Il Diavolo e Miss Angelina Jolie: la storica intervista di Rolling Stone | Rolling Stone Italia
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Il Diavolo e Miss Angelina Jolie: la storica intervista di Rolling Stone

Dopo il boom con ‘Gia’ e ‘Scherzi del cuore’ e prima dell’Oscar per ‘Ragazze interrotte’, l’attrice «con cui tutti e tutte vogliono fare l’amore» (così la definisce RS all’epoca) racconta i suoi lati oscuri, sfata certe leggende “maledette” sul suo conto e si prepara a diventare la più grande star di Hollywood

Il Diavolo e Miss Angelina Jolie: la storica intervista di Rolling Stone

Angelina Jolie al National Board of Review Awards Gala nel 1998

Foto: Evan Agostini/Getty Images

Questo articolo è stato pubblicato su Rolling Stone US il 19 agosto 1999.

Angelina Jolie è nell’ingresso del suo appartamento a New York e sta facendo quello che ormai è diventato il “tour” obbligatorio dei suoi tatuaggi. «Ok», dice, alzandosi in piedi e mostrando il braccio sinistro. «Questo è il mio drago, in alto a sinistra». Poi mostra l’interno del polso: «Qui c’è una H. Ci sono due persone nella mia vita che hanno [il nome che inizia con] questa lettera, due persone a cui sono molto legata, a cui tengo molto. E questo è il più recente. L’ho fatto con mia madre, nel senso che quel giorno mi ha accompagnata. È una citazione di Tennessee Williams: “Una preghiera per i cuori selvaggi, che vengono tenuti prigionieri”».

Si guarda l’avambraccio sinistro e fa un sorriso da santarellina. «Questa invece è la mia croce», continua, tirando giù la cintura dei pantaloni neri per rivelare il fianco sottile «e questo» – indica un motto latino che le attraversa la pancia appena sopra la linea degli slip – «significa “Ciò che mi nutre mi distrugge”. E questo» – si gira, tirando su l’orlo della maglietta nera per mostrare un piccolo rettangolo blu sulla schiena – «è l’unico tatuaggio colorato che ho. Lo farò diventare nero, è una specie di finestra». Una finestra sulla sua spina dorsale? «No», risponde, «è perché ovunque io sia, mi ritrovo sempre a guardare fuori dalla finestra, a voler essere altrove». Sorride di nuovo, ma è un sorriso un po’ più folle: tra la smorfia e l’estasi religiosa.

Le suggerisco che la gabbia e la finestra potrebbero essere collegate a qualcosa che aveva detto quando ci siamo incontrati per la prima volta, qualche anno fa, a proposito del suo interesse per le prigioni in generale e le rivolte di Attica (una sommossa carceraria scoppiata nel penitenziario statunitense di Attica, nello Stato di New York, il 9 settembre 1971, dettata dalla richiesta dei carcerati di ottenere diritti politici e migliori condizioni di detenzione, ndt) in particolare. (Tra tutte le donne di oggi, Angelina è quella che più probabilmente ha in borsa un ritaglio del New York Times sulle condizioni dei penitenziari.)

«Forse è così», commenta lei, sedendosi di nuovo su uno dei due grandi divani di pelle nera. «Mia madre mi ha chiesto se la preghiera per i cuori selvaggi fosse per me o se fosse relativa a qualcosa che mi aveva addolorata nel corso della mia vita. Diciamo che è per tutti quelli che conosco. Non credo di conoscere una persona che possa essere completamente sé stessa ogni secondo della sua vita, che si senta completamente libera. È una sorta di preghiera perché tutti possano trovare la propria felicità, la loro possibilità di evasione. Tennessee Williams scrive anche che un uccello o un animale si sente a proprio agio nella gabbia in cui è cresciuto: stare in quella gabbia rappresenta la sicurezza, ma anche la reclusione. Tutto ciò che ci fa sentire a nostro agio è in realtà una gabbia che ci imprigiona».

Accende una sigaretta e si guarda intorno. È pallida come se avesse passato una notte insonne, nei suoi abiti neri, sul suo divano nero, nella luce cupa di una giornata grigia e fredda che filtra dalle tende di velluto grigio.

