Jamie Lee Curtis è nel pieno della campagna promozionale di Halloween Ends, l’ipotetico capitolo finale di un franchise horror che ha avuto un ruolo importantissimo nella sua vita fin da quando aveva 19 anni. Ma, in questa giornata di metà agosto, la sua attenzione è rivolta da altro: la piccola notifica di Zoom che segnala che la conversazione viene registrata. «Dice “Capito”: non ti sembra un po’ troppo informale?», mi chiede. «Quello che mi infastidisce di Zoom è la presunzione che io sia d’accordo e del tutto a mio agio. Zoom, non ci siamo mai incontrati».
Nemmeno io l’ho mai incontrata prima d’ora. L’attrice sessantatreenne è sul letto di una bella stanza con pannelli di legno alle pareti, in quella che definisce «una località montana segreta». È sdraiata su un fianco e la sua camicetta nera a maniche lunghe offre un contrasto netto con le lenzuola candide. Questa sua posa rilassata, ma anche quello che sta per dire, conferma che è decisamente a proprio agio: «Hai mai sentito quella bellissima canzone di Al Yankovic, Word Crimes?».
Halloween Ends, che esce il 13 ottobre, è l’ultimo tassello della trilogia di Halloween dello sceneggiatore e regista David Gordon Green che riprende la storia là dove si era interrotta con il film originale del 1978, come se gli altri nove sequel non fossero mai esistiti. Curtis ci ha parlato della sua ultima volta nel ruolo di Laurie Strode, dell’unica battuta che abbia mai improvvisato in 45 anni di carriera e del motivo per cui pensa che dare consigli sia un gesto ostile.
Halloween Ends è davvero il capolinea per Laurie Strode, il tuo personaggio?
Credevo che fosse arrivata a fine corsa già diversi anni fa. L’ultima cosa che avrei pensato al mondo era girare un altro film di Halloween. Poi, un giorno, ero a casa e il telefono ha squillato: era Jake Gyllenhaal. Mi ha detto: “Il mio amico David (Gordon Green, ndt) vorrebbe parlarti”. Ed è finita che ho fatto altri tre film in cinque anni. Sicuramente è la fine della trilogia. Quest’anno ci sarà il mio compleanno beatlesiano (64 anni: cita When I’m Sixty-Four dei Fab Four, ndt) e mi sento più vitale che mai. Ma se penso che fra dieci anni probabilmente non mi sentirò meglio, allora mi dico: “Perché no?”.
Perché ti senti così vitale?
Wow, è una domanda difficilissima e non c’è una risposta rapida. Ci sono molti fattori in ballo. Sto pensando di scrivere un libro intitolato Die Alive (“Muori da vivo”, ndt), che è un po’ diventato il mio motto. Voglio arrivare alla fine restando molto creativa. C’è un momento in cui le persone capiscono di non avere più tempo da buttare: per me è giunto a 60 anni. “Se non lo faccio adesso, quando? Se non lo faccio io, chi lo farà?”. Mi sono resa conto di essere stata una persona creativa fin da quando avevo 18 anni, e ci sono tante cose che mi frullano nel cervello e non ho mai fatto. Ho idee per un film e per un programma televisivo. Ho girato un cortometraggio in Super-8 che parla di un botanico la cui moglie viene mangiata dalle piante che tiene in casa. Ho un sacco di roba in testa (ride)! Se morissi senza dar sfogo a tutta questa creatività sarebbe una tragedia. Questo mi ha acceso un fuoco dentro.
Un altro buon titolo per il tuo libro sarebbe una battuta presa da Quel pazzo venerdì: Make Good Choices (“Fai delle buone scelte”, ndt).
È l’unica battuta che io abbia mai improvvisato in tutta la mia vita. Era il primo giorno di riprese, eravamo alla Palisades High School. Nel film avevo un figlio di 5 anni e una figlia di 15. In una scena dovevo lasciarla davanti alla scuola e, per qualche motivo, quella frase mi è uscita di bocca. Il significato reale è che devi fare scelte coraggiose, esporre le tue idee al mondo. Sono tue, solo tue.
