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Isabella Rossellini, che belva mi sento

Arrivano finalmente su MUBI ‘Green Porno’ e le altre serie di corti sugli animali e la natura che ci svelano la Rossellini autrice, oltre la modella, l’attrice e l’icona che tutti conosciamo. Una lunga chiacchierata per parlare di questo e del cinema tutto, e dell’eredità di mamma e papà (quella mamma e quel papà), della sua fattoria, di Wim e Martin nel deserto, del tempo, dei ricordi, del futuro. Con un pensiero fisso: «La vita è piena di cose belle»

Forse la chiave di tutto sta in quel «Ma io non è che mi alzo la mattina e mi dico: come complico la mia vita?» che Isabella Rossellini mi dirà a un certo punto di questa lunga chiacchierata. La chiave della sua vita e anche di questa conversazione, che se mai tendo a complicare io perché chi ho di fronte è un animale guida (letteralmente), oltre che depositaria di Storia e storie incalcolabili, di incontri, di eredità fortuita e genio personale, soprattutto di ironia, e difatti la chiacchierate con lei sono contrappuntate da risate di cristallo, che dicono più delle parole – le parole del resto sono sopravvalutate, mi dirà sempre, più o meno, nel corso di quest’intervista.

Mi chiama dalla sua fattoria di Long Island, che è il posto dove vorrei vivere (glielo dirò), per parlarmi di Green Porno e delle altre serie di corti sugli animali e la natura (Seduce Me e Mammas) che, dopo quindici anni e la retrospettiva all’ultima Festa del Cinema di Roma, con relativo premio alla carriera, il 1° maggio arrivano finalmente da noi su MUBI. Lei li chiama «filmetti» e invece sono dei capolavori, piccoli solo per durata, due-tre minuti al massimo, e sono la profetica risposta, involontaria o forse no, a tutti i dibattiti che sarebbero venuti su femminile, gender, fluidità; sulla natura nostra, che spesso dimentichiamo dipendere dalla natura tutta. Tutto il resto su Isabella Rossellini probabilmente lo sapete, molto di questo verrà fuori chiacchierando, e ridendo molto. Cominciamo da Green Porno.

La cosa impressionante nel vedere oggi questi filmetti, come li chiama lei, è lo sguardo proiettato in avanti di un sacco di anni. Il discorso sulla natura, sul sesso…
La ringrazio. Ma per me l’intuizione centrale fu quella di avere un formato di corti da due minuti. Non era una mia idea ma di Robert Redford, che era rimasto entusiasta dall’avvento di YouTube, cominciato quindici-diciotto anni fa ma come posto dove si mettevano i filmetti di casa, dove le nonne potevano vedere i nipotini. Lui invece pensava che potesse diventare una nuova distribuzione oltre al cinema e alla tv, e specialmente per le cose corte, perché lui era innamorato del cinema muto che era pieno di corti, e che poi era finito per colpa dell’industrializzazione del cinema: adesso il film più corto che puoi fare per lo streaming è di mezz’ora. È stato lui a commissionarmi questi film lunghi non più di due minuti, da mettere insieme in una serie. E poi mi ha anche detto: “Se il tema è l’ambiente, ecco, sono più propenso a finanziarli”, perché è sempre stato molto impegnato sulle cose ecologiche. E io lì per lì mi son detta mah, non so che fare, e poi tac!, mi è venuto in mente Green Porno così com’è, un primo piano, io che dico “se fossi una mosca…” e poi mi trasformo in una mosca, e allora farei l’amore così… Robert mi ha dato i soldi per farne tre, gli sono piaciuti e abbiamo finito per farne una quarantina.

