Rolling Stone mette in copertina Papa Francesco e qualche giorno dopo Paul Verhoeven, uno dei registi più provocatori dei nostri tempi (vedi alla voce Basic Instinct) e ateo convinto, afferma: «Non sono contro il Papa. Anzi, devo dire che è il migliore che abbiamo avuto negli ultimi 200 anni». Se questa per voi è una coincidenza.
Considerato il più noto cineasta olandese e ‘infiltrato’ europeo alla corte di Hollywood dal 1985, Verhoeven, quasi 79 anni e non sentirli, è arrivato a Roma per presentare il suo nuovo film, titolo Elle, già in concorso a Cannes e in uscita il 23 marzo in Italia.
Vincitrice di due Golden Globe, due premi César e tratta dal romanzo Oh… di Philippe Djian, la pellicola racconta, mescolando thriller, dramma e commedia «come la vita», la storia -nerissima- di una donna (una strepitosa Isabelle Huppert, nominata all’Oscar) che, dopo essere stata aggredita in casa da uno sconosciuto, rintraccia il suo stupratore e instaura con lui un rapporto pericoloso: «Inizialmente volevamo girare negli Stati Uniti ma non abbiamo trovato né i finanziamenti né un’attrice che fosse disposta a confrontarsi con un ruolo così problematico». La produzione ha deciso quindi di trasferirsi a Parigi: «In Europa c’è molta più libertà» sottolinea il regista. Dopo RoboCop e Atto di forza gli Americani faranno un remake anche di questo film? «Non certo nei prossimi quattro anni. E non voglio nemmeno immaginare che potrebbero trasformarsi in otto, la situazione è già abbastanza grave: mi auguro che il mondo del cinema continui a essere critico verso questa amministrazione». E pure la stoccata a Trump è servita.
Sguardo curioso ed energia che cattura, quando parla Verhoeven è inarrestabile (con buona pace degli uffici stampa che devono rispettare una tabella di orari precisa) e soprattutto dice quello che pensa, al diavolo tutto il resto. Un esempio? «Qualcuno ha definito la protagonista di Elle ‘amorale’. Sinceramente non mi interessa, la moralità è piuttosto assente nei miei film» e ancora sulla Huppert: «’ molto audace se crede nel personaggio, non cerca la simpatia del pubblico e nemmeno io».
E a proposito di audacia fa sorridere il modo in cui il regista spiega con naturalezza che no, quando in Basic Instinct ha girato la più sexy accavallata di gambe della storia del cinema non pensava che avrebbe dato scandalo, diventando un cult: «All’università avevo conosciuto una ragazza che non portava le mutandine e faceva continuamente questo gesto. Ne ho parlato con Sharon Stone e abbiamo filmato la sequenza a fine giornata in dieci minuti. Me n’ero quasi dimenticato fino alla fase di montaggio. Ci siamo resi conto solo all’uscita nelle sale che avevamo infranto un tabù». Un rischio che oggi, secondo Verhoeven, gli studios affrontano sempre meno: «Non c’è interesse sugli aspetti controversi. La sessualità e la nudità vengono spesso eliminate per fare in modo che i titoli possano essere visti da tutti e guadagnare di più. Questo è il motivo per cui le pellicole sono così noiose: è difficile andare oltre perché non è economicamente vantaggioso subire restrizioni d’età per il pubblico».
Tanto cinema ma anche musica, naturalmente. Verhoeven ci ha confessato che il suo sviluppo musicale comprende «Rolling Stones, David Bowie, Iggy Pop, Bryan Ferry, Rammstein» e che in questo momento è un grande fan degli Arcade Fire: «Volevo inserire un loro pezzo nella scena della festa alla fine di Elle ma hanno rifiutato. Chissà, forse pensavano che avrei usato il brano in maniera banale – ridacchia- alla fine ho scelto Lust for Life di Iggy Pop. Ma non mi arrendo, riproverò a contattare gli Arcade in futuro».
Già, perché Verhoeven è tutt’altro che stanco di sorprendere, basta dare un’occhiata ai suoi progetti: «Farò un lungometraggio su due suore ambientato in Toscana nel Medioevo e ispirato a fatti realmente accaduti in un monastero di Pescia». Il punto di partenza è un saggio della storica Judith C. Brown, Immodest Acts – The Life of a Lesbian Nun in Renaissance Italy, sulla vicenda della mistica lesbica Benedetta Carlini. Ma non finisce qui: il regista sta lavorando all’adattamento del suo libro Jesus of Nazareth del 2007, sulla figura di un Cristo attivista politico, ispirandosi al Vangelo secondo Marco. E chissà che prima o poi Verhoeven non decida di girare un film anche su Papa Francesco.