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Il ‘Blitz’ nel cinema di Benjamin Clementine è destinato a durare

Il cantautore inglese è stato chiamato dal regista premio Oscar Steve McQueen per il suo ultimo film. Una storia di guerra che è un’educazione all’amore e alla protezione fra gli esseri umani. E che ricorda la biografia dello stesso artista. Lo abbiamo incontrato

Foto: Apple TV+

Di cantanti prestati al cinema ne abbiamo visti tanti. Art Garfunkel è stato protagonista di uno dei film simbolo della New Hollywood, Conoscenza carnale di Mike Nichols, recitando al fianco di Jack Nicholson. E il suo “socio” Paul Simon avrebbe poi avuto un piccolo ruolo in Io e Annie di Woody Allen pochi anni dopo, sempre nei 70s. Fugace fu l’incursione di Norah Jones per Wong Kar-wai in Un bacio romantico – My Blueberry Nights, mentre Lady Gaga sembra proprio volere seguire le orme di Judy Garland e Barbra Streisand. Perfino Phil Collins è stato protagonista di un film, Buster, tratto dalla vera storia di uno dei protagonisti della “Grande rapina al treno” del 1963 in Gran Bretagna. Potrei continuare a lungo a snocciolare nomi, ma indubbiamente la presenza di Benjamin Clementine nel cast di Blitz, ultimo film di Steve McQueen – regista, ma ancora di più artista, premio Oscar per 12 anni schiavo, vera e propria istituzione culturale vivente britannica, anche se da tempo si è trasferito in Olanda – ha un che di particolare.

McQueen e Clementine erano evidentemente destinati a incontrarsi. Entrambi nati e cresciuti in due zone non semplici di Londra, il primo a Ealing, che negli anni Settanta e Ottanta non era proprio Monte Carlo, il secondo a Edmonton, che non lo è neanche oggi, hanno cercato entrambi la loro strada nell’arte. Ma il peregrinare di McQueen è stato in qualche modo agevole, supportato anche dalla famiglia, mentre Benjamin ha vissuto esperienze da artista di fine Ottocento, lasciando Londra per Parigi, vivendo per strada, guadagnandosi da vivere suonando nelle piazze, venendo scoperto per caso solo grazie al suo talento speciale e al suo stile, fatto di sonorità tra le più diverse che si intrecciano e che accompagnano testi pieni di speranza ma al tempo stesso dolorosi. Ne ha viste tante prima di arrivare al successo e a una vita tranquilla, quella che ora lo vede padre, marito e anche attore.

Dopo un piccolo ruolo in Dune di Villeneuve, lo ha voluto Steve McQueen in Blitz, dove interpreta un personaggio realmente esistito e diventato simbolo della resilienza londinese durante i bombardamenti nazisti sulla città. Ita Ekpenyong era un immigrato nigeriano arrivato a Londra negli anni Trenta con il sogno di studiare legge. Dopo essersi guadagnato da vivere recitando in alcuni film, quando sono iniziate le incursioni nei cieli britannici, non potendosi arruolare perché già troppo vecchio, si offrì per l’ARP, ovvero l’Air Raid Precautions, il corpo di volontari che vigilava sull’incolumità dei cittadini durante i bombardamenti, guidandoli nei rifugi e controllando che tutto si svolgesse con rispetto e civiltà durante quei drammatici momenti. In uno di questi, Ita, unico uomo di colore a far parte del corpo, fu protagonista di un episodio diventato poi uno degli eventi simbolo di quei mesi, quando convinse gli inglesi occupanti di un rifugio ad accogliere un gruppo di stranieri immigrati rimasti fuori sotto le bombe.

Steve McQueen ha riscritto e drammatizzato quel momento e lo ha regalato a Benjamin, che non a caso questa sua nuova carriera d’attore la sta continuando diretto da un altro artista, Julian Schnabel, che lo ha voluto per il suo nuovo film, In the Hand of Dante, il cui cast vede anche, in ordine sparso, Al Pacino, Jason Momoa, Gal Gadot, Oscar Isaac (che fa Dante), Fortunato Cerlino, Sabrina Impacciatore e più o meno chiunque sia passato nelle vicinanze di Schnabel negli ultimi anni.

Benjamin Clementine lo abbiamo invece incontrato proprio per parlarci della sua esperienza con McQueen in Blitz, film che, dopo avere aperto in anteprima mondiale l’ultimo BFI London Film Festival ed essere passato alla Festa del cinema di Roma, è atterrato sulla piattaforma streaming Apple TV+ dal 22 novembre. Blitz racconta la storia del piccolo George, nato da una relazione mista nella Londra degli anni Trenta, che viene mandato dalla madre, interpretata da Saoirse Ronan, a sfollare in campagna, come si usava fare con i bambini durante i raid. Ma George scappa e intraprende un viaggio di ritorno avventuroso per riabbracciare la madre, durante il quale incontra Ita, interpretato da Clementine.

