In molti lo conoscono per il personaggio Jonny Groove (quello di «Essiamonoi, Essiamoi») di Zelig o per le imitazioni di Marco Mengoni, Gianluca Vacchi e Fabrizio Corona, giusto per citarne alcuni. Giovanni Vernia è, però, anche un conduttore brillante che ha tirato fuori, in questi anni, tutta la sua verve anche in radio e a teatro. Tanto che, se non ci fosse stata la pandemia, avrebbe debuttato con lo show How to become italian. Caso più unico che raro per un comico nostrano. Tutta questa esperienza ha convinto la Rai a puntare su di lui per la conduzione del PrimaFestival, format che, dal 27 febbraio al 6 marzo, anticipa quello che accadrà sul palco dell’Ariston.
Cos’hai pensato quando hai saputo di essere stato scelto come conduttore del PrimaFestival?
La prima cosa che ho detto è stata: chi ha rifiutato?, tanta è la fiducia in me stesso. In realtà mi stavano osservando da un po’, piaceva la gag della primissima demo degli artisti famosi che faccio su RDS con i cantanti. Esce fuori il lato divertente dell’artista. Il mio ruolo al PrimaFestival è proprio quello di tirare fuori la simpatia dei big in gara. In questa chiamata ho capito che c’era un perché.
Il PrimaFestival ha sempre puntato sulla comicità, con esperimenti a volte poco riusciti. Che tipo di impronta darai allo show
Non voglio fare il comico, ma il conduttore ironico, che è una cosa diversa. Non sono lì per sparare battute: sarebbe una cosa inadatta a quel contenitore. Tratteremo qualsiasi cosa abbia un collegamento con l’attualità di Sanremo e con quella che stiamo vivendo, cercando di alleggerire il tutto. Ecco cosa sto cercando di costruire lì dentro.
Valeria Graci e Giovanna Civitillo che ruolo avranno?
Ognuno ha i suoi compiti nella conduzione: Giovanna ha un ruolo più istituzionale, Valeria invece cercherà, come me, la sdrammatizzazione. Sono ruoli complementari, nessuno è relegato a una mansione inferiore. Ci hanno tranquillizzato, bisogna evitare le sgomitate per apparire di più, anche se io sono uno che, quando c’è la competizione, si mette da parte: non mi diverto a gareggiare.
Dite tutti così, non so quanto sia così vero…
Sono sincero. Appena c’è una competizione mi prendo quello che arriva e me lo godo. Comunque non c’è alcun tipo di rivalità, anche perché ognuno ha le sue caratteristiche. Il contenitore è molto veloce e, al suo interno, speriamo che queste caratteristiche si equilibrino, che il telespettatore si diverta e venga traghettato al Festival, che quest’anno promette grandi cose.
Farete tante interviste. Sarete insieme?
Ognuno si occupa di un artista perché i tempi sono molto veloci, ma ci sono momenti in cui interveniamo tutti e tre.
Nel cast c’è Giovanna Civitillo, moglie del direttore artistico e conduttore Amadeus. Ansia da prestazione? Cos’hai pensato quando ti hanno detto che avresti lavorato con lei?
Ho pensato alle polemiche che puntualmente sono arrivate. Visto che non mi interessano le controversie, perché portano via energie al divertimento e non sono proficue a livello di creatività, ci ho messo il mio carico da 90.
Sarebbe a dire?
Se Giovanna Civitillo è raccomandata perché è la moglie di Amadeus, allora dovete indignarvi ancora di più perché io sono l’amante!
A questo punto devi illustrarmi le doti amatorie di Ama.
Gli aneddoti si sprecano. Ti dico solo che, chi di naso abbonda… e la cosa vale anche per il sottoscritto, insomma…
Ah, quindi tiri l’acqua al tuo mulino.
Nel mio caso non è così veritiero, ma per Amadeus sì. (ride)
Il Festival si svolge in piena pandemia, ci sono molte restrizioni in Liguria e c’è stato pure un caso di positività al Covid-19 nell’orchestra. Come vivi questa situazione?
Non sono preoccupato per niente: la Rai ci ha dato una busta con sei quintali di mascherine, tre tonnellate di gel sanificante e, addirittura, i guanti di lattice. Una fornitura che neanche un chirurgo. Volevo mettere la foto su Instagram scrivendo “outfit di Sanremo 2021”.
Quindi c’è molto rigore.
Ci sono norme di sicurezza veramente molto strette. Anche qui ho visto la polemica, ma è veramente difficile che si espanda il contagio: siamo continuamente con la mascherina, ci disinfettiamo ogni due per tre, veniamo tamponati ogni 48 ore. A me, addirittura, hanno fatto un tampone prima di partire per Sanremo e quando sono arrivato. C’è una grande attenzione su questa cosa. E poi non ci frequentiamo, siamo tutti soli in albergo. Siamo contingentati e ci vediamo solo all’Ariston con le mascherine che togliamo unicamente davanti alla telecamera, ma a distanza.