Negli ultimi mesi Angelina ha lavorato a Los Angeles e, sebbene il suo salotto sia pieno di tutte le cose che un salotto dovrebbe avere – mobili, un pianoforte, un televisore, un lettore CD, un manichino della parte inferiore del busto di una donna che indossa una panciera bianca Playtex degli anni ’50 – ha l’aria di chi non ha impegni. C’è anche una copia della legge di procedura penale dello Stato di New York. «La gente pensa sempre che siccome ho i tatuaggi sono cattiva», continua Angelina, «o che c’è qualcosa di molto oscuro in me, o che penso sempre alla morte. E io invece probabilmente sono, in questo senso, la persona meno morbosa su questa Terra. Ho scoperto che se penso alla morte molto più di altre persone, forse è perché amo la vita più di loro».

Oltre ai tatuaggi, ecco un altro motivo per cui la gente potrebbe pensare che Angelina abbia qualcosa di oscuro: c’è una piccola targa vicino al lavandino del suo bagno che dice: “Certi giorni non vale la pena di masticare le cinghie di cuoio al mattino”.

Di solito sembra una perdita di tempo, quando si scrive di attori dall’aspetto irresistibile come Angelina, dedicare molto tempo alla descrizione del loro aspetto, sicuramente l’unica cosa con cui chiunque abbia visto i loro film ha già familiarità. E anche se così non fosse, ci saranno sicuramente delle foto nella pagina vicina. Ma va detto che, pur non facendo leva sul suo aspetto, come attrice o come persona, Angelina è eccezionalmente bella, anche tra le “belle di professione”. Non solo perché ha le proporzioni improbabili – occhi enormi, naso piccolo, orecchie da elfo, gambe lunghe, fianchi inesistenti, seno alto – di un personaggio di animazione giapponese. È che, fisicamente, ha una piccola increspatura di energia, come una pulsazione, che si percepisce anche quando è seduta.

F. Scott Fitzgerald presenta un personaggio del Grande Gatsby come dotato di “una vitalità subito percepibile, come se i muscoli le vibrassero di continuo sotto la pelle”, e questa descrizione vale doppio per Angelina. Quando parla, si sente l’eco di uno strascico alla Mae West, e questo la fa sembrare come se le sue batterie fossero appena state ricaricate. O forse da ricaricare. In ogni caso, è molto sexy. Sembra appropriato che uno dei suoi zii, Chip Taylor, abbia scritto Wild Thing: con i suoi occhi enormi e le sue dita lunghe, ha spesso l’aspetto di un animale notturno un po’ spaventato, appena destato da un’orgia nella foresta pluviale.

Tutti quelli che conosco, uomini e donne, quando hanno saputo che avrei scritto di Angelina Jolie hanno espresso il desiderio di fare l’amore con lei. Uno mi ha mandato per e-mail una poesia romantica:

Eyeliner?
Non hai bisogno di un fetido eyeliner.
Quegli occhi sono già abbastanza scuri,
scuri,
cupi,
che portano con sé molto mistero e molto dolore.
E piaceri indicibili che potremmo anche passare una vita intera a cercare di articolare.
Oh, quegli occhi.
E anche le labbra, ho già parlato delle tue labbra?

Inoltre, mentre molti “figli di” (Angelina, che usa il suo secondo nome, Jolie, come “cognome d’arte”, è la figlia dell’attore Jon Voight) potrebbero ancora, a vent’anni, lottare per emergere dall’ombra del mito dei genitori, Angelina, quasi dall’inizio della sua carriera, si è buttata a capofitto sotto i riflettori e ha iniziato a parlare di cose che altre persone trovano, be’, oscure. Colleziona coltelli e ha dichiarato di usarli nei suoi giochi sessuali. Quando ha sposato l’attore Jonny Lee Miller (noto soprattutto per il ruolo di Sick Boy in Trainspotting), con cui ha recitato nel suo primo film, il cyber-thriller Hackers del 1995, e da cui si è “cordialmente” separata l’anno scorso, ha indossato pantaloni di latex neri e una camicia bianca con il nome dello sposo scritto con il suo sangue.