Quel pazzo venerdì è uscito una ventina d’anni fa. Perché pensi che piaccia ancora tanto ai più giovani?
Perché tutti sono sempre alle prese con il rompicapo dell’età adulta e della gioventù. Tutti giudicano gli altri molto severamente, ma il succo è nel vecchio adagio che recita: “Mettiti nei miei panni”. Quel film è un perfetto esempio di quelle situazioni in cui sfidi qualcuno perché ti fa arrabbiare a causa delle limitazioni che ti impone. Poi però ti metti nei suoi panni e capisci che, in effetti, c’è un motivo per cui ci sono tante regole da rispettare.
Nel film sei coprotagonista con Lindsay Lohan e fra voi c’è un’alchimia fortissima. Vi sentite ancora?
Sì, ci sentiamo. Quando faccio amicizia con qualcuno di famoso tendo a essere molto protettiva. Perché il mondo è pieno di immondizia e di millantatori che fingono d’essere chi non sono. Per cui, quando magari mi scrivono “Ehi Jamie, sono Tizio-Caio”, ho delle domande segrete da fare: se mi danno la risposta giusta, so che sono davvero loro.
E qual è la tua domanda segreta per Lindsay?
Te lo dico, ma dovrò poi trovarne un’altra. Comunque fino a questo momento la mia domanda per lei è stata: “Qual è la canzone che tentavamo di imparare a rappare insieme, quando giravamo la scena dell’automobile?”. Ed era il brano di Justin Timberlake Like I Love You. Nel mezzo della canzone c’è un intermezzo rap di Clipse e noi due ce ne stavamo in auto a far partire e stoppare il mangiacassette – pensa a quanto tempo è passato – per imparare a rappare “Ma, what you want to do? I’m in front of you / Grab a friend, see I can have fun with two”.
Hai altre domande segrete che puoi svelarmi?
Ne ho una per Daniel Craig. Se per qualche motivo mi manda un messaggio, gli rispondo: “Qual è stato l’ultimo regalo che mi hai fatto?”. Ma non ti dico qual è, perché dovrei cambiare anche questa domanda. È una cosa che sappiamo solo noi due.
Quando ti hanno affibbiato l’etichetta di “scream queen”, dopo Halloween, ti ha consolato sapere che anche tua mamma Janet Leigh era passata attraverso un’esperienza simile, dopo aver recitato in Psycho?
Sicuramente. Forse il più grande vantaggio di essere cresciuta in mezzo allo show business è stato proprio avere la consapevolezza che quella cosa può diventare un problema. Per cui c’è stato un momento in cui ho deliberatamente detto che non avrei più fatto film di quel tipo. Forse è stata l’unica volta in vita mia che ho operato una scelta simile, come performer, decidendo di non accettare più ruoli del genere.
Essere figlia di due celebrità è un’arma a doppio taglio: hai un vantaggio, ma devi anche dimostrare di continuo le tue capacità. Quando pensi di esserti affermata, come attrice?
La notiziona è questa: non penso di averlo mai fatto. Ogni volta che affronto un nuovo impegno parto da zero, con la massima apertura. Non capisco come io sia riuscita a farlo per tanto tempo e credo che non lo capirò mai. Ma non penso che comprenderlo sia compito mio. Il mio lavoro è farlo e basta. Sono stata molto fortunata a recitare in tanti ambiti differenti: cose buone, meno buone, successi, fallimenti, cose di alto profilo, cose di bassissimo profilo. Spot televisivi per yogurt che ti fanno andare al gabinetto, per i collant L’eggs, per televisori con maxischermo, per telefoni, per Hertz con O.J. Simpson. Quando ero giovane, qualcuno si è reso conto che facevo vendere roba. Per via del film Baby Boom si stava affermando sul mercato l’immagine della donna come dirigente aziendale e c’era bisogno di qualcuno che rappresentasse quel target. Volevano che quella persona fosse divertente e avesse una certa fisicità. Per qualche ragione, e chissà per via di quale mio film, qualcuno ha detto: “Bene, cosa ne pensate di lei?”.
È vero che durante la lavorazione di Perfect, il film del 1985 in cui recitavi nei panni di un’istruttrice di aerobica, ti allenavi per quattro ore al giorno?