Isabella Rossellini nel corto di ‘Green Porno’ dedicato al gambero. Foto: MUBI

Forse la loro modernità, ancora oggi, dipende da questo ritorno alle origini del cinema, a un’essenza che, per paradosso, li rende attualissimi nel loro essere così classici.
Come nei giornali ci sono le vignette con solo un disegno e un fumetto, oppure Linus con una storia in quattro immagini, così ci dovrebbe essere anche nel cinema. Se aspetti l’autobus non è che puoi vedere una serie tv, neanche la più corta. Ma se vedi dei filmetti di due minuti ti diverti, ti intrattengono. Vai dal dottore e mentre aspetti di entrare ne guardi due, tre… Penso che il formato dello short film possa avere un futuro, siamo ancora agli inizi. Ci sono stati dei tentativi di finanziare i miei corti anche da parte degli Studios, e non vuol dire che non possa avvenire. Per adesso i miei film sono stati distribuiti solo su SundanceTV, un posto dedicato alle sperimentazioni, ma adesso li ha presi MUBI che è una distribuzione seria, ci è voluto tempo ma ci siamo arrivati. Se vanno bene su MUBI, poi magari ci saranno dei soldi. Il Sundance a un certo punto non me ne ha più dati perché mi hanno detto: “Su YouTube non sappiamo come monetizzarli, diventa un abuso di copyright”. E allora io ho fatto teatro, e non è che lì è più facile fare soldi, però sai che hai trecento posti, che quei posti hanno un costo, e il teatro prende una percentuale, io prendo una percentuale… È per questo che negli ultimi dieci anni ho fatto teatro usando i miei corti, era l’unico modo che avevo per monetizzarli.

Parlava di sperimentazione, e mi sembra che sia anche la sua attitudine. Lo dimostra la sua carriera che è sempre andata a cercare negli angoli del mainstream, o a volte proprio altrove.
Sperimentare è più divertente. Una volta lavorai con un regista che era Robert Zemeckis, che aveva fatto Roger Rabbit e avrebbe fatto Forrest Gump, e io con lui feci un film che si chiama La morte ti fa bella. Tutti si aspettavano che facesse solo cose di grande successo, e lui mi diceva: “Sulle mie spalle c’è il peso del mondo”. Quando sperimenti può andarti bene o male, ma hai meno responsabilità rispetto al successo. Certo uno se lo augura, non è che ne siamo indifferenti, però non è il fine: il fine è cercare altre maniere di raccontare. Forse perché mio padre era il più grande dei cineasti sperimentali, forse è per questo che mi diverte sperimentare.

Modella, attrice, icona, e nel suo caso non è una parola usata a sproposito. Adesso mi sembra che finalmente si parli di lei anche come regista e autrice. Crede che questo suo lato sia stato sottovalutato? Che ci sia voluto del tempo per affermarlo?
Da una parte sono anche un po’ sorpresa, davanti a tutta questa attenzione della stampa: non è che di solito succede, con film girati quindici anni prima. Ieri ho mandato una mail ai miei collaboratori, sono cinque-sei persone con cui facciamo questi film, e gli ho scritto: “Sono passati così tanti anni, ma ancora hanno una loro vita”. E il bello è che questa loro vita è piena di energia, non sono fatti vedere come se fossero una cosa antica, rétro, ma come una cosa nuova. Ne sono deliziata, però sì, è anche vero che c’è voluto molto tempo.

“Una cosa nuova”, dice, e difatti sembrano sgorgati proprio ora, anche per quel che riguarda la riflessione sul femminile, e su quella che oggi si chiama fluidità…
Ma non l’ho mica inventata io, l’ha inventata la natura. Quando sento dire che una cosa “è contronatura”, io rispondo: “Ma in natura esiste tutto!”.

«Uno il successo se lo augura, però non è il fine: il fine è cercare altre maniere di raccontare»

Ecco, questa mi pare la sintesi, la stessa che c’è nei suoi film. Ed è sempre fatta con leggerezza, senza mai puntare al “dibattito”.
Io l’importanza della sintesi l’ho imparata facendo la pubblicità. Qui il mio mandato era fare film di due minuti, e mi ricordo che nelle pubblicità, che sono di trenta secondi, ogni secondo aveva valore. È un esercizio di sintesi e precisione, e così è anche Green Porno: cosa voglio dire, e come lo dico visualmente anche senza usare troppe parole, perché le parole sono straziose (lo lascio così perché mi pare un aggettivo bellissimo, nda). Quando scrivo i miei copioni faccio sempre degli storyboard, per obbligarmi a risolvere i problemi visualmente e non con le parole.

