Sam Esmail c’ha quasi rimesso l’udito, mentre lavorava al suo nuovo thriller apocalittico Il mondo dietro di te. Nell’adattamento di Netflix del romanzo di Rumaan Alam del 2020, c’è un rumore così terrificante da paralizzare l’intero Paese, ed Esmail doveva farlo al meglio.
«Come regista, ero entusiasta di esplorare questo aspetto, perché il suono è tutto per me», dice Esmail. «C’è una linea sottile per rendere un suono ossessionante senza che il pubblico si alzi e se ne vada. All’inizio ho insistito così tanto che, ed è vero, ho perso definitivamente l’udito dall’orecchio destro. E per questo ho salvato il pubblico».
I protagonisti del film di Esmail non sono stati così fortunati. Il mondo dietro di te segue la famiglia Sandford durante una vacanza a Long Island in un’elegante casa affittata per il weekend. Amanda (Julia Roberts), Clay (Ethan Hawke) e i loro due figli Archie (Charlie Evans) e Rose (Farrah Mackenzie) si stanno appena ambientando quando i proprietari della villa, G.H. Scott (Mahershala Ali) e sua figlia Ruth (Myha’la), si presentano con la notizia di un enorme blackout a New York.
Le tensioni sorgono subito, poiché i Sandford non si fidano degli Scott – in parte a causa di un razzismo radicato – ma questo non è il solito film horror a sfondo Airbnb. Il blackout è l’ultimo dei problemi di tutti: le petroliere si spiaggiano, gli aerei cadono dal cielo e gli animali abbandonano i loro normali schemi migratori. Il mondo, a quanto pare, potrebbe finire, e le due famiglie devono decidere se collaborare o andare avanti da sole.
Esmail ha parlato con Rolling Stone della trasposizione di un libro sullo schermo, della fine del mondo e della sigla di Friends.
Sono un grande fan del romanzo da cui è tratto il tuo film. Cos’hai pensato quando l’hai letto per la prima volta?
Be’, ero terrorizzato. Sarò rimasto seduto in silenzio per circa, non so, cinque minuti. Stranamente, ero in un Airbnb con la mia famiglia. Era il periodo di punta di Covid, quindi volevamo passare un po’ di tempo fuori casa. L’ho letto tutto d’un fiato in poco più di un’ora. E ho pensato che toccava così tanti temi molto rilevanti per quel periodo: su tutti, l’idea che le persone possano facilmente perdere di vista la loro umanità di fronte al pericolo. Tutto questo si stava verificando nel mondo reale. Penso che Rumaan, scrivendo quel libro prima della pandemia, abbia anticipato qualcosa di cruciale per il nostro vivere nella società di oggi. E poi, naturalmente, c’era la sua scrittura. I personaggi sono disegnati in modo così bello e profondo. E una delle cose che mi hanno più colpito è stata l’idea che stesse scrivendo questo thriller sulla catastrofe, ma all’interno dei confini del dramma da camera. Ho trovato questa combinazione davvero avvincente.
Quando ha deciso di farne un film?
Quando mi hanno mandato il libro ovviamente c’era l’idea un adattamento, ma non volevo pensarci prima della lettura. Così, dopo quel pomeriggio, ho ripreso il libro e ho voluto rileggerlo pensandolo come un adattamento. E ho immediatamente visto Julia (Roberts, ndt) nei panni di Amanda. Prima di leggere il libro, però, sono un grande appassionato del genere catastrofico, quindi avevo in testa l’idea di provare a costruire una sorta di thriller catastrofico incentrato su un cyber-attacco. Perché penso che i cyber-attacchi, anche se sono sotto gli occhi di tutti, abbiano qualcosa di inquietante ma anche di misterioso. Quando ho letto il libro la seconda volta, dato che Rumaan ha mantenuto l’elemento del disastro così vago, ho subito pensato che avrei potuto innestarvi il mio concetto di cyber-attacco senza cambiare il mistero sul disastro in questione. E questo ha dato le basi per la versione cinematografica della storia. È iniziato a scattare tutto: “Oh, qui vedo un film…”. Non è un film che sarà completamente fedele al libro, ma proprio da un punto di vista filosofico non ho mai voluto attenermi a questo. Penso che se si prende qualcosa che funziona così bene nel mezzo letterario, ci vorranno molti cambiamenti per farlo funzionare in quello cinematografico. Così, dopo la seconda lettura, ho iniziato a vedere un film che potesse stare in piedi da solo e raccontare la stessa storia che credo Rumaan volesse raccontare nel libro.
Ricordo che, quando il film è stato annunciato, all’inizio era stato fatto il nome di Denzel Washington per il protagonista, perché il personaggio era stato paragonato a lui nel libro. Cosa è cambiato?
Prima di tutto, sono un grande fan del Rapporto Pelican. Alan J. Pakula è uno dei miei registi preferiti, adoro quel film. E avere Julia e Denzel di nuovo insieme era davvero emozionante per me. Purtroppo degli impegni sul set si sono messi in mezzo, e Denzel non ha potuto fare il film. Ma dopo aver girato il film con Mahershala, non riesco più a immaginare un altro G.H. Penso che sia fantastico in quella parte. E la cosa più importante di G.H. è che l’ho sempre immaginato come una specie di protagonista hitchcockiano, una specie di Cary Grant o Jimmy Stewart: persone decise, ma con un’aria da uomo comune.
Volevo proprio chiederti se il riferimento a Intrigo internazionale, quando G.H. scappa dall’aereo che precipita, fosse intenzionale.
