Il vero nervo dell’intervista lo tocchiamo a intervista conclusa, quando Irene Maiorino ci ripensa e mi invia un messaggio: «La verità è che Lila non si può spiegare», mi scrive. «E io nel tentativo di farlo, seppure al meglio, ogni volta sento di tradirla. E mi fa male. Un po’ come forse si sarà sentita Elena Ferrante quando ha deciso di scrivere di lei dopo averle promesso che non l’avrebbe mai fatto. Lila allora non si può spiegare. Ma solo sentire. Io la sento ancora fortissima come una maledizione da benedire. È per chi intende la vita in un certo modo, il modo degli urti del cuore. È così che è arrivata lei. Dalle mie ombre». Poi mi lascia una canzone, che fino a poco prima voleva tenere per sé, «perché Lila è stata come una Madonna». Un riarrangiamento di Giovanna Marini e il Coro Arcanto della Passione di diamante, canto tradizionale della settimana santa. Con Maria che piange il suo figliole in un lamento ipnotico che rievoca Le troiane di Euripide e L’Orestea di Eschilo, tra Pasolini e le ceneri di Gramsci, nel destino balordo che tocca in sorte a Lila e a ogni eroe tragico.
«Sono stata con lei per anni», dice Maiorino, che ne ha aspettati ben tre prima di chiudere il cerchio con la quarta stagione dell’Amica geniale, stavolta diretta da Laura Bispuri sempre per HBO e Rai Fiction, questi giorni in onda in Italia dopo il successo ormai consolidato negli Stati Uniti. Ci racconta che non le importa dell’identità di Elena Ferrante, che per lei è stata «come Shakespeare, una bibbia da tenere sul comodino e un capitano da cui tornare», in questo percorso lunghissimo che sembra davvero disegnato dal destino: dall’amica che le regalò il libro ai primi rumors online, mentre la figura filmica di Lila prendeva forma nei corpi di Ludovica Nasti e Gaia Girace, fino all’incontro con Alba Rohrwacher per il racconto dell’età adulta, nel ricordo di «quando eravamo ragazze». E forse è davvero la fine la più importante.
Nel pubblico c’è chi scrive che sei brava da stare male.
Sono molto colpita e sto provando a interagire, ma è impossibile rispondere a tutti. Ho questo pubblico che faceva un po’ il tifo per me ancora prima che si sapesse che facevo i provini, perché c’erano tante cose che giravano su Internet. In Rai avevo fatto I bastardi di Pizzofalcone e Il commissario Ricciardi, così erano iniziati un po’ di rumors. Ho fatto provini per circa tre anni e nel frattempo la mia vita andava avanti tra viaggi, traslochi e altri lavori. Ma Lila era un filo rosso, la tenevo lì ed era una cosa enorme. Lo studio, il tempo che ho trascorso con lei. È stato un esercizio zen.
Quindi non temevi la risposta degli spettatori?
No, ma rimane la più grande prova. La serie è uscita prima in America e già da lì mi ha scritto gente da tutto il mondo, dalle Filippine al Brasile. Ma non mi dicono “Sei bella, sei brava”, piuttosto che corrispondo all’idea che si erano fatti dal libro. Era una responsabilità enorme, anche perché raccontiamo la fine e io, per citare gli Afterhours, dico sempre che “è la fine la più importante”. La fine te la ricordi. È così anche nella vita.
Come si aspetta un ruolo per così tanto tempo?
Da una parte c’era un discorso pratico, sono un’attrice e andavo avanti con il mio lavoro. E poi c’era una dimensione sacrale da conservare, perché io non sapevo se sarei arrivata davvero a Lila. I primi provini sono iniziati verso la fine della seconda stagione, ma era appena un sentore, stavano iniziando a guardarsi intorno. Finita la turnata di provini per la terza stagione, quando poi hanno deciso di mantenere Gaia e Margherita, a un certo punto ho fatto un passo indietro.
Tenere il segreto nel pieno del fenomeno.
Ho smesso di chiedermi se mi avrebbero richiamata, però intanto l’avevo interiorizzata. Non ne parlavo con nessuno, però magari capitava di andare a una cena e tra gli addetti ai lavori si parlava dei provini per Lila.
Davvero eri Lila prima di diventare Lila?
Con lei condivido gli aspetti ombra, una radicalità che ho ritrovato e un modo dritto di stare al mondo, che però tende sempre ad addomesticarti. Invece Lila è bella e forte malgrado se stessa. È passato un anno dalle riprese, ma come nelle relazioni che vuoi che sia un anno dopo tanto tempo trascorso insieme? Lila e io stiamo ancora insieme, ma Irene sta tornando.
Il tuo colpo di fulmine con L’amica geniale parte dalla tua amica geniale, che ti ha regalato il romanzo molto tempo fa. Leggenda o verità?
Verissimo. Conservo il libro, me l’ha regalato appena uscito dicendomi: «Irene, quella bambina ti riguarda». Anch’io da piccola tiravo calci, avevo delle scarpe ortopediche ed erano la mia arma contro i maschi e contro le persone arroganti. La serie non era ancora uscita, non c’erano volti di riferimento, e in effetti poi ho lavorato su Gaia a livello fisico ma a livello emotivo sulla primordialità di Ludovica, la bambina lupacchiotta.
Le coincidenze non mancano. Viene da credere al destino?
Mi piace pensarlo, perché sono una romantica e la letteratura mi ha rovinato la vita. Ma pensare al destino toglierebbe valore all’impegno, quello mio e di tutti gli altri.
Lila crederebbe al destino?
Non penso, anche se lei non scappa dal suo. Quello che le accadrà fa parte del destino di certi eroi tragici. Cosa può significare partorire il proprio destino infausto? Quanto è grande il dolore di questa donna? È gigantesco. Infatti arriva in tutto il mondo.