È una lezione imparata sui set?
Credo di sì. Anche come attrice so che quando c’è un dialogo impossibile – quelli che in inglese chiamano exposition, quando dici “Ciao Mario, marito mio, non ti vedo da tre anni”, e sono battute difficilissime da dire – ecco lì so che in realtà stai raccontando una storia che il regista avrebbe dovuto raccontare in maniera visiva. Sono errori che si trovano spesso nei film, quei momenti in cui non sai come risolvere un problema e allora lo risovi con le parole. Per questo i miei copioni sono disegnati.

Isabella Rossellini tra diversi tipi di pene. Foto: MUBI

Nell’epoca in cui vogliamo etichettare tutto, nell’epoca dell’ultra identitarismo, i suoi corti, e la natura in generale, ci insegnano che invece alla base di tutto c’è la complessità.
È quella la cosa affascinante. Lei può immaginare la cosa più peccaminosa e depravata, e sicuramente in natura esiste. E questo mi diverte, mi fa ridere. Per esempio, prenda quelli che si chiamano ermafroditi sequenziali: non sono solo ermafroditi, pure sequenziali!

Le patelle: favolose.
Sì, le patelle, che cambiano sesso a mano a mano che invecchiano. È una cosa meravigliosa.

È un modo, il suo, per insegnarci la libertà?
Non so se è così letterale, anche perché siamo specie così diverse. Non mi metto a fare la militanza parlando di una patella, ho fatto questi corti solo perché ogni volta ero così sorpresa… Prenda i barnacles (in italiano cirripedi, nda) sono come dei piccoli vulcanetti che hanno una specie di becchetto che chiudono e poi aprono, e hanno il pene più lungo del mondo, l’aveva scoperto anche Darwin. Infatti nel primo monologo per il teatro che avevo scritto con Jean-Claude Carrière lui mi faceva dire: “Immaginate questo essere che è attaccato a una roccia ma la femmina è laggiù lontana, quindi deve avere sviluppato un pene molto lungo, relativamente alle sue misure. È come se da noi esistesse un uomo con un pene che esce fuori dalla finestra, attraversa la strada, entra in un’altra finestra, e poi c’è un corridoio, e a sinistra la stanza da letto, e finalmente trova la compagna” (ride spassosamente). Jean-Claude ha scritto questo, mi fa così ridere…

C’è un programma molto popolare in Italia, si chiama Belve, in cui l’intervistatrice inizia ogni conversazione con la domanda: “Che belva si sente?”. Non posso non prenderla in prestito per farla a lei, che è sempre in mezzo a tutti questi animali…
Ma belva è inteso come animale cattivo? Perché a volte mi chiedono “Che animale vorresti essere?”, ma non è questa la domanda…

Va bene anche così.
Allora, se dovessi reincarnarmi, preferirei farlo in un cane cittadino, di quelli che abbiamo noi a casa. Perché agli animali selvatici, poveracci, gli sta andando tutto male, soffrono moltissimo. Qui abbiamo i deer, i cervi, e io nel mio giardino li lascio entrare, ma tutti gli altri li cacciano, e mi fanno una pena, poverini, non riescono a mangiare, vengono cacciati… Io mi sento così fortunata ad avere dentro casa non soltanto le mosche ma dei mammiferi così grandi, belli, con le corna. I cani erano lupi e adesso i lupi sono in via di estinzione anche loro, invece i cani li trattiamo benissimo. Quindi vorrei essere un cane, ma un cane di New York, di Roma, di Milano, così non devo soffrire.

La complessità, il non definirsi, la continua ricerca mi sembra facciano anche parte del suo percorso di lavoro e di vita.
Ma io non è che mi alzo la mattina e mi dico: come complico la mia vita? No. Mi alzo la mattina e penso: cos’è che mi diverte? Cos’è che mi incuriosisce? E vado avanti così. Poi la fortuna è che ci sono tante cose che mi incuriosiscono, dalla moda al cinema alla biologia, e quindi riesco a fare tutto. Anche perché quando siamo vecchie, noi donne, e soprattutto noi donne belle, c’abbiamo un sacco di tempo, perché non è che ci vogliono più così tanto. Se faccio un film ci lavoro una o due settimane, la moda mi chiama meno di prima, quando ero supermodel e avevo l’anno booked up… Quindi questo mi permette di avere la mia fattoria, di fare i miei studi. Le curiosità sono così tante, la vita è piena di cose belle.