No. La verità è che non mi allenavo quasi mai. Non mangiavo molto, ma non sono certo una a cui piace allenarsi.
Negli ultimi anni è partito un trend per cui i film degli anni ’80 vengono rispolverati, da Il principe cerca figlio a Top Gun: Maverick. Vedi possibile un sequel di Una poltrona per due?
Sicuro. Sarebbe una bellissima opportunità di recitare ancora con quelle persone. E tutti, a parte i più anziani, sono ancora vivi e lavorano. Mi piace pensare, però, che ci siano nuove idee in giro. La notizia più bella, per me, è che quest’anno è uscito Everything Everywhere All at Once, che incarna una nuova idea di film e racconto. Sono sempre tesa verso le cose nuove e creative piuttosto che verso il ripescaggio di vecchie idee. Ma se mi chiamassero dicendo che gireranno un nuovo film con Danny (Aykroyd) ed Eddie (Murphy), lo farei sicuramente. Mi piacerebbe sapere che fine ha fatto Ophelia.
Qual è il miglior consiglio che hai mai ricevuto?
Non mi piacciono i consigli, li trovo una pratica ostile. Parti dal presupposto che le tue idee siano migliori di quelle degli altri. Non sono affari miei. Il miglior consiglio che potrei dare a qualcuno non è farina del mio sacco. C’è un libro di una scrittrice che si chiama Marisha Pessl intitolato Special Topics in Calamity Physics. Tutti si fanno un’idea di come la loro vita dovrebbe andare, ma lei spiega che “la vita dipende dagli istanti che non ti aspetti. Ciò che fai in quei pochi secondi determina il corso degli eventi a venire e non puoi sapere cosa farai finché non arrivi lì”. Questa cosa mi ha colpito molto, perché ogni singola cosa nella mia vita, buona o cattiva, è dipesa da un paio di istanti inaspettati. Ho visto una foto di mio marito su Rolling Stone e ho detto a Debra Hill (sceneggiatrice di Halloween, nda): “Sposerò questo tizio”. Era una foto di Chris (Guest, regista, sceneggiatore e attore sposato con Curtis da 37 anni, nda), Harry Shearer e Michael McKean tutti assieme, nel 1984. Poi ho girato la pagina e c’era uno scatto di loro in Spinal Tap. Credo fosse il numero di maggio, con Cyndi Lauper in copertina. Me ne stavo sul divano della mia casa al 1416 di North Havenhurst Drive, West Hollywood, e ho detto: “Sposerò questo tizio”. E Debra: “Oh, è un attore. Si chiama Chris Guest. È con la tua agenzia”. Così ho telefonato al suo agente e gli ho lasciato il mio numero. Non mi ha chiamata. Quindi sono uscita con un altro tipo, ma poi abbiamo rotto. Una sera sono andata con Melanie Griffith – che è ancora la mia migliore amica – e suo marito Steven Bauer da Hugo’s, il ristorante di West Hollywood. Ci siamo seduti e a un paio di tavoli di distanza c’era Chris, girato verso di me. Era il 28 giugno del 1984. Siamo usciti insieme il 2 luglio 1984. L’8 agosto lui è partito per fare il Saturday Night Live per un anno, mentre io da agosto a dicembre ero impegnata a Los Angeles con le riprese di Perfect. Chris ed io ci siamo sposati il 18 dicembre del 1984. E così la mia vita è cambiata grazie a un paio di secondi inaspettati. Bisogna sempre essere aperti a ogni opportunità e vedere cosa accade.
Se incontrassi la versione giovane di te stessa, cosa le diresti?
Il mio primo istinto sarebbe quello di fare una battuta, poi però, dando ascolto al mio lato materno, mi metterei a piangere. Perché essere giovane per me è stato molto duro. Penso che sia difficilissimo essere giovani. Le direi di abituarsi a star bene da sola, perché nella vita le accadrà molte volte. Quando sei giovane non sei mai solo. Poi diventi adulto e ti trovi spesso da solo coi tuoi pensieri.
