Chiedi a Diana del Bufalo come sta e sei fregato. Soprattutto nell’anno in cui, a una domanda semplicissima come questa, in risposta arriva inevitabilmente un flusso di coscienza, che nel suo caso è un uragano: «Stavo parlando poco fa con Francesca, la cassiera del supermercato, ormai siamo amiche perché vado sempre lì a fare la spesa: parlavamo di quante cose sono cambiate in un anno, quante volte io sono cambiata… Adoro il cambiamento, è fondamentale, muove energia. Se sei statico non ti succederà mai nulla di nuovo e di esaltante».
Sintetizzo: Diana sta benone, anzi, «da dio, soprattutto perché mi accorgo di quanta fortuna abbia intorno a me, davo per scontate tante cose, sono stata molto con me stessa». Di più, durante la pandemia ha festeggiato «uno dei compleanni più belli, se si può dire: ho compiuto 31 anni la settimana scorsa e ho invitato i miei amici strettissimi per una cenetta a casa con due fantastici chef che hanno cucinato delle pietanze fantastiche. Ho sempre voluto farlo». Nel frattempo ha finito di girare Ridatemi mia moglie, la serie Sky diretta da Alessandro Genovesi con Fabio De Luigi, ed è sul set di Che Dio ci aiuti 6 con la coppia d’oro dei palinsesti Rai Spollon/Saurino (ci arriveremo).
Padre esperto d’arte, mamma cantante lirica, fratello proprietario di una galleria. Com’è uscita Diana?
(Ride) Bella domanda: ho un po’ l’arte che mi scorre nel sangue. Da bambini, mamma portava me e mio fratello al Teatro dell’Opera a vedere le sue rappresentazioni: ricordo che andavamo dietro le quinte dove c’erano i costumi, le scenografie, un mondo stupendo. E mi sono appassionata. Non al canto lirico eh, non era il mio. Ma mi commuovevo quando vedevo mamma sul palco: lei è bravissima anche nell’interpretazione, faceva spesso ruoli tragici, tipo nella Traviata di Giuseppe Verdi. E mio padre mi ha trasmesso l’amore per l’arte: l’altro giorno sono andata a casa sua e ho visto un quadro di Franz Mayer che mi ha colpito tantissimo perché era un po’ disneyano. E papà mi fa: «Vabbè Diana, te lo do, te lo presto per il compleanno, lo metti a casa tua, ma se lo voglio poi me lo restituisci». Lui è un accumulatore seriale, come tutti i bravi appassionati d’arte non lascia mai andare le sue opere.
Ma quella vena autoironica da dove viene?
I miei genitori sono iper autoironici: fanno lavori seri, ma sono assolutamente dei folli, a volte anche volgari. E io ho lo stesso il mio bisogno di esternare. Mi è stata diagnosticata in forma leggera questa tendenza che si chiama “coprolalia”: è un ramo della Tourette, che non è così violento, però hai comunque l’impulso a dire cose inadeguate. E a me viene pure in occasioni dove invece si deve stare zitti, momenti istituzionali, è un problema. Però anche i miei genitori mi hanno un po’ traviato da questo punto di vista, tu non sai, non li conosci… sono due bellissimi pazzi.
Partiamo dai tuoi inizi ad Amici: non tutti forse ricordano che la tua eliminazione causò uno spogliarello di protesta da parte di Platinette… Ci ripensi mai?
Sì! Platinette non mi ha mai lodato troppo durante le puntate, e quando poi disse: «Se eliminano la mia preferita, mi spoglio», non avevo idea di essere proprio io, per questo mi misi a piangere per la commozione e per la stima che io ho nei confronti di Mauro. Fece questa cosa pazzesca, mi disse delle parole stupende. E poi calcola che, il giorno dopo, Maria (De Filippi, nda) mi chiamò per propormi la conduzione di Mai dire… Amici. È stato tutto immediato.
Cosa non dimenticherai dell’esperienza di Amici?