È apertamente bisessuale. L’interpretazione a cui è maggiormente associata è quella del personaggio del titolo nel film biografico HBO del 1998, Gia, in cui interpreta una top model lesbica eroinomane che muore di AIDS. Una volta ha detto a un intervistatore che aveva osservato che lei è l’attrice con cui la maggior parte delle donne etero vuole fare sesso, e che lei era l’attrice più propensa a fare sesso con loro.

Tuttavia, bisogna riconoscere la logica dell’argomentazione di Angelina a proposito del suo amore per la vita piuttosto che per la morte. Queste cose possono far alzare il sopracciglio, ma sono segni di un temperamento passionale, non oscuro. Tranne forse i coltelli. Ma quelli li tiene perlopiù in un cassetto.

Angelina è nata a Los Angeles nel 1975, ma dopo la separazione dei suoi genitori, quando aveva due anni, si è trasferita a New York e dintorni con la madre, Marcheline Bertrand, e il fratello maggiore, James Haven Voight. (A entrambi i bambini sono stati dati dei secondi nomi che avrebbero potuto usare come nomi d’arte in caso di necessità; il fratello di Angelina è un aspirante regista.)

Quand’era alla scuola materna, faceva parte di un piccolo gruppo chiamato Kissy Girls. «Rincorrevamo i ragazzi e li baciavamo: alcuni urlavano, altri restavano», ricorda. «Avevo due buoni amici che sono diventati i miei primi fidanzatini, e credo che la scuola abbia chiamato i miei genitori perché eravamo davanti alla scuola a palpeggiarci, e ovviamente questo disturbava gli altri genitori e le persone che passavano di lì. E giocavo a travestirmi: indossavo sempre dei costumi. Avevo questa vestitino da showgirl di velluto nero con i brillantini sul sedere, e adoravo quei tacchi alti di plastica. C’è una foto della mia festa di compleanno dei cinque anni: mi ero arricciata i capelli e avevo messo il rossetto, molto femminile».

La famiglia tornò a Los Angeles quando Angelina aveva undici anni. «Quando abbiamo lasciato New York, mi ero appassionata alla pelle», racconta. «Credo che fosse per Michael Jackson. Indossavo le giacche di pelle con le cerniere, o i colletti con le borchie, e chiedevo sempre se potevo andare a scuola vestita così».

Sebbene Angelina abbia studiato recitazione fin dall’infanzia, a un certo punto voleva diventare un’impresaria di pompe funebri. «Mio nonno è morto quando avevo circa nove anni», racconta, «e io… be’, odiavo i funerali, perché ho sempre pensato che non fossero una celebrazione della vita della persona, e che la morte potesse essere una cosa bellissima e un momento di conforto in cui le persone potessero tendersi la mano. E poi erano un rito. Da piccola non ho mai avuto una casa stabile. Ci siamo sempre spostati, abbiamo vissuto in un sacco di appartamenti diversi, e nessuno ha mai posseduto nulla, quindi non mi sono mai sentita radicata da nessuna parte. Ho sempre sognato di avere una soffitta piena di cose che sarei potuta tornare a guardare. Ora mi sento molto a mio agio a vivere negli hotel, senza possedere questo tipo di cose. Ma credo anche di essere molto attratta da quelle che sono tradizioni, radici, e penso che questo possa essere il motivo per cui sono sempre stata così affascinata dai funerali».

Forse questo desiderio di stabilità è anche il motivo per cui si è sposata a vent’anni?

«Forse sì», concorda. «Ma ha avuto anche molto a che fare con il fatto di volermi impegnare completamente. Non ho fotografie di quand’ero piccola. Non ho nulla che rappresenti il passato, quindi mi impegno molto in cose che probabilmente sono troppo sentimentali, per la maggior parte delle persone. Ad esempio, sposarmi e avere quel tipo di legame significava molto per me». Quindi non è la sgualdrina selvaggia e tatuata che la gente pensa che sia? «Una sgualdrina?», ripete scioccata. «Certo che no! Sai, la gente mi dice sempre: “E se poi ti penti di quei tatuaggi?”. Io penso che ci sono così tante cose di cui pentirsi nella vita che se un giorno dovessi rimpiangere di avere un tatuaggio, potrei conviverci tranquillamente».