«Io mi alzo la mattina e penso: cos’è che mi diverte? Cos’è che mi incuriosisce? E vado avanti così»

E quanto pesa, se pesa, il bagaglio di esperienze che si porta dietro?
Se vuole un esempio pratico, io mi sono laureata all’Accademia di costume e moda in Italia, ma poi non ho mai realmente fatto costumi, anche se pensavo di diventare costumista. Però poi in Green Porno sono diventata costumista, quindi studiare all’Accademia mi ha aiutato.

E il peso dei ricordi, invece?
Non riesco a capire cosa intende… Delle volte sì, delle volte no. Certo a 71 anni uno c’ha tanti morti, a volte ci penso e mi mancano, ma non è che dettano loro la mia vita. Ma non capisco la domanda. Perché mi chiedono sempre dei miei genitori, ma arrivandoci sempre in maniera un po’ contorta… (ride)

No no, io le avrei chiesto dei suoi genitori in modo sfacciato, anzi ne approfitto e lo faccio adesso. In uno dei suoi corti, quello sul piping plover (il corriere canoro), lei dice: “Ah, se fossi un piping plover, sarei brava come Ingrid Bergman!”. Mi ha fatto molto ridere.
Quelli sono uccelli che fanno finta di essere feriti, così attraggono la volpe che cerca di andarli a prendere perché è più facile cacciarli e intanto loro tengono i predatori lontani dai nidi. Recitano, fanno finta, raccontano bugie, e quindi nel filmetto io sono una cattiva attrice e mi prendo le pomodorate, e penso: “Ah, se solo fossi un piping polver, se solo sapessi recitare, sarei brava come Ingrid Bergman!” (ride moltissimo)

Isabella Rossellini a 13 anni mentre passeggia per Roma con la madre Ingrid Bergman. Foto: Bettmann/Getty Images

Il confronto coi suoi genitori è stata più una cosa sua o degli altri?
Degli altri.

Però, penso io, prima del confronto c’è sempre il riconoscimento di una fortuna immensa.
Io ho adorato i miei genitori. Anche loro sono stati molto sperimentali, ma non è che io dovevo ripetere i loro esperimenti: io faccio i miei, se no non si chiamerebbero esperimenti. Credo che poche attrici abbiano lavorato come mamma da Hollywood alla Svezia, all’Italia, alla Francia, al teatro in Inghilterra. Il ventaglio delle esperienze di mamma poche attrici l’hanno avuto. E papà è stato il padre del neorealismo per eccellenza, e poi ha continuato per tutta la vita a sperimentare. Una volta che il neorealismo si è affermato, non ha voluto fare solo film con quello stile, anzi se n’è allontanato per fare le biografie di uomini storici, quelli che i critici chiamano i suoi film didattici.

Cambiare è nel Dna di famiglia.
Forse sì. Non ho mai detto: ah, mio padre ha fatto il neorealismo, quindi anch’io faccio questo. O: mamma ha fatto Casablanca col cappello messo così, quindi anch’io faccio l’attrice e mi metto sempre il cappello. Ho sperimentato da sola. Però l’allegria del cambiare, quella felicità, forse l’ho appresa in casa, sì.

Il cinema era un destino inevitabile?
Mia sorella gemella fa la storica dell’arte, quindi no: non era inevitabile. Però il cinema è divertente.

Certi incontri a cui il cinema porta mi sembrano però inevitabili. Ultimo in ordine di tempo, quello con Alice Rohrwacher per La chimera, si sente proprio una sintonia sui temi, anche lì la natura, anzi proprio la terra…
Alice la sento molto vicina, la ammiro moltissimo. Anche lei come me ha il senso di quella storia che viene dal cinema italiano, nel suo cinema ci sono tracce di neorealismo, c’è mio padre, e Pasolini, Fellini, però c’è anche la sua magia, la sua espressione. Poi suo padre è un apicultore, e io c’ho le api… ma suo padre fa un sacco di miele, io ne faccio centocinquanta chili l’anno, lui ne fa tremila (ride), ha un vero business. Però con Alice parliamo molto di api, sì.

