola: SKAM.
Pensa che io all’inizio non avevo proprio idea di quello che stavamo facendo! Ho scoperto SKAM quando ho fatto il provino, ma so che cercavano il mio personaggio da mesi, e io mi sono ritrovato a fare il callback cinque giorni prima di iniziare le riprese. Ci sono capitato dentro. Poi ho realizzato davvero durante il lockdown, quando SKAM è arrivato su Netflix. Ho notato un incremento di fan e di attenzione incredibile. Quando abbiamo ripreso ad uscire di casa, la folla di gente che si presentava a salutarci o chiedere foto era cresciuta radicalmente.
Toglimi una curiosità: da spettatore qual è la tua stagione preferita, e perché?
La quarta. Perché io amo Beatrice Bruschi. È fortissima. E poi perché penso che la stagione di Sana sia veramente qualcosa di rivoluzionario rispetto a tutto quello che avevamo visto fino a quel momento. In primis è una qualità di SKAM, come format. Ma ancor di più lo ha fatto la quarta stagione, ambientata in Italia e raccontata in quel modo. Anche a me ha permesso di conoscere una realtà di cui ero all’oscuro, e che ora apprezzo. SKAM ha dato voce a tanti giovani che non si sentivano rappresentati, semplicemente perché siamo abituati a vedere prodotti per i giovani ma filtrati da uno sguardo adulto.
A Venezia 78 hai appena vinto il premio Next Generation di Manintown come migliore attore rivelazione. E hai fatto un red carpet con le unghie laccate di nero.
Hai visto? Non la mostro mai, ma quest’anima rock mi appartiene. E infatti ho scelto di tirarla fuori lì, a Venezia, che per me è stato un po’ un appuntamento con la vita.
Spiegami.
Ti riassumo Venezia per me. Ho vissuto molte emozioni che non dimenticherò, ma l’attimo prima di fare quel passo sul tappeto rosso è successo qualcosa di diverso. Hai presente quando nei film arrivi alle scene finali, il protagonista sta per morire e gli passa tutta la vita davanti? Ecco, a me è successa la stessa cosa. Ho rivisto insieme da dove venivo, i sacrifici che ho fatto per arrivare fin qui, un passato che non è stato facile, la mia situazione economica, l’impossibilità di viaggiare come avrei voluto. Avevo tutto davanti agli occhi, e poi ecco il tappeto rosso. Ho pensato: “Gian, vai. Te lo meriti”. E questa cosa io non me la sono mai detta nella vita. Finora mi sembrava tutto dovuto, scontato, normale.
Ti sembrava normale essere diventato un attore?
No, mi sembrava normale che fosse stato tutto così difficile. Ma in quel momento mi sono apprezzato davvero.
Come nella scena finale di un film, giusto. C’era un’immagine più forte delle altre, mentre ti dicevi “me lo merito”?
Te la dico, perché in questo momento della mia vita sento di dover dire tutto quello che sento. Poi scegli che farne. L’immagine più forte che avevo di fronte agli occhi era quella di mio padre. Perché non ho un rapporto con lui, e non ho mai ricevuto la sua approvazione.
Perché senti che proprio ora è arrivato il momento di raccontarlo?
Perché forse, ora, in qualche modo mi va bene. Perché anche senza di lui io ho costruito. E per tutti i sacrifici fatti da mia mamma, per farci crescere nel miglior modo possibile, sostenendoci sempre.
I figli feriti diventeranno i genitori che avrebbero voluto avere. Che ne pensi?
Che proprio qualche giorno fa una persona mi ha detto: “Sei pronto per essere papà”. Io ce l’ho il sogno di avere un figlio mio, quando arriverà il momento. E poter in qualche modo, tramite lui, rivivere l’infanzia che non ho vissuto.