Angelina è molto legata alla madre e al fratello. Riguardo ai rischi di seguire le orme del padre, dice: «Penso che sia più salutare non pensarci troppo. È una cosa interessante, perché è come se ci stessimo parlando attraverso il nostro lavoro. Non conosci i tuoi genitori fino in fondo, e loro non conoscono te. Ad esempio, [mio padre] ha conosciuto mio marito e siamo andati a cena insieme, ma aveva ancora un’idea di me come figlia. Se guarda un mio film, può vedere come sono come donna, il modo in cui mi relaziono a un uomo o il modo in cui piango da sola. E per me è lo stesso: posso guardare i suoi film e scoprire chi è. Ma non essendo cresciuta nella stessa casa e sentendo che lui apparteneva davvero al mondo [dello spettacolo]… ecco, crescendo ho imparato a comunicare con lui come persona».

Il film che Angelina sta girando a Los Angeles è il remake di un B-movie degli anni Settanta su una banda di ladri d’auto, Fuori in 60 secondi, con Nicolas Cage e Giovanni Ribisi. Ha da poco terminato il film tratto dall’autobiografia di Susanna Kaysen sulla vita in un elegante istituto psichiatrico per giovani donne, Ragazze interrotte, in cui recita con Winona Ryder. Poco prima ha concluso il lavoro sul thriller poliziesco Il collezionista di ossa, con Denzel Washington. In autunno sarà impegnata in un film in costume scritto e diretto da Michael Cristofer, con cui ha lavorato in Gia. Ha vinto numerosi premi, tra cui due Golden Globe: uno per Gia e uno per il ruolo della seconda moglie di George Wallace, Cornelia, nel film tv biografico George Wallace. Dopo aver vinto il suo secondo Golden Globe, si è tuffata nella piscina dell’hotel in cui si teneva la cerimonia di premiazione, indossando il suo abito Randolph Duke.

All’inizio di quest’anno ha interpretato, con il plauso della critica, una sorta di eroina da screwball comedy, però in versione club anni Novanta, da club nel film corale Scherzi del cuore, e ha recitato con Billy Bob Thornton, John Cusack e Cate Blanchett in Falso tracciato, uscito sempre quest’anno. Ha anche passeggiato, in modo memorabile, nel video della canzone dei Rolling Stones Anybody Seen My Baby?.

Si tratta di parecchio lavoro, soprattutto se si considera che è solo un elenco parziale e che Angelina ha solo ventiquattro anni. Ha preso in considerazione l’idea di prendersi qualche mese di pausa tra Ragazze interrotte e il film che inizierà in autunno, ma ha deciso di fare Fuori in 60 secondo perché era un progetto divertente e in più lei ama le auto. Come era prevedibile per una ragazza i cui genitori le hanno dato un nome che significa “angioletto”, Angelina guida un pick-up Ford, anche se un giorno le piacerebbe avere un’auto davvero hot-rod, una macchina pazzesca di metallo cromato, dalle linee slanciate e molto sexy, con un motore potentissimo.