Isabella Rossellini nei panni di un’ape in uno dei suoi corti. Foto: MUBI

Lei fa la vita che molti, o quantomeno io, vorrebbero. Sempre in giro, ma di base in questa fattoria piena di animali, in mezzo alla natura.
C’è un errore che fanno tutti i cittadini: pensano di non essere parte della natura. Ma noi tutti siamo parte della natura, anche se si vive nell’asfalto. Qui è un po’ diverso, sì, ma l’idea che in campagna ci si riposi non è vera.

Quello non l’ho mai pensato.
Ah ecco, perché è un lavoraccio, è molto impegnativo, anche se molto interessante: tutti i giorni scopri delle cose.

In questo momento cosa succede nella fattoria?
Si risveglia tutto, e da una parte è meraviglioso, vediamo i fiori, gli alberi mettere foglie nuove… Però si risvegliano anche le erbacce, quindi c’è da toglierle se no invadono i campi. Le api adesso mi preoccupano moltissimo perché le regine devono iniziare a fare molti figli… no, figlie: fanno più figlie che figli. E quindi bisogna essere sicuri che le api regine stiano bene, che ci siano i bebè nelle arnie. E poi le galline. Io non le forzo a fare le uova, al supermercato le uova le troviamo sempre perché le galline oggigiorno le tengono sotto la luce, e la luce stimola l’ormone che fa fare le uova. Le mie fanno le uova e, a mano a mano che i giorni diventano più lunghi, ne fanno di più, poi quando a giugno c’è il solstizio d’estate iniziano a farne sempre meno, fino a farne pochissime a partire da ottobre. Adesso c’avremo, non so, cinquanta cartoni di uova a settimana, a novembre se va bene due. Però con l’arrivo della primavera ci sono anche i vermi che si svegliano, e bisogna controllare che nessuno si ammali. Adesso c’è l’influenza aviaria, che è molto pericolosa per le galline, se una è infettata si infettano tutte e sono costretta a chiamare la sanità, che però me le ammazza. Insomma, è un management interessantissimo ma difficile, devi stare sempre all’erta, e la primavera è il momento in cui tutto può esplodere, d’inverno invece tutto si calma, anche i virus.

«Ho sperimentato da sola. Però l’allegria del cambiare l’ho appresa in casa, sì»

Lo scorso inverno sono andato all’Institut Lumière a Lione…
Che posto meraviglioso…

Meraviglioso, davvero. Ed era meravigliosa questa mostra di foto di Wim Wenders in cui c’erano anche quelle famose di lei e Martin Scorsese nel deserto, ed è ancora più meravigliosa la storia che c’è dietro. Aspetti, mi ricordi: eravate voi o Wenders ad aver bucato?
Noi, noi… Martin, che non è molto sportivo, anzi non è assolutamente sportivo, è partito da… dov’eravamo? Telluride. Avevamo deciso di prendere una macchina ma io non guidavo, guidava lui. Stavamo insieme ma non è che lo conoscessi così bene, adesso che lo conosco meglio so che ha fatto una cosa pericolosissima, che io non avrei mai dovuto fare. Che era, appunto, partire in macchina da Telluride e andare a vedere la Monument Valley, perché Martin voleva vedere i set di John Ford. Quindi siamo partiti nel deserto senz’acqua, senza niente, e… bum, si è bucata una gomma. Siamo rimasti in mezzo al niente, i telefoni non c’erano, c’era un caldo e non avevamo neanche un ombrello, non potevamo stare all’ombra. E quando dal fondo è arrivata una macchina c’era Wim Wenders, che ci ha salvato: lui è un tedesco, molto più sportivo e organizzato di Martin. Non mi ricordo più che cosa ne abbiamo fatto della macchina che guidava Martin, siamo saliti su quella di Wim Wenders e siamo arrivati alla Monument Valley, e lì ho capito che i registi sono incredibili. Lui e Martin guardavano i panorami e dicevano: “Ti ricordi, qui c’è il primo piano di The Searchers (Sentieri selvaggi), l’inquadratura l’ha fatta lì ma quando ha fatto il controcampo l’ha un po’ truccato per prendere quella montagnola là…”. Sapevano tutto non solo dei film, ma proprio delle rocce che si vedevano nei film di John Ford. Io li guardavo con stupore, era una cosa incredibile.