Nel 1985 abbiamo pubblicato la frase che avevi scelto per l’annuario scolastico del 1976: “Essere strani è una virtù che solo pochi sanno sfruttare al meglio. Le mie tette non sono grandi, ma sono le mie”.
Lo so, lo so. Leggerla adesso mi spezza il cuore. Non sapevo nulla. Non pensavo con la mia testa. E certe cose poi tornano a tormentarti anni dopo. Ieri ho letto una cosa, in quell’articolo su Millie Bobby Brown. Era una frase sulla gente che ti odia prima ancora di sapere chi sei. Mi fa venire da piangere. Mettiamo tantissima pressione sui giovani perché abbiano le idee chiare su chi sono in quella fase della loro vita. Ecco, questo è il consiglio che voglio dare ai giovani. È un vero consiglio. Non leggete i commenti. Non fatelo, perché sono letali e la gente vuole solo ferirvi. Sono il regno dell’odio, della gelosia meschina e delle insicurezze dei trollatori. Come puoi non prendere sul personale quelle cose, quando sei un teenager? Io ho eretto una muraglia fra me e loro. Ho diritto a una vita privata. Non iniziate con le stronzate che siccome sono un personaggio pubblico non posso avere una privacy. Ho una versione di me per il pubblico, come chiunque da sempre nella storia dello show business. E sono brava a mostrarla. Poi però ho un lato privato in cui nessuno è autorizzato a intromettersi.
Anche Chris è molto riservato.
È stata una sfida per il mio matrimonio, perché io sono un personaggio con molta esposizione pubblica. Mi hanno cresciuta due star del cinema. Capisco tutti gli aspetti di quel lavoro e lo faccio bene. Ma mio marito crede che debba esserci privacy totale, sempre. Ha scelto di non avere una vita pubblica e lo rispetto per questo, anche se può essere molto difficile.
Pensi che questo abbia aiutato a rendere così longevo e duraturo il tuo matrimonio, soprattutto dato che vivete a Hollywood?
La verità è che conosco solo coppie sposate da tanto tempo. La maggior parte delle persone con cui sono amica sono impegnate in relazioni lunghe e serie: Billy Crystal, Rob Reiner… E nei casi in cui i matrimoni sono finiti, l’hanno fatto dopo trent’anni. Quindi non rappresento un buon esempio di ciò che accade nello show business, perché quello non è il mio giro.
Pensi che gli Spinal Tap siano una vera band?
So che lo sono.
Quante volte hai visto il film?
Tante. Davvero tante.
Qual è il miglior concerto che hai mai visto?
Alanis Morissette al Greek Theatre, ai tempi del grande successo di Jagged Little Pill. Ci ho portato mia figlia e la sua amica. E poi un concerto privato, in Irlanda. Stavamo andando a vedere Eminem a un festival all’aperto vicino a Dublino nel 2003. Ero con il mio amico regista John Boorman e alloggiavamo in una casa con un fienile che era stato trasformato in una cappella. Mentre facevamo un giro nella parte ristrutturata, Sinéad O’Connor ha iniziato a cantare a cappella proprio lì, nella cappella vuota di quella fattoria irlandese, e io ero l’unica persona nella stanza con lei. È stato meraviglioso.
Con la recente trilogia di Halloween hai dimostrato che si può anche avere una certa età, a Hollywood, ed essere lo stesso tostissimi. Stai ancora lottando contro questo stereotipo?
Nel 2018 stavo promuovendo Halloween e sono uscite delle statistiche secondo cui era il film con una protagonista over 50 ad avere incassato di più. Non è che io sia mai stata una femminista attivista durante la mia vita, ma quella cosa mi ha regalato un momento di vero orgoglio. Ho anche visto in giro i meme che dicono che faranno film di Halloween finché io non avrò ottant’anni, e li ho trovati divertenti. Vedremo se riesco a sfondare il tetto degli 80. Insomma, Jane Fonda lo sta facendo, cazzo. Quindi magari ho una chance.
Se tu dovessi messaggiarmi, che domanda speciale dovrei farti per capire che sei davvero tu?
Stai compiendo il tuo destino? Perché tutti siamo qui per quello.