Di fronte a questa storia è impossibile non domandarsi: sono stata io l’amica geniale, oppure sono quella che l’ha subita?
Chi è l’amica geniale? Ce lo chiedono sempre. È quella che ti pungola come Lila, che però ha avuto paura ed è rimasta circoscritta in un ambiente? Oppure è quella che studia, cerca di smarcarsi e poi inevitabilmente fallisce, come Lenù? Io dico che Alessia è la mia amica geniale, ma se tu senti Alessia ti dirà che sono io la sua amica geniale. Allora spero di essere e di avere un’amica che mi porti su un altro piano, come ha fatto Lila con me. Durante il set, quando ho avuto difficoltà concrete, quando sono diventata miope per stanchezza, mi sono fermata e ho invocato Lila.
Che poi, la risposta conta davvero qualcosa?
No, infatti. Perché l’epilogo fondamentale per entrambe qual è? Elena finalmente prova a liberarsi della figura di Nino, mentre inevitabilmente il destino richiama Lila al ruolo di eroina dell’ombra. Lei ricade, ma in realtà torna al suo posto, perché è una dea del subconscio e quella è la sua forza. Fatico a parlare di Lila sul piano narrativo perché mi sembra di appiattirla, non vorrei ingabbiarla. E poi nessuno ci è mai riuscito, neanche Ferrante. L’amica geniale nasce perché Lila sfugge. È uno scarabocchio, non si lascia mettere dentro le righe, lei appartiene ad altro.
Ludovica Nasti e Gaia Girace hanno marchiato il personaggio, e hai ragione a parlare della sua prossemica, del modo in cui utilizza le espressioni labiali. Da cosa sei partita per garantire fedeltà a Lila e quanto è stato difficile ereditare un personaggio del genere?
Quando è stato ufficiale, tutti hanno iniziato a dirmi: «Ma sei contenta? Non ti vedo contenta». La verità è che per me è stato come il traguardo di un maratoneta: certo che sei contentissima, ma sei anche a terra. Ho lavorato con grande rispetto, per prima cosa riconoscendo il collegamento che avevo con il libro, e nel frattempo studiando la serie. Ho guardato molto i backstage, per osservare come Saverio Costanzo lavorava con le bambine e per osservare gli occhi delle bambine fuori set e sul ciak. Ho interiorizzato il lavoro di Gaia, poi ho provato a dimenticarmene per ricercare la bambina. Nell’adultità avevo bisogno di trovare la ferita della bambina Lila, perché è quello che ci portiamo dietro tutti. Quindi il rapporto con gli uomini a partire dal padre, e poi quanto è bello un personaggio positivo come Enzo, ma è proprio lì che si compie questo suo destino infame, proprio quando, per una volta, la sua vita sta cambiando direzione.
Che musica leghi a Lila?
Naturalmente ho una playlist che preferisco tenere privata, ma posso dirti Wait for Her di Roger Waters. L’ho pubblicata il giorno in cui è uscita la prima puntata (la voce si rompe per l’emozione, nda). Scusa, mi emoziono a parlarne. Per anni è stata lei a guardare me, e adesso io stavo guardando lei attraverso lo schermo.
Sul concetto di smarginatura: sentire il mondo che si rompe, come fosse vero, mentre la fisionomia delle cose si deforma fino a fare orrore. Quarto episodio, il monologo con cui il pubblico ti ha accettata e consacrata Lila.
Per tornare al libro, quello è uno dei momenti altissimi. C’è una trasposizione di quello che accade dentro di lei anche all’esterno, e lei sta dicendo: “Lo vedi quello che succede nel mondo, Lenù? Adesso il mondo si sta crepando veramente, ma a me succede sempre. Io le cose cerco di tenerle, ma le cose si mostrano davvero per quello che sono e si rompono. La realtà è incontenibile e terribile”. Ai provini ero partita con delle proposte molto più fisiche, poi sono andata ad asciugare tutto fino a trovare la dimensione del cristallo. Compatto e fragile, basta un attimo perché vada in pezzi.
È la fine quella più importante, allora il rapporto con Alba Rohrwacher come è iniziato e come è finito?
È molto interessante quello che è successo tra noi, perché ci siamo conosciute attraverso i personaggi. Lila e Lenù, a cose finite, ci hanno regalato l’occasione di poter dire: Alba è questa persona perché ha fatto queste scelte sul set, e viceversa Irene. Ora che i personaggi si stanno allontanando stiamo rimanendo io e lei. Anche se si chiude il cerchio del lavoro, io credo che il nostro sia appena iniziato.
Un’immagine di Irene prima di Lila?
Con i capelli miei, ricci, al mare. Scalza sugli scogli roventi della Costiera Amalfitana. Con una solarità che stava per fare i conti con le mie zone d’ombra. Lila mi ha portato in quella direzione, e adesso forse ho voglia di recuperare la ragazza degli scogli.
Hai già il coraggio di immaginarti dopo Lila?
Adesso c’è un limbo. Vedo ancora Lila all’orizzonte, come il treno alla stazione mentre tu sei ancora sul binario. Lila mi ha lasciato dei segni fisici fortissimi e mi ha fatto donna. Ho 39 anni, non 25, e questo è un fatto. Sono stata un porto per tante persone e adesso devo esserlo per me stessa. La marea si ritrae. Quando ci lasciamo, non pensiamo mai a quello che ci hanno lasciato. Ma se è stato qualcosa – ed è sempre qualcosa – lasciarsi è preziosissimo pure quando ti fa soffrire. Al momento è un setaccio, una folata di vento. Quello che resta, saprò dirtelo quando ci risentiremo.