E torniamo agli incontri che dà il cinema. Nel deserto, più raramente, o più spesso sui set, ai festival…
Ai festival si vede solo la stampa (ride). È più divertente essere in una giuria, lì vedi un sacco di film e puoi parlare con tanti altri autori.

Isabella Rossellini con Joaquin Phoenix in ‘Two Lovers’ (2008) di James Gray. Foto: BIM Distribuzione

Parliamo di un po’ di autori con cui ha lavorato. Uno dei suoi film a cui sono più affezionato, all’epoca molto sottovalutato e oggi pressoché dimenticato, è Two Lovers di James Gray.
Bello, vero? E anche molto straziante. James Gray mi faceva così ridere. Faceva vedere i film neorealisti di mio padre a tutta la troupe, agli elettricisti, per ispirarli. E loro li guardavano perché si faceva quello che diceva il regista, per far piacere al sior padron, e poi però dormivano tutti, e a me faceva così ridere (ride ancora adesso). Era il suo modo di fare militanza, di insegnare che il cinema dev’essere amato, e io gli dicevo: “James, ti sono così riconoscente, ma questi stanno a dormire!” (ride). Però era commovente. L’ho incontrato all’aeroporto alcuni giorni fa, ci siamo abbracciati, non ci vedevamo da tanto, e allora gli ho chiesto notizie della famiglia, e lui mi ha detto: “Sai, i miei figli hanno tredici anni, gli ho fatto vedere Fellini e loro l’hanno guardato tutto!”. E allora io gli ho detto che ai miei nipotini e ai bambini del villaggio dove vivo ho fatto vedere Charlie Chaplin, tutti i sabati, e si sono fatti un sacco di risate, e io mi sono commossa, tutti quei bambini a vedere dei film muti in bianco e nero… Il prossimo inverno lo rifacciamo, vado avanti col cinema muto, anche perché fa freddo, bisogna trovare il modo di far passare il tempo ai bambini, gennaio e febbraio qui sono terribili.

Cosa ricorda con più affetto della sua carriera d’attrice?
Alla fine quello che ti rimane sono i rapporti con i registi. Quella con David Lynch è stata una collaborazione profonda. Con Guy Maddin abbiamo fatto un sacco di film, e per i miei filmetti uso la sua troupe, sono solo cinque-sei persone e allora riesco a dire: “Zitti, azione!”; se fossero ottanta come su certi set non ci riuscirei. Con John Schlesinger abbiamo fatto un film che non ha avuto nessun successo (The Innocent), ma lavorare con lui è stato meraviglioso. E poi le dicevo James Gray, mi piacerebbe lavorare di nuovo con lui, il suo ultimo film (Armageddon Time – Il tempo dell’apocalisse), quello con Jeremy Strong, è bellissimo. Pensi, Jeremy Strong è stato mio assistente, quand’era piccolo piccolo, e adesso è una superstar. Mi ricordo che lui voleva fare l’attore e io pensavo: “Non ha il physique du rôle”. Invece ha visto che carriera ha fatto? (ride di gusto)

Rivedremo la Isabella Rossellini autrice?
Non lo so. Ho fatto tanto teatro, l’anno prossimo finisco e magari farò delle altre cose, ma non voglio più fare le tournée, sono troppo vecchia, soffro troppo la solitudine, viaggi viaggi viaggi, e stare sempre negli alberghi mi fa tristezza. Se i corti vanno bene su MUBI chissà, se ci sono soldi e mi chiamano ne farei altri molto volentieri. Se non sarò troppo vecchia.

Posso chiederle cosa la rende felice oggi?
(Ride) Tante cose. Non riesco a rispondere a domande così vaghe… Essere nonna mi piace tantissimo. I miei nipotini mi rendono felice.

Dev’essere una nonna molto simpatica: sta sempre in mezzo agli animali, gli fa vedere Charlie Chaplin.
E faccio le notti, anche. Stanotte mi sono occupata del bambino di sei settimane, e anche sabato ho fatto la notte, ho dormito solo domenica. Sono una nonna simpatica, e anche molto paziente.

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