A parte il fatto che non è fatta di metallo cromato, questa non è una cattiva descrizione di Angelina stessa. «Per Il collezionista di ossa cercavamo un’attrice molto specifica», dice il regista Phillip Noyce. «Doveva essere giovane, sui venticinque anni, con la forza necessaria per interpretare una poliziotta di New York, ma anche con una vulnerabilità molto particolare. Quel personaggio è davvero il cuore della storia; entra nella vita dell’uomo interpretato da Denzel Washington e riaccende la sua voglia di vivere. E quello che ho visto nell’interpretazione di Angelina nel ruolo di Gia sono state tutte queste qualità: la forza, la vulnerabilità ma anche il coraggio, caratteristiche che fanno parte del personaggio che ha interpretato ma anche – l’ho capito quando l’ho incontrata – di lei come artista. Stranamente, lo Studio non la voleva. Dicevano: “Angelina chi?” Non appena è iniziata a circolare la sceneggiatura, si sono fatte avanti molte attrici, tra cui alcuni nomi molto importanti, che erano disposte a ridurre i loro compensi per fare il film. Alla fine è successo che, per assicurarsi Angelina e Denzel, lo Studio ha messo un tetto al budget e ha detto che il regista e il produttore avrebbero pagato le spese eccedenti, e noi abbiamo accettato. Io ho messo un milione di dollari. Ma per me lei era l’unica scelta possibile come protagonista».

Angelina si è impegnata seriamente nella sua carriera dall’età di sedici anni, quando ha preso un appartamento tutto suo e ha iniziato a studiare recitazione. Già allora, circa sei anni prima del suo primo Golden Globe, non era nuova alle premiazioni. La rivista Jane ha recentemente dedicato un’intera pagina ad Angelina, ritratta quando aveva undici o dodici anni, tutta bocca, occhi e capelli anni Ottanta, addobbata con abbastanza perle e pizzi bianchi per un’intera congregazione di spose, mentre accompagna il padre alla cerimonia degli Oscar.

«Ricordo che ero andata al centro commerciale con mia madre», dice, guardando questa foto, «per cercare qualcosa di carino da mettermi quella sera. Quando guardo questa immagina, è come se quella bambina fosse un personaggio, come se stessi impersonando una ragazzina molto femminile che ha scelto di indossare ciò che pensava sarebbe piaciuto a suo padre. Mio padre ha ancora le sue opinioni su come mi vesto».

Nel momento in cui dice queste cose, Angelina indossa pantaloni di pelle nera, una maglietta bianca (ma senza scritte col sangue) e sandali neri. Ha dita molto lunghe e aggraziate che sembrano quasi le dita di una mano. Nella borsa ha un articolo del New York Times sui penitenziari americani. Siamo in un ristorante e lei sta mangiando una costata di manzo. «Non mangio altro che carne rossa», dice, prendendo il coltello da bistecca e osservandone il bordo seghettato.

Angelina sembra un miliardo di volte più felice della prima volta che ci siamo incontrati, quando stava promuovendo Gia. «Probabilmente non stavo recitando, quando ti ho incontrato la prima volta», dice quando glielo faccio notare. «È stato un momento davvero brutto, perché non pensavo di avere molto altro da offrire. Non pensavo di poter trovare un equilibrio tra la mia vita, la mia mente e il mio lavoro. Avevo anche molta paura di diventare un personaggio noto per aver interpretato quella parte, avendo potuto sperimentare quanto avesse sofferto, nonostante il suo aspetto così glamour. Lavoravo e davo interviste, e poi tornavo a casa da sola senza sapere se avrei mai avuto una relazione, o se sarei stata davvero brava nel mio matrimonio, o se sarei stata una buona madre un giorno, o se sarei mai stata… non so, completa come donna. È stato un periodo molto triste. Ma penso che sia stato davvero un bene averlo fatto, aver trascorso tutti quei mesi da sola, facendo una vita molto regolare, andando ai corsi della NYU, studiando i diversi livelli di questo business, andando avanti e indietro con la metropolitana e standomene semplicemente per conto mio».

Questo è stato anche l’inizio della separazione da suo marito. «Sapevamo che ci eravamo sposati giovani e che dovevamo continuare a crescere e che ci sarebbero stati momenti in cui saremmo cresciuti in posti diversi e avremmo trascorso del tempo lontani», racconta. «Ma è stato molto difficile separarsi da lui». C’è un silenzio punteggiato da un rumore di cucina e dal lieve suono del coltello da bistecca sul piatto. «Non so quanto sono stata una buona moglie», dice. «E questa è l’unica cosa che mi ha permesso di essere in qualche modo d’accordo sulla nostra separazione».