Sentivo che potevo abbandonarmi totalmente alla mia follia, alla mia ironia, perché sapevo di essere in ottime mani, che non mi avrebbero mai fatto passare per una sciocca. Ero un po’ più cicciotella, inconsapevole, libera, poi crescendo sei meno spensierata di quando sei pischella. Son passati dieci anni ormai… Quando mi vestivano da Jessica Rabbit per sedurre Rudy Zerbi sapevo che era spettacolo e io amo dare spettacolo di me, lo adoro. Ed era bellissimo anche cantare con l’orchestra: c’erano un sacco di elementi, e sentire tutti gli strumenti insieme alla mia voce… un ricordo meraviglioso.
Ti sei mai chiesta cosa piace tanto di te al pubblico? Perché sei amatissima.
Ho notato che sono molto più amata dalle donne e dai gay, non tanto dagli uomini etero. Allora diciamola tutta: ci sono quelli che me se vorrebbero fa’ (ride), però ho un’idea su questo: alcuni uomini non apprezzano le donne che hanno questo modo di fare così prorompente, io dico sempre tutto quello che mi passa per la testa. Da noi c’è un po’ di chiusura: l’America è più libera, nella musica anche le donne dicono di tutto, altro che volgari… Però sono molto contenta di essere amata dalle donne. Ci sono anche persone a cui non piaccio, ma credo che arrivi questa mia verità, la trasparenza, l’essere chiara. E le mie follower sono molto simili a me, te lo dico perché ho la certezza scientifica: ho mandato tre di loro dalla mia stessa psicologa.
Cioè?
Giuro. Queste ragazze sono tutte carinissime e dolci, ci parlo spesso su Instagram. Qualcuna mi ha chiesto: «Diana, mi dài il contatto della tua psicologa? Visto che ha fatto tanto bene a te, magari può essere utile anche a me». Sono tutte di Roma e le ho mandate dalla mia terapista, che mi ha confermato che sono vicine a me proprio a livello di carattere. E questo la dice lunga, perché effettivamente le persone difficilmente seguono chi è troppo lontano da loro.
Che cos’è la comicità per te?
Il surreale, niente mi fa ridere più di questo, ma ci sono talmente tanti tipi di ironia diversi, è difficile dare una definizione unica. Per esempio, con quello che fa ridere me, a mio padre non cavi nemmeno un sorriso a pagarlo. E magari lui ride per cose che io considero cavolate. A me piace Scary Movie, quel surreale un po’ demenziale. Le freddure invece non mi fanno impazzire, devono andare un po’ fuori dalla normalità. La comicità per me deve essere teatrale.
C’è qualche icona della comicità al femminile che ti piace o alla quale ti ispiri?
Adoro Amy Schumer, mi fa impazzire.
Nella tua carriera hai girato con Banfi, Abatantuono, De Luigi, Elena Sofia Ricci. Qual è il miglior consiglio che ti hanno dato?
Fabio è meraviglioso sia come persona che come attore, avevo già lavorato con lui: è paziente, è uno di quei grandi artisti che sanno stare sul set, che non rompono, un professionista a tutto tondo. Elena è diventata una maestra, mi ha sempre dato consigli perché io non ho mai fatto dizione, teatro, un’accademia vera e propria di recitazione. E lei mi diceva di stare attenta al romano, perché poi diventa troppo e non ci sta, di vedere sempre il contesto in cui mi trovo… Ho visto che c’era proprio uno scarto tra quando seguivo i suoi consigli e quando non lo facevo.
Non possiamo prescindere da Che Dio ci aiuti: ormai continuate a portare a casa tutti i giovedì sera…
(Ride) Hai detto bene, la stiamo portando a casa perché stiamo girando settimana su settimana, ci stiamo sbrigando perché al montaggio non hanno le scene, il Covid poi ci ha levato un sacco di tempo. E quindi sì, ci stiamo muovendo per finire tutte le puntate.
