Kasia Smutniak, protagonista del film di Luciano Ligabue Made in Italy nelle sale da domani, è una che pesa le parole. Le cerca con attenzione, contesta (con grazia) le domande se non le piace l’assunto, alterna una delicata pacatezza alle risate sincere di chi ha imparato che non è il caso di prendersi troppo sul serio. E infatti, tra una riflessione e l’altra sui giudizi che la feriscono, sull’abuso di Photoshop e sull’educazione dei figli, si finisce a sghignazzare un po’ pensando a quella volta in cui l’hanno paparazzata quando mai avrebbe voluto.
Partiamo dal film di Ligabue Made in Italy, in cui sei Sara, un parrucchiera forte e determinata. Mi racconti qual è stata la scena più difficile da girare?
Quella in cui sono sull’altalena con una ragazza indiana che racconta di aver perso un bimbo al sesto mese. Quando ho avuto il copione, quella scena l’ho letta una sola volta, non l’ho mai voluta provare. L’ho solo imparata a memoria e mi sono detta: questa emozione me la tengo, poi vediamo che succede sul set.
E cosa è successo?
Che quando l’abbiamo girata non riuscivo a finirla. Ero sopraffatta dall’emozione. Luciano è stato molto carino, mi ha aspettata.
Ti veniva da piangere?
No, il momento del pianto è uno sfogo finale. Vuol dire che ti sei liberata. Io faccio un lavoro particolare, in cui le emozioni devi tenerle a bada, e in questa scena non riuscivo a dominarle.
A proposito di emozioni. In questi anni sei stata molto giudicata. Tante persone, nei tuoi momenti difficili, pensavano di poter leggere le tue emozioni. Quale è stato il giudizio che ti ha fatto soffrire di più?
Soffro l’idea che si ritenga la mia vita qualcosa di eccezionale. Tutti si aspettano che le persone pubbliche abbiano una vita incredibile e invece c’è molto poco di incredibile. Alla fine la vita e i problemi sono gli stessi, i figli, la spesa, la casa.
Il “problema normale” più incombente di oggi?
Oggi sono a Milano e i miei figli sono a Roma. Quindi telefono per sapere della scuola, per chiedere se hanno mangiato. La banalità del quotidiano, insomma.
Hai detto che sul set spesso non vedi l’ora di tornare a casa, e che quando sei a casa spesso non vedi l’ora di partire. Qual è il tuo centro?
Eh. Domanda difficile. Vorrei che il mio centro fosse trovare a casa la serenità di quando parto e stacco con la testa.
Quando si parla di te è impossibile non scomodare il termine “bellezza”. E’ un’associazione naturale. Ti fa paura l’idea di perderla?
E’ impossibile perdere la bellezza. Se la perdi, allora cos’è la bellezza? Io sono bella per quella che sono, non per l’immagine che arriva agli altri.
Parlavo di quella più effimera.
No, non ho paura dell’inevitabile. E poi oggi mi sento meglio di dieci anni fa, ogni ruga me la sono guadagnata e me la tengo stretta. C’è scritta una frase della Magnani su un muro della stazione centrale: “Lasciatemi tutte le rughe, c’ho messo una vita a farmele venire!”. Ecco. Io le mie me le sono guadagnate.
Qual è stato il momento della vita in cui ti sei sentita più bella?
Quando ho visto la mia immagine riflessa negli occhi dell’uomo che mi ama.
Quello in cui ti sei sentita più brutta?
Questa la so. Non brutta, sfigata. Facevo kitesurf in Toscana, stavo imparando. Siccome, vista l’inesperienza, falciavo tutti con la vela, mi avevano infilato una maglia bianca XL da uomo con la scritta “principiante” più un casco maschile enorme tipo seconda guerra mondiale con su una radiolina attaccata. Beh, mi hanno paparazzata. Per me è stato un affronto perché sono competitiva al massimo, vedermi così ridicola è stata un’onta. In realtà poi ho riso tantissimo, soprattutto con i miei amici. Mi sono detta: “Ti sta bene, così impari a essere così competitiva!” Comunque la maglietta “principiante” non l’ho più messa, sia chiaro.
Ti sei mai sentita usata nel tuo lavoro?
No, ma qualche volta ho sentito che veniva usata la mia immagine. Per esempio, per un’intervista faccio delle foto, le vedo e magari ci sono foto che mi piacciono pure. Solo che poi vanno in post-produzione e vengono stravolte, mi fanno liscia come una bambola.
Sei contraria a Photoshop?
Ci combatto costantemente. Il paradosso è che ogni volta che faccio delle foto, pretendo che ci sia la mia approvazione, e non perché ho paura di essere venuta male, ma di non somigliarmi. Oggi si usa così, troppi ritocchi e pure fatti male, modifiche che io non chiedo. Non voglio vedere la mia immagine stravolta e innaturale.
Un regista a cui sei legata più che ad altri.
Ho un rapporto fortissimo con Ozpetek nonostante siano passati 4 anni dal film che abbiamo fatto insieme. Lui è molto presente nella mia vita, siamo due che si sono riconosciuti, abbiamo messo in quel film tante cose intime. Ferzan rimarrà per sempre nella mia vita.
Da cosa proteggi i tuoi figli?
Vorrei proteggerli dalla cattiveria che incontreranno, ho paura di quello che non sapranno affrontare o che non saranno in grado di gestire. Ora si parla di molestie ed è una cosa a cui come madre penso tanto. Penso che noi mamme abbiamo la responsabilità di educare i figli maschi e le femmine a questo tema e non in un’unica seduta, ma con un lavoro di educazione costante. Forse è anche per questo che porto tanto i miei figli in viaggio con me. Per insegnare loro ad allargare gli orizzonti e perché imparino a fare le scelte giuste, tenendo conto del fatto che il mondo è molto più ampio di quello che vedono qui.
Nella tua vita fai i conti con l’assenza di Pietro. C’è stato un momento in cui quell’assenza ha pesato di più?
È impossibile rispondere a questa domanda. Sono stati mille momenti.
C’è un ruolo che hai invidiato tantissimo a un’attrice?
Come no! Quello di Sandra Bullock in Gravity, per esempio.
Cosa ti fa più ridere nella vita?
Ho degli amici che hanno una comicità demenziale. Ho capito da poco quanto sono importanti, quanto sono importanti queste risate nella mia esistenza. Oggi so che il diritto al cazzeggio non me lo leva nessuno, lo difendo. Sento che ritagliarmi del tempo per non fare nulla è fondamentale, gli amici non si cercano solo quando si soffre o per condividere i problemi. E poi mi fa ridere Albanese. E Checco Zalone, tantissimo.
Cosa ti fa piangere?
Tutto quello che tocca i bambini, per quelle cose ho i rubinetti aperti.
Mi dici quella volta in cui ti sei ritrovata a recitare con un partner di cui hai pensato: “Porca miseria, è più bravo di me!”?
Sì. Diciamo che Stefano Accorsi mi ha dato un bel filo da torcere, ecco.