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Hashtag, MTV e Pirelloni: Alessandro Cattelan show

Con “E poi c'è Cattelan” ha sfatato il mito per cui i late show da noi non funzionano. Ci racconta come è cambiata la tv dai tempi di VIVA all'arrivo di Twitter
Alessandro Cattelan negli studi di #EPCC con gli Street Clerks. Foto di Carlo Furgeri Gilbert

C’era una volta David Letterman, lo stand-up comedian di riferimento del “Late Show”. Poi è arrivato Jimmy Fallon, presentatore del late show più divertito della tv americana. Poi c’è Stephen Colbert, che ha preso il posto di Letterman, portando l’attualità dentro al format. E poi c’è Alessandro Cattelan.
Il late show di Sky Uno, E poi c’è Cattelan, è arrivato alla terza stagione. Cattelan usa il modello “intervista e gag” di Jimmy Fallon e ha la stessa atmosfera divertita della controparte americana, in cui il presentatore è un facilitatore, un ospite che per prima cosa ti dice: «Fai come se fossi a casa tua», allungandoti un paio di pantofole. Questo è quello che si vede in onda e dietro le quinte: quando andiamo a trovarlo ci sono ospiti Verdone, che improvvisa con gli strumenti degli Street Clerks (sì, Cattelan ha anche la sua band, come “quelli veri”), e Antonio Albanese, che manda baci come Epifanio. Parliamo a fine registrazione della puntata, partendo dal programma in cui è nato il personaggio di Albanese.

Guardavi Mai Dire Gol?
Assolutamente, era il mio programma preferito. D’estate leggevo tutti i giorni la pagina degli spettacoli, perché c’era sempre la minaccia che non lo rinnovassero. Ero fanatico. Ho ancora una videocassetta con la mia puntata preferita, presentata da Frassica. L’ho imparata a memoria, “il signor signora o signorina Maddalena Torino-Napoli”. Quello è stato il programma italiano più simile al Saturday Night Live.

Invece il tuo programma gira intorno a te. Come funziona il lavoro con gli autori?
Ho una squadra di autori eccezionale, il meglio che c’è in giro, però è un programma in cui ci metto direttamente la faccia, quindi il timbro finale su quello che va in onda lo metto io. Ragiono in maniera differente rispetto ad altri programmi di questo genere, non faccio interviste per curiosità mie, o perché attraverso la mia domanda devo sembrare intelligente.

Quindi tra Fallon e Fazio, il modello è…
Beh, Fallon, il modello è assolutamente il late show americano.

Alessandro Cattelan nello studio di #EPCC. Foto di Carlo Furgeri Gilbert

Nella prima stagione, tu e l’intervistato eravate seduti su delle poltroncine, nella seconda è arrivata la scrivania.
È stata una grande conquista. Io la volevo da subito. Il late show è un format, in America ce ne sono anche tre contemporaneamente, tutti uguali, cambia solo il conduttore, ma in tutti ci sono gli stessi elementi. La scrivania fa parte della grammatica del programma. All’inizio c’era un po’ di titubanza, dicevano che qui i late show non hanno mai funzionato molto. Però stavamo facendo quello, non volevo nascondermi dietro a un dito. Visto che la prima stagione è andata bene, ho potuto chiedere una scrivania. Nella terza abbiamo il pubblico davanti, come a teatro. Bisogna guadagnarsi tutto.

Il format negli Stati Uniti è sempre condotto da stand-up comedian, come Letterman e Jon Stewart, o da attori comici, come Colbert o Fallon. Tu che hai fatto un percorso da presentatore, ti sei dovuto preparare in un modo particolare?
Questo è il tipo di programma che ho sempre guardato e che avrei sempre voluto fare. È quello che facevo insieme ai miei amici da ragazzo: in tv facevo il presentatore, a casa facevo lo stupido. Ora finalmente posso farlo in tv (ride). È un bagaglio che avevo già, in attesa di poterlo usare per lavoro.

Come nello show di Jimmy Fallon, anche tu coinvolgi gli ospiti in sketch comici. Sono sempre disponibili?
Alla fine accettano tutti, perché diamo loro un ventaglio di idee e una che va bene la si trova sempre. Capita più spesso che gli ospiti accettino un’idea e sia poi l’entourage a dire: «Meglio di no, che ti fai male». Con i calciatori spesso è complicato, perché, se anche si rompono solo un’unghia, provochi un buco di milioni di euro (ride). Una volta abbiamo fatto la corsa con i go-kart con i Negramaro: loro si divertivano, mentre la discografica era nel panico perché dovevano partire per il tour.

