Jesse Eisenberg è semplicemente il migliore della sua generazione. Con Natalie Portman rappresentano per il loro tempo ciò che sono (stati) Robert De Niro e Meryl Streep alla fine degli anni Settanta. Anche se molti non se ne accorgono, anche se forse neanche loro lo sanno. Jesse è gentile, quando mi chiama in un orario complicato – per via del fuso orario – prima si presenta e poi si scusa. È dritto nelle risposte, secco, a volte ruvido. Ma intelligente, attento, preciso. Come lo Zuckerberg di The social network, ma senza quella cattiveria. Café society, di Woody Allen, è la sua occasione per far capire che può essere altro, per comunicarci quell’eclettismo evidente a chi lo segue da 20 anni, ma non a chi lo ha scoperto tardi.
Woody Allen, buona la seconda tra di voi? Com’è andata?
È un grandissimo regista, un professionista esemplare, ti stupisce la sua forza sul set. E anche la sua intransigenza. Mi viene in mente la scena in cui al telefono negozio con una prostituta la sua prestazione. Ero imbarazzatissimo e andavo da Woody chiedendo di farla in una certa maniera per non sentirmi così a disagio. E lui è stato inflessibile, si è quasi arrabbiato e ha preteso che la facessi come diceva lui. È stata forse la scena più difficile, ma aveva ragione lui, andava fatta con quel tono, con quelle sfumature. Confesso che è imbarazzante anche raccontarla ora, ma ciò che in quel momento mi sembrava marginale, ora mi rendo conto quanto fosse importante. Certo, girarla è stata un inferno.
Come direttore della fotografia avete avuto un maestro come Vittorio Storaro.
Vittorio Storaro è un genio. Mi ha colpito, quasi sconvolto la rapidità con cui illuminava un’intera scena: in mezzo minuto aveva trasformato un intero ambiente. Il modo in cui compone le immagini, crea un’atmosfera è pazzesco. Non è facile per noi attori, che siamo dall’altra parte della macchina da presa intuire tutte le parti di un lavoro così complesso, ma quando poi quelle luci calde le rivedi sullo schermo capisci che maestro sia. La sua firma è su ogni fotogramma.
Con questi esempi, la voglia di fare il regista aumenta?
Il prossimo anno esce una serie tv comedy in cui farò il regista oltre ad averla ideata e scritta. È un progetto a cui tengo molto, ma certo ci penso spesso a dirigere un film per il grande schermo. Quando lavori con maestri come Woody Allen o David Fincher e tanti altri, non può non crescere in te questo desiderio. E anche per la mia formazione certe parti del cinema al di là della recitazione mi sono sempre interessate, fin dai primi lavori a Broadway. Mi piace l’idea di crescere, è sempre stato alla base del mio lavoro, della mia passione. Credo che un giorno stare dietro la macchina da presa, mi aiuterà, dirigendo altri attori, a diventare un attore migliore.
Lei è un grande attore, ma non si è mai atteggiato a divo. A Hollywood si considera una mosca bianca?
Non so francamente se altri si sentano più star che attori, non mi sento una mosca bianca o un brutto anatroccolo, sono solo uno che ama molto il suo lavoro. Sono un perfezionista, non mi rimane molto tempo oltre a quello che faccio per fotografarmi sui social o partecipare a feste e non mi interessa molto di tutto ciò che c’è attorno allo show business.
Cosa ama di più dell’essere attore? E cosa, invece, proprio non sopporta?
Quello che mi piace molto del mio lavoro è il tenermi occupato: quando mi manca il tempo, quando hai tanti progetti, tante ispirazioni, tante strade davanti a te. Non sopporto le attese, invece, mi rendo conto che fa parte di ciò che faccio, ma capita spesso che uno aspetta in momenti diversi progetti che sembrano compatibili finché i reciproci ritardi ti costringono a delle scelte dolorose o a momenti di superlavoro. Non c’è una regolarità, e questo mi fa soffrire. Sì, non sono uno che sa aspettare.
Come si prepara a un ruolo?
Mi piace spaziare, non rimanere concentrato solo sul mio personaggio, capire l’ambiente, la storia, lavorare insieme agli altri. Il regista, gli attori, la troupe. Mi piace quando un copione mi trasmette passione, mi porta da qualche parte, mi incuriosisce. E mi mette in difficoltà.
mai avrei immaginato di realizzare il sogno di lavorare con Woody Allen. Due volte!
E come li sceglie?
Non c’è mai stato un percorso predefinito nella mia vita, in particolare nella mia professione. Mi piace essere sorpreso. Non ho mai pensato di fare un supereroe, di avere tanto successo e che mi divertisse così tanto, come mai avrei immaginato di realizzare il sogno di lavorare con Woody Allen. Due volte! Ogni volta adoro scoprire ciò che mi riserva questo lavoro: so una cosa però. Che non c’è un personaggio della mia carriera che non mi sia piaciuto, che non mi abbia lasciato qualcosa.
E con Kristen Stewart come avete costruito l’alchimia diversamente romantica di Café Society?
Kristen e io siamo riusciti a costruire una relazione amorosa atipica, non sdolcinata ma potente. I personaggi di Woody Allen non sono mai banali, stereotipati, hanno sfaccettature nascoste rispetto alle quali devi essere all’altezza. Tu devi far trasparire le angosce, le ansie e le paure che rimangono sottotraccia nei dialoghi, nei rapporti di coppia. Insieme credo che ci siamo riusciti, in un rapporto di confronto e di dialogo. Sono personaggi in evoluzione e li abbiamo affrontati senza certezze e con trasporto.
In The End of the tour ha interpretato un giornalista di Rolling Stone. Come si sta nei miei panni?
(Ride) Quel film ha un posto speciale per me, calarmi nel tuo ruolo è stato molto importante perché ho capito cosa vuol dire stare dall’altra parte, anche per un contesto particolare come Rolling Stone, anche al disagio che puoi provare quando le domande devi farle e non riceverle. Capire come funziona il vostro lavoro, anche quali sono le vostre fragilità. Sono tante, non me lo aspettavo.
Se non fosse salito su quel palco a Broadway, avrebbe preso in mano un taccuino?
Sì penso che sarei stato felice di fare il giornalista, l’ho capito quando per The end of the tour e ancora prima per The Hunting Party ho studiato per fare al meglio il ruolo e ho scoperto quanto affascinante e difficile sia questo vostro lavoro. E anche quanto coraggio ci voglia per farlo, nel preparare The Hunting party ne ho conosciuti tanti veramente coraggiosi, reporter di guerra che per la loro passione non esitavano a mettere a repentaglio la loro vita. In fondo in tutti i e due i mestieri serve preparazione, empatia, curiosità e voglia di andare oltre i propri limiti. Di capire un mondo diverso dal tuo, dopo esserci entrato. Sì, mi sarebbe piaciuto.