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Jon Bon Jovi, wanted and very alive

Il “ragazzo del Jersey” racconta i primi quarant’anni di carriera suoi e della sua band nella miniserie ‘Thank You, Goodnight: The Bon Jovi Story’, su Disney+. E a noi svela come sta dopo l’intervento alle corde vocali, il suo amore per il cinema e il nuovo disco in arrivo

Foto: Disney+

Diciamolo: se a diciassette anni steste suonando con la vostra band di amici in un locale del Jersey e già quello vi sembra il paradiso, come vi sentireste se all’improvviso salisse sul palco Bruce Springsteen per duettare con voi su una sua canzone? È quello che successe a un giovane John Bongiovi, in arte Jon Bon Jovi, rocker americano che ha attraversato quattro decadi di carriera, con molti alti e qualche momento meno felice, come in fondo deve accadere per creare una storia degna di essere raccontata. Lo ha voluto fare Jon, portare sullo schermo quarant’anni di carriera nella miniserie Thank You, Goodnight: The Bon Jovi Story. Una celebrazione della famiglia, musicale e non, di questo ragazzo di Perth Amboy, New Jersey, quel posto che i newyorkesi considerano quanto il Molise (ci tengo a dire che esiste e che è anche bellissimo), ma che è da sempre una fucina di artisti musicali straordinari, a partire dal Boss ovviamente.

Il giovane John Francis Jr. non era destinato a una vita tranquilla, la musica era la sua strada, e la serie che dal 26 aprile è disponibile su Disney+ racconta questa epopea molto americana dalle umili origini, dal primo contratto musicale e le improbabili mise glam rock alle diverse fasi della sua carriera, fino al tour del quarantennale, a cui ha fatto seguito l’intervento alle corde vocali che ha rischiato di mettere fine alla carriera di Jon. Non è accaduto, perché il ragazzo del New Jersey, con la stessa tenacia con cui ha perseguito il successo, si è impegnato per tornare perfettamente funzionante. Non è stato facile ma ci è riuscito, e adesso ha anche un nuovo disco in uscita. Abbiamo parlato di tutto questo, e molto di più, a Londra, dove l’ho incontrato per parlare di questa celebrazione della sua avventura. «Come stai?», mi dice sorridente quando mi saluta.

Veramente era la mia prima domanda per te, Jon. Come stai tu, dopo tutto quello che hai attraversato.
Sto molto bene, grazie. So che ti riferisci a quello che racconto nella serie, la situazione è sotto controllo. L’operazione risale ormai a due anni fa, un anno fa ho ricominciato a provare a cantare e con le giuste terapie, molta pazienza e molte prove sono tornato alla normalità. Non è stato facile, ma ora è tutto a posto.

Com’è nata l’idea di questa serie, e la collaborazione con Gotham Chopra, che è un ottimo documentarista ma specializzato in prodotti prevalentemente legati allo sport?
Avevo da un po’ di tempo voglia di raccontare i primi quarant’anni di carriera, attraverso il tour del 2022. E poi avevo voglia di rimettere mano a tutti gli archivi, molti materiali non li avevo mai rivisti o catalogati. È stata l’occasione per tornare indietro e rivedere e riascoltare molte cose. Avevo visto uno degli speciali di Gotham e mi era piaciuto molto, ho pensato che fosse la persona migliore per raccontare nel modo giusto due aspetti a cui tenevo molto, il concetto di squadra e di famiglia. Ci siamo incontrati e siamo entrati subito in sintonia.

Hai cambiato pelle molte volte nel corso della tua carriera, sei passato dal metal glam al country al pop, fino a un rock più classico. È stato questo uno dei segreti della tua lunga carriera?
È stato un processo evolutivo continuo, anche agli occhi del pubblico e della stampa. Quando firmi il tuo primo contratto discografico a 21 anni è necessario crescere e trasformarsi, ti succede come essere umano e come artista. Non cambiare, sono due cose diverse. Ma non mettere in pratica tutto quello che si è imparato dalle esperienze di una vita sarebbe stata una grossa mancanza.

Cambiato direi di no, sei sempre quel ragazzo del Jersey, anche oggi.
Grazie, è un gran complimento. È andata così semplicemente perché non abbiamo mai fatto finta, né io né gli altri ragazzi della band, di essere diversi da ciò che siamo. E questo ti concede una grande libertà, perché ti permette di scegliere ciò che vuoi essere. Oggi, dopo oltre quarant’anni di carriera, sono contento di non avere mai ceduto sotto questo aspetto, perché continuo a essere me stesso e ne sono molto felice.

Sei sempre stato affascinato dal cinema, hai scritto molte canzoni che poi sono andate a finire dentro dei film, o anche canzoni scritte per dei film che poi hai deciso di tenere per te, come Cadillac Man. Cos’è che ti piace del fare musica per il cinema?
Quando scrissi la colonna sonora di Young Guns II – La leggenda di Billy the Kid, lo trovai al contempo di grande soddisfazione e semplice. Hai una sceneggiatura che si trasforma in immagini, quindi una volta scritta Blaze of Glory capii che potevo tirare fuori facilmente altri dieci pezzi, e così feci tutta la colonna sonora. Da quel momento iniziarono ad arrivare sulla mia scrivania molti copioni, e talvolta mi è capitato di scrivere dei pezzi che poi non ho concesso. Always doveva far parte della colonna sonora di Romeo Is Bleeding (tradotto in italiano con Triplo gioco, ndr), ma il film non mi piaceva, e allora mi sono tenuto la canzone. It’s Hard (Letting You Go) la scrissi per Moonlight & Valentino, e fa parte della colonna sonora.

Film di cui eri co-protagonista. Come mai a un certo punto hai provato anche la carriera d’attore?
È una storia buffa, ma è vera, te lo giuro. Mentre ero sul set di Young Guns rimasi affascinato dal talento di questi giovani attori, ma anche dal fatto che si divertivano a fare un sacco di cose: andavano a cavallo, sparavano, facevano scene d’azione… era come avere dei divertentissimi hobby! Allora mi sono detto: perché non prendere delle lezioni di recitazione. Grazie alle quali ho scoperto tutti i drammaturghi classici, e l’idea di recitare iniziò a prendere piede, soprattutto perché mi intrigava il fatto di cimentarmi in una nuova avventura artistica da totale novizio, ma con alle spalle l’esperienza di cinque album e dei tour mondiali. Affrontare l’avventura della recitazione con grande umiltà è stato fondamentale quando poi tornai con la band per incidere Keep the Faith. Dissi loro che quella era la strada migliore per continuare ad andare avanti con la stessa fame: restare umili.

Ultima domanda sul nuovo album, Forever, che uscirà il 7 giugno, caratterizzato da un impianto melodico classico e molto emozionante. Mi sembra sia stata una bella avventura realizzarlo, per te e la band.
Assolutamente, eravamo tutti molto determinati nel fare un disco che trasmettesse gioia. This House Is Not for Sale era una sorta di pacca sulla spalla, 2020 un album pieno di storie dure da raccontare. Forever è la conseguenza felice di avere recuperato perfettamente dall’intervento alle corde vocali e celebra la gioia di tornare a suonare insieme come band. Non potevo chiedere di meglio.

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