«All’inizio Bernardo era questo meraviglioso e profondissimo regista italiano che aveva realizzato alcuni dei miei film preferiti. Nel corso degli anni è diventato il mio migliore amico, e abbiamo vissuto tante esperienze incredibili girando film insieme in tutto il mondo». Quello tra Jeremy Thomas e Bertolucci è stato davvero un «incontro fatale», come racconta anche Valentina Ricciardelli, presidente della Fondazione Bertolucci: «Bernardo aveva in mente questa meravigliosa follia dell’Ultimo imperatore, ma non riusciva a trovare un produttore adatto, e questo giovane produttore inglese – perché Jeremy all’epoca era molto giovane – è stato coraggiosissimo. Si sono davvero trovati: entrambi cinéphile e molto sofisticati, per loro il cinema era la vita e la vita era il cinema, avevano anche lo stesso humour. C’è stata una vera e propria comunione di gusto e di caratteri, diventata poi grande affetto».
Domenica 26 novembre ricorrono i cinque anni dalla morte di Bertolucci, e nel 2023 ci sono altri due anniversari importanti: Piccolo Buddha compie trent’anni e The Dreamers venti. Insomma, un anno più bertolucciano che mai: «Abbiamo cominciato le celebrazioni a Bologna al Cinema Ritrovato, dove abbiamo proiettato appunto The Dreamers restaurato, che uscirà nelle sale italiane a gennaio: anche se il film ha solo vent’anni aveva già bisogno di restauro, e per fortuna ce ne siamo accorti subito», spiega Ricciardelli. «È stata una serata eccezionale in Piazza Maggiore con Jeremy, che è molto coinvolto nella Fondazione e mi aiuta moltissimo, con Luca Guadagnino e Marisa Paredes, un’altra amica del cuore di Bernardo».
E il 2023 è anche l’anno in cui la Fondazione Bertolucci è arrivata a Parma: «A luglio finalmente Bernardo è tornato a casa, ed è l’inizio di un nuovo periodo». E proprio nella città emiliana sabato 25 novembre verrà proiettata la copia restaurata di Piccolo Buddha alla presenza di Thomas (alle ore 21 al Teatro al Parco, con l’introduzione del produttore insieme a Marcello Garofalo e in collaborazione con il Parma Film Festival): «Sono felice di iniziare la storia della Fondazione a Parma con Jeremy e con questo film, che è così forte dal punto di vista umano, una fiaba piena di poesia e di messaggi molto contemporanei come l’amore per la diversità e, soprattutto, la compassione. Bernardo riusciva ad avvicinarsi a questi temi da laico e da occidentale, lo chiamava “innamoramento fra culture”, che per lui era il senso dell’arte. E poi c’è tutta la sua cinefilia, con tanti riferimenti a Hollywood, a De Mille, a Powell e Pressburger, ma anche a Renoir, a Rossellini, quindi è proprio Bernardo, c’è tutto il suo amore per il cinema e per l’umanità».
Il rapporto tra Jeremy Thomas e Bertolucci è iniziato con una telefonata del regista: «Aveva visto il mio film con Nagisa Ōshima, Merry Christmas, Mr. Lawrence (da noi titolato Furyo, nda), e aveva notato l’ambizione della produzione, perciò mi ha chiesto se potevamo pranzare insieme. Ero anche amico della regista Clare Peploe, moglie di Bernardo, e di suo fratello, lo sceneggiatore Mark Peploe», ricorda IL produttore per eccellenza: nato a Londra, ha lavorato con tanti grandi autori – da David Cronenberg a Jonathan Glazer, da Wim Wenders a Terry Gilliam, passando per Jerzy Skolimowski e il nostro Matteo Garrone – e ha, oltre a un fiuto straordinario e una passione sconfinata per il cinema, quello che a un produttore non deve mai mancare: l’audacia.
«Ho suggerito Lee Ho Fook, uno dei miei ristoranti preferiti a Chinatown, proprio vicino al mio ufficio. Stavo giusto ordinando da mangiare e Bernardo ha detto: “È così strano che tu abbia scelto un ristorante cinese, devi aver avuto una premonizione perché voglio fare un film in Cina, nella Città Proibita”. In questo primo incontro, Bernardo mi regalò l’autobiografia di Pu Yi in due volumi, che fu poi adattata proprio da Mark Peploe nella sceneggiatura dell’Ultimo imperatore».
E poi la straordinaria avventura che portò a uno dei capolavori assoluti della storia del cinema: «Quando guardo L’ultimo imperatore oggi, non ho idea di come sia successo tutto», continua Jeremy. «Ottenere i permessi per le riprese del film è stato molto lungo e difficile, così come trovare i finanziamenti e mandare avanti la produzione – mi sembrava di stare dentro un tunnel – e poi prepararsi e girare in Cina per sei mesi, senza mai fermarsi. Ma il risultato è questo film bellissimo». Come spesso succede, le difficoltà passano, anche nei ricordi, e rimane la meraviglia: «Ora ho completamente dimenticato tutte quelle sfide, e penso solo all’esperienza sbalorditiva di trovarsi in Cina all’inizio della politica della porta aperta, poter girare quel film lì, nella Città Proibita, con un regista come Bernardo, con il quale ho coltivato uno splendido rapporto di amicizia per più di trent’anni e sei film. È stato un momento importantissimo della mia vita e della mia carriera, e in effetti realizzare il film in quel periodo rappresentava il 100% della mia vita. La cosa difficile del successo di quel film era che era qualcosa di difficile da emulare, non sono mai più stato al vertice di un film così».
L’11 aprile 1988 L’ultimo imperatore vinse nove (NOVE) Oscar, compresi quelli per miglior film e regia: «Può essere una maledizione l’Academy Award! Pensi che sia privo di significato finché non vieni nominato», ricorda Thomas. «Il discorso di accettazione di Bernardo diceva tutto: “Se New York è la Grande Mela, Hollywood è il grande capezzolo”. Tutti erano rimasti perplessi, e poi nel backstage la stampa gli chiese: “Signor Bertolucci, cosa intendeva con ‘grande capezzolo’?”, e Bernardo risponde: “Perché stasera ho bevuto il latte di Hollywood”. Mi sono sentito allo stesso modo».
Con Bertolucci poi Thomas avrebbe realizzato anche Il tè nel deserto e Piccolo Buddha, che, insieme all’Ultimo imperatore, compongono la trilogia orientalista: «Non so come si farebbero oggi quei film, nel circuito indipendente. Non c’erano riprese digitali, era prima della CGI ì, ed era tutto girato con persone reali». E anche il making of di Piccolo Buddha è stato per Jeremy qualcosa di indimenticabile: «Il film è stato realizzato a Seattle, in tutto il Nepal e in alcune incredibili località del Bhutan. Abbiamo seguito le orme di Siddhartha e anche dove il Buddismo vive là in alto, sull’Himalaya, in Bhutan, in quei monasteri che ancora esistono e funzionano. Come per la Città Proibita, nessun film era mai stato girato lì prima di allora, e Bernardo amava accendere la sua macchina da presa su cose che la gente non aveva mai visto», sottolinea il produttore, che racconta anche la scelta di Keanu Reeves per quella parte così complessa e delicata: «Fare il casting per un film è molto speciale, e Keanu è stata una scelta naturale per interpretare questo ruolo unico, il suo aspetto e il suo carisma erano ideali per quello che Bernardo voleva. Keanu poi ha definito quell’esperienza davvero affascinante dal punto di vista fisico e intellettuale. E tutti noi ricordiamo quel set come memorabile, una storia speciale sull’incarnazione e sulla collocazione del Buddismo nella cultura occidentale».