E che cos’è una buona moglie? «Oh, non lo so. O forse ora lo so davvero, e non so come questo influisca sui miei pensieri su di lui. In realtà ho imparato molto su di me. Ma allora non sapevo cosa fosse il compromesso o la libertà nel condividere sempre tutto, quali fossero gli aspetti positivi e negativi. Eravamo molto lontani per via del lavoro, e forse ora ho capito che è bene avere i propri percorsi individuali e che non è necessario separarsi. E credo che, forse perché non mi sentivo bene con me stessa, non riuscivo a immaginare di poter essere ciò di cui qualcuno aveva bisogno. Se perdi questo tipo di fiducia, puoi perdere la passione. Non vuoi inseguire un uomo e dirgli: “Stai con me”, perché pensi che forse non dovrebbe. Non ero completa come persona, e ora so che non lo sei mai del tutto, e va bene così».

«Angie dice sempre che la differenza tra lei e Gia è che lei ha trovato la recitazione come modo per dare un senso a sé stessa», dice il regista di Gia Michael Cristofer. «E che se non avesse avuto quel mestiere che l’aiutava ad affrontare chi era, sente che ci sarebbero state tutte le possibilità di avere l’esistenza fuori controllo che ha avuto Gia. Ma lei fa sul serio con la recitazione. È una parte importante della sua esistenza e della sua identità, non è una cosa da esibizionisti o da voyeur, anche se c’è sempre questo elemento nella recitazione. Ma credo che lei la usi davvero come un modo per capire e conoscere sé stessa. È una cacciatrice, una vera avventuriera».

Angelina sta facendo un giro nel piccolo studio disordinato tra la sua camera da letto e la cucina. Nell’angolo c’è una grande lancia. Da uno scaffale con alcuni libri d’arte ha tirato giù alcune delle foto che non tiene in bella vista: una che ha scattato a sua madre – vicino a uno specchio, in modo che l’immagine sia doppia – con un’aria splendente e un po’ seriosa, e una di suo marito da bambino con un mantello e una calzamaglia, con il petto in fuori in una posa da supereroe mentre sta accanto alla sorella maggiore, che è vestita da ballerina.

Vicino alla scrivania, sono attaccate alcune fotocopie a colori di fotografie di cadaveri sulle scene del crimine, che ha messo lì quando ha girato Il collezionista di ossa, perché voleva abituarsi a vederle mentre era seduta alla scrivania, come farebbe un poliziotto, sforzandosi di non restarne troppo turbata, anche se alcune erano così scioccanti che ha quasi vomitato quando le ha guardate per la prima volta. Prende da un’alta scrivania alcuni quadri e disegni che ha fatto, li stende sul pavimento e si inginocchia in mezzo a loro. Una sua amica, che ha vissuto in casa sua mentre lei era in California, entra per salutarla. C’è qualche segreto su Angelina che vorrebbe condividere prima di andarsene?

«Sì», dice. «Balla il tip-tap. Giorno e notte».

«Non dovresti dirlo a nessuno», dice Angelina, sorridendo davanti alle sue opere d’arte come se avesse appena scartato una pila di regali durante la mattina di Natale.

Alla stessa domanda – se c’è qualche segreto su Angelina che vorrebbe condividere – Michael Cristofer risponde: «Gioca con i coltelli», e ride, perché ovviamente questo non è un segreto. «Vi ripeto: è una cacciatrice. Penso che la maggior parte di noi sia codarda; viviamo nei nostri piccoli mondi, e invece gli artisti sono gli avventurieri che si spingono nel buio, lontano dal fuoco, e poi tornano e ci raccontano la storia delle loro gesta. Lei è una di questi. Credo che per lei la vita sia un’avventura».

Per non lasciarvi all’oscuro di tutto, ecco la “hot list” personale di Angelina, che ci ha telefonato dopo il suo ritorno a Los Angeles:

Concentrazione
Compassione
Dualità
Essere tutti padrone e schiavo, maschio e femmina
Vino italiano
Sentirsi sporchi
Lavarsi con lo scrub
Educare sé stessi
Passione
Isteria
Non giudicare gli altri

Da Rolling Stone US

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