Non è molto sottile. Hitchcock è uno dei grandissimi. E in tutta onestà, non credo che ci sia un film realizzato in epoca contemporanea che non mostri una qualche influenza di Hitchcock. Credo che abbia essenzialmente inventato la grammatica cinematografica moderna, è chiaro che il suo lavoro incombeva sul film. E personalmente è uno dei miei registi preferiti.
A proposito di riferimenti, non ricordo se la figlia nel libro guardasse o meno Friends. È qualcosa che hai inventato per lei? Per i lettori: Rose è ossessionata dalla sitcom degli anni ’90, e sta per guardare l’episodio finale quando la connessione internet salta.
È un riferimento appena accennato nel libro. Allora l’ho preso e l’ho portato avanti, creando questa trama che per me era il cuore pulsante del film. All’epoca, come ho detto, eravamo in tempo di Covid. Durante i primi giorni della pandemia, ricordo che eravamo tutti molto spaventati. Avevamo paura per i nostri cari, avevamo paura gli uni per gli altri, avevamo paura per noi stessi. Le persone morivano ogni giorno e noi eravamo chiusi in casa, intrappolati. C’era un vero senso di paura e ansia. Poi è uscito su Netflix Tiger King, e non si è parlato d’altro per settimane. Per quanto sciocco sia quella serie, mi piace che noi, come comunità, abbiamo abbandonato le nostre differenze per immergerci in quella storia, riderne e parlarne. L’ho trovato molto umano. Adoro quando si possono mescolare tragedia e commedia in questo modo, perché credo che l’essenza della commedia tragica parli direttamente di chi siamo e della condizione umana. Così, mentre costruivo questa storia, ho pensato che, in tutta questa cupezza, il personaggio di Rose potesse diventare qualcosa di universale: ho pensato che fosse una sorta di pietra di paragone per tutti.
Durante la realizzazione del film, avevi previsto che sarebbe terminato con quell’incredibile momento musicale? Quando Rose riesce finalmente a guardare il finale di Friends in un bunker vicino e parte la sigla…
Oh, sì. Quando ho letto il libro per la seconda volta, è stato proprio questo il finale che mi è venuto in mente. C’era un altro modo per arrivare a una catarsi emotiva che avesse senso, in questo film? Il finale con Rose era il più giusto in assoluto.
Volevo parlare un po’ di alcune immagini del film: gli aerei che cadono dal cielo, una petroliera che piomba su una spiaggia affollata… dev’essere costato fatica realizzarle al meglio.
Credo che l’aspetto che mi ha convinto sia stato il fatto che, a differenza della maggior parte dei film catastrofici, i nostri personaggi non sono eroi nel senso tradizionale del termine. Non devono stare al centro dell’azione, non superano ostacoli incredibili per aggirare il disastro che stanno affrontando. L’approccio che abbiamo adottato – e so che non è nel libro, ma deriva dallo spirito del libro – è che questi personaggi non possono proprio essere eroici, nei tempi che viviamo. E credo che per me questo sia più comprensibile: credo che la maggior parte di noi si senta così. Per esempio, nella scena della spiaggia, è come se un treno al rallentatore si avvicinasse a loro. La loro reazione iniziale è di confusione. Non sanno cosa fare. La cosa più semplice da fare era semplicemente alzarsi e scappare, cosa che alla fine fanno, ma è la loro incredulità che questo possa davvero accadere a far sì che si tratti di una fuga all’ultimo minuto. E questo mi piace molto, perché è quasi loro malgrado che riescono a mettersi in salvo.
C’è anche una scena in cui un gruppo di Tesla attiva le funzioni di guida autonoma per bloccare le strade. Hai ottenuto il permesso da Tesla?
No. L’ho scritto nella sceneggiatura. Ho chiesto al mio fantastico attrezzista, Bobby, di portare un gruppo di Tesla sulla strada e abbiamo girato la scena. L’ho montata in post-produzione, l’ho mostrata a Netflix e ho incrociato le dita. E a tutt’oggi nessuno mi ha detto nulla. Quindi sì, spero che il film esca e che nessuno dica niente.
Infine, volevi chiederti qualcosa a proposito della situazione in Medio Oriente. Quando ha girato il film, ovviamente la situazione non era ancora degenerata. C’è una scena in cui il personaggio di Ethan Hawke si imbatte in un drone che sembra lanciare messaggi antiamericani in arabo e, successivamente, un altro personaggio che ha sentito parlare di messaggi simili, questa volta in coreano. Puoi parlare di questo tema del film, la disinformazione?
Onestamente, ho cercato di seguire le linee guida del manuale su come funzionano i colpi di Stato. La disinformazione propagandistica è stata usata ben prima dell’epoca contemporanea: è una tattica antica. Io l’ho solo presa, ingrandita e adattata a questa situazione. Per me, ciò che è stato particolarmente rischioso è che quando si riceve il primo volantino ed è scritto in arabo, il film lascia che questo rimanga in sospeso. Sta forse annunciando chi è il cattivo del film? Vi sta invitando a seguire questa disinformazione. Ho notato le reazioni del pubblico durante il film: i loro pregiudizi hanno iniziato ad entrare in gioco. Ma poi, quando ci si rende conto che vengono lanciati altri volantini con lingue diverse, questo elemento salta ancora più all’occhio. Tutto gioca sui nostri pregiudizi e sulle nostre convinzioni su chi sono i nostri nemici, su chi potrebbe esserci dietro a tutto questo, così come accade ai personaggi. E questo mi piace. Mi piace sempre quando si può eliminare la barriera tra il pubblico e la finzione.