Juno Temple è brava in molte cose, ma una di queste non è – e non è mai stata – vivere nel mondo reale. «Non ci so fare con la realtà», mi ha detto un venerdì pomeriggio, mentre faceva un giro per Tokyo7, uno dei negozi vintage più amati di New York, e raccoglieva abiti e accessori che sembravano dimostrare la sua tesi.
«Ha davvero un bel luccichio, vero?», chiede, svolazzando verso una vetrina che contiene una cintura di jeans ricoperta interamente di minuscoli strass viola. «Sono come una gazza. Adoro le cose che brillano». La cosa successiva che attira la sua attenzione: un paio di stivaletti a spillo J’Adore Dior in pelle traforata che fanno sembrare pericoloso l’atto di camminare e che non sono del suo numero. «Sono piuttosto grandi», dice accigliata, infilandosi comunque lo stiletto. «Potrei metterci una soletta? Mi piace il punto in cui arrivano alla caviglia». Poi va a provare un trench di raso nero («Andrebbe bene se non volessimo metterci niente sotto») e una giacca di seta con ampie ruches («Mi sembra quasi di indossare un’armatura»). L’articolo più pratico nella sua lista è un paio di pantaloni di pelle. «Cavolo. Questi sono pantaloni da sogno», dice, tirando la cintura di un paio che sa non andrà bene. «Sono sempre alla ricerca del pantalone in pelle perfetto. I jeans mi danno ansia».
I jeans, per fortuna, non sono nel suo orizzonte immediato. Ieri sera è arrivata a New York per la première di Venom: The Last Dance, in cui interpreta una scienziata con un debole per i simbionti. Stasera andrà al Comic-Con (non c’è mai stata), poi farà due giorni di conferenze stampa prima di dirigersi a Londra per l’anteprima inglese. Fare le valigie per tutto questo sfarzo e glam, dice, l’ha fatta piangere: «Sono davvero un disastro emotivo quando si tratta di fare le valigie. Non sono mai stata brava. Ancora oggi mi chiedo: “Com’è possibile che non ci sia spazio per questi?”». Era stata felice di arrivare nella sua camera d’albergo e di scoprire «una bellissima cabina armadio con piccole luci accese. Quindi ho dovuto disfare tutto: tutti i miei abiti sono in bella mostra. È come un armadio di Carrie Bradshaw versione mini».
Nata a Londra da mamma produttrice e papà regista (Julien Temple, che ha diretto video musicali per i Sex Pistols e Iggy Pop), Temple è cresciuta principalmente nel Somerset, in Inghilterra, dove era «un po’ selvaggia», come racconta lei stessa, e spesso in un mondo di fantasia e finzione. «È difficile trovare una foto d’infanzia in cui non indossi un qualche tipo di costume», dice. Ha guardato ripetutamente Scarpette rosse e ha deciso che voleva diventare un’attrice dopo essersi «innamorata profondamente della bestia» nella Bella e la bestia di Jean Cocteau. Prima di frequentare il tipo di collegio in cui «non importava se non eri bravo in matematica» e dove «a volte [sembrava] che le regole dovessero essere leggermente piegate», viveva vicino a una foresta che chiamava il “Wiggly Woggly Wood“, non lontano da dove Byron compose le sue poesie e Samuel Taylor Coleridge scrisse La ballata del vecchio marinaio sotto stordimento da oppio. «Quindi ho avuto questa fantastica infanzia in cui ballavo con le fate, credevo in giganti invisibili e pensavo che i dinosauri sarebbero spuntati fuori dalla foresta», ricorda. «Ci credevo davvero».
Recitare sembrava un modo per continuare a vivere in quello spazio immaginario. Il primo ruolo di Temple, opportunamente, è stato quello di un dinosauro di nome Amelia Anatosaurus in una recita scolastica («Ho dovuto creare la mia maschera da dinosauro in cartapesta»). A 14 anni, dopo aver recitato in due film di suo padre («Da uno sono stata tagliata, quindi ho imparato presto che non sempre si comparirà nella versione finale»), ha detto ai suoi genitori che voleva iniziare a fare dei veri provini, al che la loro risposta è stata, fondamentalmente: “Cazzo”. Non dovevano preoccuparsi: è stata presa per i primi due film per cui ha fatto un provino, ovvero Diario di uno scandalo, il thriller del 2006 con Cate Blanchett e Dame Judi Dench, ed Espiazione, l’adattamento di Joe Wright del romanzo di Ian McEwan del 2007. Entrambi sono stati nominati a numerosi Academy Award. Prima di conseguire il diploma di maturità (in cui il suo punteggio in Filosofia era “non classificabile”), aveva recitato al fianco di alcuni dei suoi idoli. A quel punto, era diventata anche un po’ uno stendino vintage ambulante, perlustrando il mercato di Portobello con la sua madrina, Scarlett King, stilista di band degli anni Ottanta e della versione cinematografica di Absolutely Fabulous. «Il problema del vintage è che le cose hanno già una storia e tu stai solo aggiungendo qualcosa a quella storia», dice Temple.