Che rapporto hai con il tuo personaggio, Monica?
Bellissimo. Devo dire che per fortuna mi hanno sempre proposto ruoli che erano vicini a me. Per quanto lei sia precisa (e forse quella è l’unica cosa su cui non siamo simili), mi trovo molto in linea con Monica: il fatto di essere un po’ polemica e di non essere molto matura a livello di relazioni con gli uomini… è un disastro. Devo dire che per me non è difficile interpretarla. E sono contenta di essere tornata, perché la mia storia in Che Dio ci aiuti 4 era finita un po’ così.
Poi la tua Monica è diventata il vertice di questo triangolo composto da Spollon e Saurino.
Non mi è andata male eh, che meraviglia. Pierpaolo non lo conoscevo, ma è Acquario come me, mezzo matto, mi sono trovata molto bene a recitare con lui. Con Gianmarco eravamo già amici, ovviamente: vorrei farci cento film, come mi trovo sul set con lui, con nessuno.
Dalla puntata del primo bacio con Emiliano/Spollon, tutte le fan si chiedono chi dei due sia meglio, considerando anche gli approcci in linea con i relativi personaggi…
(Ride) Hanno uno stile diverso. Spollon è bravo, però Gianmarco è proprio uomo del Sud, è pugliese, si sente. E poi Spollon è più romantico, è più sulle attese. E invece quando Gianmarco te pija, te pija.
Ti sei vendicata di Spollon che si è pulito la mano sporca di uovo sulla tua giacca?
No, non ho avuto occasione (ride), non me ne sono accorta. Sono quelle cose che fa lui e che poi magari montano. È assurdo perché io me ne sono resa conto solo quando l’ho visto in tv… poi chissà se ‘sta giacca l’hanno pulita, dov’è finita. Non mi sono ancora vendicata, ma lo farò.
Torniamo serie per un attimo: hai preso parte alla campagna #UNIAMOleforze per dare voce a chi è affetto da una malattia rara. Che cosa ti ha spinto ad abbracciare questa causa rispetto ad altre?
Appena mi hanno proposto di fare lo spot (per la regia di Maurizio Rigatti, nda) ho detto: «Sì, subito, domani». Ho un amico di famiglia, Costantino, che ha un figlio, Lele, affetto dalla distrofia muscolare di Duchenne: è tremenda perché colpisce soprattutto i bambini che diventano progressivamente immobili, a 15 anni sono in sedia a rotelle. Le aspettative di vita sono bassissime. Ho visto questo bimbo crescere: non ci posso pensare che i genitori un giorno dovranno dire addio al loro piccolo, mi arrabbio con la vita. Non c’è attenzione medica, e non è nemmeno colpa dei dottori, ma a volte ci vuole un sacco di tempo per avere una diagnosi, perché non ci si concentra sulle malattie rare, manca la preparazione. E c’è bisogno di più attenzione, di più aiuto.
La conduzione, il canto, il cinema, la fiction: che cosa vuol fare Diana del Bufalo nella vita?
Non mi importa, anzi: l’anno prossimo voglio fare un musical a tutti i costi. Prima del Covid mi avevano proposto La rivincita delle bionde, ma poi con la pandemia nulla. Nessuno lo ha mai visto, ma sono molto brava nel ballo: salsa, tango argentino, danza moderna, ho senso del ritmo e una grande passione per la danza. Ti devo dire la verità: la dote del canto ce l’ho, la recitazione è venuta dopo, ma a quanto pare funziona e vado avanti. Sai cosa? Io non sono ambiziosa, mi carico di altro, sono molto più proiettata sul mio benessere interiore, non su quello che mi può arrivare dall’esterno. Metti caso che domani non lavoro più per varie ragioni, non ne farei una tragedia, saprei reinventarmi… perché non sono attaccata al successo per forza, però mi piace, è ovvio, mi entusiasma. E allora: cosa voglio fare? Quello che sto facendo.