Però è strano viversi Sanremo senza il caos legato alla manifestazione. Da una parte può essere il festival più visto della storia, dall’altra manca una parte vitale della kermesse…
C’è desolazione, non c’è il folklore. Lo dici a uno che quando vede la gente si sente un rocker che si butta dal palco, mi ci lancio a capofitto. Amo far ridere, è il bello del nostro lavoro. Se uno mi riconosce per strada, quasi divento fastidioso per tutte le battute che gli faccio per farlo divertire.
Quindi il clima non è dei migliori, moralmente parlando.
Un po’ di malinconia c’è, ma non mi condiziona. Anche questa, nel suo genere, è un’esperienza unica. E poi in radio gli ascoltatori ci sono, ma non si vedono. Sul web mi sono dilettato, durante il lockdown, in uno show sul terrazzo condominiale, e le persone non c’erano. Il PrimaFestival è una sfida per fare delle cose in maniera diversa.
Veniamo alla gara. Hai avuto modo di sentire le canzoni?
Non tutte, ma le ho ascoltate dalle tende di velluto che separano il foyer dalla sala. Da grande appassionato di musica mi hanno colpito molti brani. Non ti posso dire i nomi, ma sono giovani.
Ma come non puoi dirmi i nomi?
Il conduttore non può dire chi preferisce.
Allora mettiamola così: quando hai letto i nomi dei big in gara su chi sentivi di puntare o sei stato contento di vedere nella lista?
Ero molto felice di vedere Madame che è in radio con Il mio amico, il brano con il featuring di Fabri Fibra. Mi piace molto il sound di quel pezzo.
Tra l’altro Madame è sulla copertina di Rolling Stone, nel numero celebrativo dedicato a Sanremo.
Con mio grande rammarico, perché volevo esserci io. Poi ti dirò perché.
Ok, dopo mi dirai perché. Ma a parte Madame, chi sei stato contento di vedere tra i Campioni?
Annalisa perché è un’amica, Malika Ayane, che secondo me ha una voce strepitosa e sono ansioso di vedere che farà. Poi Ghemon mi piace anche come personaggio: ha un passato da stand-up comedian.
I bookmaker hanno cambiato le previsioni e, se prima puntavano su Fedez e Francesca Michielin, dopo gli ascolti in anteprima per i giornalisti ora puntano su Colapesce e Dimartino.
Loro sono fortissimi! Hanno fatto un video su Sanremo che adoro. Quando trovo quell’ironia, mi innamoro degli artisti.
Ma che musica ti piace?
Ci sono molti nomi che destano la mia curiosità. Ascolto tanta roba, amo le nuove tendenze e sono innamorato di tha Supreme. Mi fa impazzire, ha un sound incredibile, uno slang tutto suo, ai miei figli ho detto di ascoltarlo. Anche il movimento trap è da seguire e non criticare. Troppo facile giudicare quello che arriva a sorpresa. I dischi di questi artisti, hanno delle produzioni notevoli. Famoso di Sfera Ebbasta ha featuring con Diplo e J Balvin. Mi inchino a questi fenomeni. È un tipo di musica che ascolto moltissimo, anzi, la ascolto troppo. E quando l’ascolto troppo, purtroppo, devo trovare il lato comico della cosa.
E quindi?
Dopo Sanremo lancerò un personaggio nuovo che fa la parodia del mondo trap, è il nuovo Jonny Groove. Lo dico a voi per primi.
Beh, dicci di più a questo punto…
Il suo nome è Three Mone e la prima hit si intitola Stone Hate. Ma ti sto già anticipando troppo. Per lanciarlo voglio la cover di Rolling Stone.
Capito. Cercherò di intercedere col direttore.
Il mio sogno è che succedano cose come in America: quando Sacha Baron Cohen fece Ali G e tutti lo trattavano come fosse un vero rapper, con interviste e programmi tv con grandi capi di Stato. Mi piacerebbe che in Italia si giocasse di più. E perché non farlo con un’intervista a Three Mone?
Non è che, per caso, in Italia non c’è molta ironia? Negli altri Paesi gli attori si prendono in giro. In Francia, con Chiami il mio agente, le star interpretano loro stesse e svelano tic e manie. In Italia qualcosa mi dice che non ci sarebbe la fila per fare una cosa simile…
È il mio pallino, ho fatto un’analisi, ma quello che dici non è solo a livello artistico, ma di popolazione. Noi italiani ci prendiamo sul serio, e si riflette anche sugli artisti. Sto cercando di scardinare questa cosa con i cantanti che mi vengono a trovare.
E ce la fai?
Dipende anche come li prendi, devono fidarsi di te. Non voglio prendere in giro nessuno, ma quando dimostri autoironia, che è una grande forza, si prendono punti. Noi siamo autoironici, ma ci vergogniamo di farlo vedere.