Benjamin, il tuo è uno dei pochi personaggi di Blitz realmente esistiti. Come ti ci sei approcciato e com’è stato lavorare con Steve McQueen?
È stata una combinazione di cose. Ho letto il più possibile su Ita Ekpenyong, su cui ci sono in realtà pochissime informazioni. Ma il più lo ha fatto Steve, un grande regista: la sua sceneggiatura mi è sembrata molto vera e umana, non ho dovuto immaginare nulla, mi sono immedesimato subito nel personaggio e mi sono sentito a casa, mi sono sentito padre e anche figlio, perché il piccolo George assomiglia al me bambino. Tutto aveva un senso.

Uno dei pezzi del tuo primo album s’intitola Winston Churchill’s Boy. C’è qualche collegamento tra il tuo lavoro in Blitz e quella canzone?
Capisco il senso della tua domanda, ma no, non avrei mai pensato neanche in un milione di anni di fare l’attore, o tantomeno di interpretare un ruolo così importante. La vita è regolata dal caso, che si presenta con opportunità e sfide diverse, e quando ti si pongono davanti le devi accettare. Steve McQueen è Steve McQueen. Sono felice che sia venuto da me a chiedermi di far parte di questo film che tocca l’essenza della Storia britannica.

Blitz parla di lotta umana e sopravvivenza, che sono temi ricorrenti nella tua musica.
Non sono il regista del film. Forse Steve ha ascoltato la mia musica e ha pensato a me. Ita era un uomo che dispensava protezione e amore, e credo davvero che per vivere una vita felice si abbia bisogno di protezione, amore e pace. Il messaggio di Blitz è molto importante, dobbiamo ricordarci di non ripetere gli stessi errori.

Steve ti ha riservato una dei momenti più emozionanti del film, basato oltretutto su un evento realmente accaduto a Ita Ekpenyong, ovvero un monologo sui pericoli della segregazione. Come ti sei sentito quando hai girato quella scena?
Ho sentito che erano parole vere e fondamentali. Ho provato a immaginarmi in quella situazione, in quel rifugio, di fronte a centinaia di persone di etnia e religione diverse, senza sapere come potranno reagire di fronte a ciò che stai dicendo. Sono stato fortunato ad avere l’opportunità di potere trasmettere questo messaggio potente a un pubblico così vasto. Lo scopo della nostra presenza in questo mondo è educarci e trovare un equilibrio per proteggerci a vicenda e prenderci cura l’uno dell’altro.

Benjamin Clementine con il piccolo Elliott Heffernan in una scena del film. Foto: Apple TV+

Steve McQueen mi ha detto che questo film parla del mondo in guerra oggi, ma pensa che Blitz sia un film ottimista e che le cose potranno essere diverse. Sei d’accordo con lui?
Non sono un ottimista, ma non fraintendermi. È un po’ come per quelle persone che dicono di non credere in Dio: già affermarlo rende tangibile la sua esistenza. Il mio pessimismo è in realtà un desiderio del contrario. Ed essendo come tutti gli esseri umani un combattente, affronto i pericoli che incontriamo nel corso della vita. Se l’homo sapiens è ancora sulla Terra non è per la sua intelligenza o la sua forza, ma per la sua naturale tendenza all’empatia. Se si ha a cuore la società, la collettività, si sopravvive.

Essere un musicista significa anche essere un performer sul palco. È lo stesso muscolo della recitazione?
In parte. Ma in termini di esperienza è diverso, perché sto imparando da poco. Mi piace incontrare persone che stimolino il mio istinto e il mio cervello a fare qualcosa a cui non avrei mai pensato. Steve McQueen è una di queste persone. Mi è piaciuto questo processo.

In Blitz c’è un altro grande musicista, Paul Weller. Non avete avuto modo di lavorare insieme sul set, ma ho chiesto a Steve se in un certo senso Blitz non sia un musical. Hai percepito questo tipo di energia mentre eri sul set?
Assolutamente, è stato come se Steve stesse suonando e la gente intorno a lui cantasse. Sai, nel settembre del 1940 i londinesi non credevano che sarebbero stati bombardati, quindi per le prime due settimane e poi i primi mesi hanno vissuto la loro vita, sono andati nei loro pub e hanno fatto quello che facevano sempre, finché non hanno accettato la tragica realtà. Steve voleva mostrarci questa normalità che è stata loro portata via. È così che mi sono sentito guardandolo. La musica è il linguaggio più sacro, non può essere messa in discussione, giudicata. È come Dio. La scena del bombardamento del Café de Paris con le note che scorrono e le persone che ballano sta a significare che non si può distruggere ciò che non può essere distrutto. Questo è ciò che Steve ha voluto raccontare con Blitz.

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