Le storie erano qualcosa in cui era davvero brava, mentre la vita di tutti i giorni si è rivelata più impegnativa. Girovagando per il negozio, spiega che è «pessima con le scadenze», «pessima nel rispettare i tempi», «pessima nell’archiviare documenti e cose del genere», che «non so guidare una macchina o qualsiasi cosa con le ruote» e come, quando si è trasferita a Los Angeles, viveva in una casa che i suoi «amici chiamavano casa delle bambole perché era davvero piccola e dovevo tenere le scarpe nel forno. Non aveva una cucina funzionante, era l’estensione di un armadio». Si ferma a guardare quella che sembra essere una maglia da baseball che abbaglia. «Sbaglio parecchio quando si tratta della vita reale. È solo che… il mio cervello è pessimo in questo ambito. Vorrei essere migliore in quel senso. Renderebbe le cose più facili, non essere sempre così sorpresa da tutto».
Poco più che ventenne, mentre girava il film horror romantico Jack & Diane a New York, Temple ha iniziato ad avere attacchi di panico, il suo cervello si è ribellato, tirandosi fuori da qualunque realtà si trovasse. «La prima volta che mi è successo, ho praticamente perso la vista», dice Temple. «Pensavo davvero che non ci avrei più rivisto». La sua collega Riley Keough sapeva cosa stava succedendo e ha accompagnato Temple attraverso tutto quello che è successo, ma Temple ha continuato ad avere attacchi di panico nel corso degli anni, spesso senza alcuna ragione evidente.
Mentre lo racconta, ci siamo diretti verso una caffetteria di Alphabet City dove Temple ordina un latte d’avena e un frullato di fragole e banana prima di sedersi a un tavolino accanto al bancone. Sotto una giacca drammaticamente pelosa, indossa ancora un foulard scintillante e pantaloni neri di Bach Mai, oltre al leggero smoky eye sugli occhi rimasto dal servizio fotografico per Rolling Stone di quel giorno; con i suoi lineamenti e i suoi riccioli biondi e selvaggi, l’abito la fa sembrare una creatura fatata in viaggio verso una discoteca. Ma il suo modo di approcciarsi non è affatto ultraterreno: quando una giovane donna si avvicina a Temple per dirle che è stata “fantastica in Fargo e Ted Lasso“, l’attrice chiacchiera allegramente e la ringrazia di cuore.
«Ho tutto il tempo del mondo per incontrare persone che sono state ispirate da Keeley o che le vogliono bene, perché ha significato tantissimo per me», dice Temple del suo personaggio in Ted Lasso mentre la fan se ne va. Se la recitazione è iniziata come un esercizio di costruzione della fantasia, continua a spiegare, ora è arrivata a rendersi conto che è diventato il suo modo di affrontare la realtà, di incanalare l’esperienza attraverso storie inventate e trarne comunque qualcosa di reale. Per prima cosa, «si sbarazza del rumore che ti passa per la testa riguardo alle cose, siano esse orientate al cibo, al denaro, alla propria presenza nel mondo: qualunque cosa», spiega Temple. Ma ti aiuta anche a «sperimentare molte delle cose che questo personaggio potrebbe attraversare».
Keeley Jones, un’influencer che passa dal fare la modella in topless alla gestione della propria agenzia di pubbliche relazioni, stava scoprendo il potere del proprio intelletto, qualcosa con cui Temple dice di essersi identificata profondamente («È quando ti dici: “Il mio cervello è interessante e forse è una cosa potente, anche se a volte è eclettico ed è difficile starci al passo”»). Per un personaggio come la Dot Lyon di Fargo, invece, era il potere di una forza tranquilla e discreta. «Immagina di avere l’opportunità di abitare una creatura straordinaria come Dot, che ne ha passate tante, è sopravvissuta a tanto e non è una vittima», si meraviglia Temple. A renderla ancora più reale è stata la risposta che ha ricevuto dagli spettatori della serie, persone che si sono aperte e hanno condiviso le loro esperienze di abuso, essendo il personaggio diventato un canale emotivo per la loro realtà vissuta. «Quando le persone si sentono abbastanza sicure da poter condividere tutto questo con te, divento molto protettiva nei loro confronti», mi dice Temple.
La sceneggiatura di Venom: The Last Dance è arrivata nella sua casella di posta elettronica mentre era nel bel mezzo delle riprese di uno degli episodi più intensi di Fargo.«Stavo girando questa sequenza durissima, in cui mi trovavo in una fossa scavata nella terra», dice, spiegando che leggeva il copione di Venom sul telefono tra una ripresa e l’altra, mentre afferrava il finto osso di una gamba umana. «Fare qualcosa come Venom mi è sembrato molto diverso», afferma, riferendosi non al simbionte del film ma piuttosto alla follia della macchina Marvel. «Ma mi piace una scarica di adrenalina ogni tanto. Ho la sensazione che in un certo senso ti tenga nel tuo corpo».
Ad ogni modo, quella scarica di adrenalina è alle porte: il Comic-Con chiama, anche se sono io quello che deve informarla dell’ora. «Adoro totalmente quello che faccio», continua Temple, prima di raccogliere sé stessa, il suo latte e i suoi brillantini. «Ed è davvero importante per me. Conta davvero per la mia sanità mentale, detto egoisticamente: per poter essere nella realtà, ma anche per poterla vedere attraverso gli occhi degli altri. Per essere una che non è brava con la realtà, sto imparando che è davvero importante prestarci attenzione».