Come ti senti nel ruolo di intervistatore alla scrivania?
È il primo lavoro che ho fatto quando sono arrivato in tv, a VIVA. Mi ricordo che ho iniziato il 15 aprile, l’1 maggio ho fatto la mia prima diretta con ospiti i Gazosa, e andava in onda anche un’intervista registrata qualche giorno prima a Damon Albarn per i Gorillaz. Quella è stata la mia prima intervista. Poi le ho provate tutte, sia le interviste “di mestiere”, di cui non ti frega niente, sia quelle che sto facendo a EPCC, che sento di più.

Alessandro Cattelan. Foto di Carlo Furgeri Gilbert

Com’è stato entrare nello show business a 19 anni?
Bello: ti pagavano, potevi andare via di casa… VIVA era l’MTV sfigata, e io facevo l’unico programma in diretta con l’obbligo di avere ospiti. Eravamo i competitor di TRL, dove andavano i R.E.M., o gli Oasis. Noi invece nel 99% dei casi avevamo delle porcherie, però una volta riuscivamo ad avere Shakira, che ai tempi non era abbastanza famosa per MTV. Ho intervistato due volte Amy Winehouse per il primo album, pre-Rehab. Insomma, qualche chicca la tiravi fuori.

Hai mai pensato di dedicare una parte del programma a musicisti emergenti?
Mi piacerebbe, ma la musica in tv non funziona. A X Factor potevi avere l’ospite più figo del mondo, ma l’esibizione era il momento in cui la gente cambiava canale. Se mettessimo in coda al programma le esibizioni, avremmo tre minuti in cui la gente cambia canale, e per un format breve come il nostro sarebbe un suicidio.

Hai iniziato a fare tv in un momento in cui i social non esistevano, ora ogni programma deve avere il suo hashtag. Quanto è cambiato il rapporto con il pubblico tra prima e dopo?
Un po’, e non necessariamente in meglio. I social non possono e non devono influenzare niente. Spesso senti dire: “Sono arrivati 10mila tweet” senza che venga nemmeno specificato se negativi o positivi. È bello che ci sia Twitter, è interessante, anche se io lo uso poco per veicolare opinioni. Me ne è scappata una per il Pirellone (quando la sede della Regione Lombardia ha illuminato alcune finestre a comporre la scritta “Family Day”, Cattelan ha twittato: “Quel concetto scritto sul Pirellone è gratuito, arrogante e fa anche un po’ tenerezza per quanto fuori dal tempo”, ndr), ma era da qualcosa come due anni che non scrivevo un’opinione personale su Twitter. Dieci minuti dopo mi sono ricordato perché non lo facevo più…

La verità è che prima di X Factor non mi cagava nessuno. Dopo mi hanno chiamato tutti. Però casa è questa qui

Com’è stato recepito?
In generale molto bene, però poi ti concentri su quei due che l’hanno preso male e ti chiedi come possano alcune persone ragionare ancora in certi modi.

Però il tuo percepito online è ottimo. Non ho trovato tweet negativi né su di te, né sul programma.
Io ero pronto al peggio, invece ogni volta che va in onda una puntata arrivano tweet quasi totalmente positivi. Forse sto sbagliando qualcosa (ride), manco in qualcosa.

Parleresti di attualità nel programma?
Sì, ma è complesso. Andando in onda una volta a settimana, possiamo parlare solo di quello che è successo proprio il giorno prima. Per dire, se è successo qualcosa di lunedì, parlarne di giovedì è tardi, nel frattempo tutti hanno già detto tutto.

E inviteresti mai un politico?
Il problema, con i politici, è che ti sfruttano, vengono a fare il loro comizio. Un attore o un musicista puoi arginarli quando parlano del loro film o del disco, con i politici è difficile.

Dopo VIVA, sei stato a MTV poi a Sky, un paio di brevi passaggi in Rai e niente Mediaset. È stato un caso o una scelta?
In parte una scelta, ma la verità è che prima di X Factor non mi cagava nessuno. Dopo mi hanno chiamato tutti, ma io qua sto bene. Finché non ricevo una proposta che mi faccia sentire altrettanto tranquillo, resto a Sky.

Stai facendo il programma che volevi fare, come lo volevi fare. Ti senti arrivato?
Questo tipo di programma è quello che mi dà più soddisfazione. Poi magari sarà divertente provare altro – come fare una vacanza in un posto che magari non ti interessa più di tanto ma ci vai lo stesso e ti piace. Però casa è questa qui.

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