Perché?
Viviamo in funzione del giudizio degli altri e questo è alimentato dai social, dalla nostra vita quotidiana. Prima di mangiare una pizza dobbiamo metterla sui social e vedere cosa ne pensano gli altri, avere il cuoricino, il like. Siamo esasperati di questa cosa.
E all’estero è diverso?
Gli americani, ad esempio, come popolo, sono molto più easy di noi. Sono stato un mese a New York per finalizzare il progetto teatrale How to become italian e ho girato clip con le mie lezioni di italianità agli statunitensi. Fermavo la gente, spiegavo il progetto e accettavano subito. Sembravano attori veri. In Italia è difficilissima questa cosa perché le persone, semplicemente, si vergognano.
Come si diventa il perfetto conduttore di Sanremo?
Trasformandosi in Amadeus.
Risposta paraculissima.
Sarò me stesso. Credo che il pubblico apprezzi la sincerità. Se mi diverto con una cosa nella vita, la porto sul palco con la stessa sincerità. E la gente lo avverte. La mia responsabilità è non snaturare il mio essere. Sarò solo vestito meglio.
Ci saranno imitazioni?
No. Ma non è detto che, parlando, qualche mio demone interiore possa uscire fuori.
Hai avuto pochissime esperienze cinematografiche. Il tuo Ti stimo fratello è stato massacrato. È per questo che non ti abbiamo più visto sul grande schermo? Sei rimasto scottato dal primo film?
È stata una mia scelta. Ti stimo fratello non è stato esaltante dal punto di vista dei giudizi, ma i risultati poi sono arrivati. Avevo accusato il fatto che la critica si fosse scagliata contro il film e li avevo anche capiti.
Ah sì?
Beh arriva questo qui che non aveva mai fatto nulla e si mette a fare il regista… tutte cose che non volevo fare, ma per questioni produttive è finita così, tutto sulle mie spalle. Ho dovuto gestirne le conseguenze negative, però il film è amato dalla gente. Le persone si divertono con quella pellicola.
Pentito di averlo girato?
Non sono rammaricato di averlo fatto, ma è arrivato in un periodo artistico in cui ero molto acerbo. Ho affrontato un film dopo un anno che stavo nel mondo dello spettacolo, con una leggerezza che mi ha fatto finire in una cosa più grande di me. E nonostante tutto sono riuscito a portarmela a casa.
Cos’hai imparato?
Che bisogna crescere, il cinema non va fatto fino a che non c’è una bella storia da raccontare.
E adesso ce l’hai quella storia da raccontare?
Dopo anni di lavoro su me stesso, coltivando canto, ballo, recitazione, leggendo, vedendo film, adesso mi sta venendo fuori una bella storia, l’ho anche scritta e, dopo il PrimaFestival si vedrà. Anche se adesso ce la raccontiamo tra di noi, quella storia…
Beh le sale sono chiuse, è vero, ma ci sono le piattaforme…
Ma il cinema è il cinema, è un’altra cosa.
Nei tuoi viaggi hai visto qualche format che vorresti portare in Italia?
No, noi abbiamo un approccio e un tipo di cultura diversi dagli altri Paesi. Dobbiamo fare la tv che viene dalle nostre teste, non da quella di un giapponese o un coreano che si sono inventati uno show che, siccome funziona lì, deve farlo anche da noi. È una mia battaglia personale: abbiamo tante idee, come italiani siamo tra i popoli più creativi del mondo. Non dobbiamo copiare dagli altri Paesi, ma rubare. Picasso diceva «i bravi artisti copiano, i grandi artisti rubano».
E tu cosa ruberesti?
A New York sono andato a vedere come girano i late night e hanno un livello di professionalità pazzesco. C’è una capacità di messa in scena fantastica. Bisogna rubare la loro professionalità, il loro modo di pensare in grande, ma la competenza deve essere la nostra. Si importano solo idee estere, un approccio che prima o poi avrà un declino. E già si vedono i segnali.
Sì eh?
Il mio più grande riferimento tv, Renzo Arbore, non ha importato Indietro tutta e Quelli della notte dalla Francia o dalla Germania. E non è che non funzionassero. La creatività va incoraggiata. Invece, quando era di moda il Carpool Karaoke, tutti andavano in macchina e hanno fatto programmi che sono andati male perché non reggevano il paragone con gli americani che hanno autori fortissimi a scrivere le gag. E in auto avevano artisti come Lady Gaga, conduttori del calibro di James Corden o Jimmy Fallon. Qui bisogna adattarsi, ma rubare quelle caratteristiche.
Un esempio?
Ho fatto l’Extreme Karaoke, sulle montagne russe, con Anna Foglietta che non era mai salita su quel tipo di attrazione. È un modo per rubare dall’estero, ma fare cose più centrate su di noi.