“In ’sto magnifico mondo del cinema che ce piace tanto non ce capisce un cazzo nessuno”, dice un Gabriele Muccino larger than life in Call My Agent – Italia 2 (dal 22 marzo su Sky e in streaming su NOW). Che poi invece questa seconda stagione dell’adattamento dell’originale francese Dix pour cent è proprio la testimonianza che i creatori qualcosa c’hanno capito, eccome. E infatti di solito per le cover story si intervistano gli attori, ma qui no. Perché gli interpreti sono bravi, bravissimi, ma diamo a Lisa Nur Sultan con Federico Baccomo (e Dario D’Amato) e Luca Ribuoli quello che è di sceneggiatori e regista. E cioè l’essere riusciti a creare un mondo “molto italiano” (direbbero a Boris, noi ovviamente lo intendiamo nel senso migliore del termine) che riuscisse in qualche modo a far dimenticare il format di origine: «Trasportare qualcosa da Parigi a Roma comporta anche la perdita di una certa allure, di un’eleganza tipica, non lo neghiamo», afferma subito Lisa (che ha scritto anche Sulla mia pelle, Beata te ed è in onda parallelamente sulla Rai con Studio Battaglia 2). «L’italianizzazione passa attraverso dei tratti caratteriali diversi, più tipici del nostro Paese, che hanno a che fare sicuramente con il modo di esprimersi, con un tipo di sarcasmo più cinico, dei rapporti un po’ più caciaroni, meno formali e più empatici, con una cialtroneria diffusa superiore. Poi l’altro aspetto riguarda citazioni, giochi di parole, riferimenti, innesti pop di programmi, canzoni, battute, meme… tutto questo contribuisce a far sentire la serie molto vicina a quello che il pubblico vede».
«Il rischio è quello di andare a sfidare qualcosa che è già perfetto a modo suo, sapendo che ci sarà sempre quel confronto… i francesi però hanno un modo diverso di guardare anche allo star system. L’unica possibilità era rendere tutto un po’ più italiano, nel bene e nel male», concorda Baccomo (quello, tra le altre cose, di Studio illegale). «Anche una certa magia che esiste nel cinema francese da noi diventa più reale, più fatta di piccole, grandi storture che magari in Francia non ci sono perché il mondo del cinema brilla ancora tanto, basta vedere i dati del botteghino. Noi ci stiamo un po’ riprendendo, ma non abbiamo quel numero di biglietti staccati. Per cui è bello anche raccontare delle difficoltà maggiori. Poi le star vivono di una loro brillantezza, ma se sono immerse in conflitti più grandi è proprio perché il sistema vive di questo. E poi i singoli attori sono anime diverse, anche là dove vai a prendere un’idea che è già stata in qualche modo raccontata, se cambi il protagonista cambia proprio la sensibilità».
La storia la conoscete: Lea (Sara Drago), Gabriele (Maurizio Lastrico), Vittorio (Michele Di Mauro) ed Elvira (Marzia Ubaldi) sono gli agenti della CMA, una delle più importanti agenzie di spettacolo italiane, e sono tornati con nuove gioie, nuovi dolori, nuovi casini soprattutto, insieme ai loro assistenti Monica (Sara Lazzaro), Pierpaolo (Francesco Russo) Camilla (Paola Buratto) e la receptionist Sofia (Kaze) featuring la pazzissima Luana Pericoli (Emanuela Fanelli). Insomma, the show(biz) must go on, e noi non vedevamo l’ora.
Written and directed by
Nella prima puntata le due Valerie (Golino e Bruni Tedeschi) hanno detto “sì” per amicizia (e a scatola chiusa) al primo film diretto dal direttore di casting Francesco Vedovati. Peccato che la sceneggiatura sia “una mmmerda” (cit. Monica, alias Sara Lazzaro): «Tutti noi abbiamo scritto cose belle, cose meno belle, riuscite o meno, i Bastianazzo (la fittizia opera prima flop – ? – che avrebbe dovuto lanciare “ i nuovi D’Innocenzo”, cioè i Cugini Pigna, nda) ce li hanno tutti, poi per fortuna non vengono girati», ride Lisa, spiegando anche perché poi – senza fare spoiler – la storia diventi in qualche modo orizzontale su tutta la stagione: «Volevo raccontare cosa volesse dire stare con una persona che fa un lavoro creativo e in che modo il talento di quella persona fosse uno dei parametri da valutare. È una domanda che mi sono sempre fatta: ma se tu stai con un pizzaiolo e non ti piace la pizza che prepara, glielo dici?». A parte questo discorso “meta” e la voglia di prendersi in giro, è chiaro che anche questa chiacchierata va nella direzione di riconoscere l’essenzialità di una figura (più di una, ci arriviamo): «Sono molto contenta che ci sia più attenzione sulla scrittura anche in Italia, come succede nel resto del mondo da tempo. Ed è pure un percorso – quello di uscire più alla luce – che stiamo compiendo noi sceneggiatori come categoria. Poi, avendo spesso personalità magari timide, non è sempre facile, però lo facciamo come gesto anche un po’ politico quello di sopportare l’imbarazzo di sentirsi mitomani – sì, un po’ mitomane obiettivamente ti senti – perché è giusto che si parli di più anche della scrittura», sottolinea Nur Sultan.
«In America sono più avanti in questo senso, perché questi problemi li hanno affrontati già negli anni ’70», concorda Federico. «C’era uno sceneggiatore come William Goldman che rideva del fatto che si dicesse “il nuovo film di Steven Spielberg” o “il nuovo film di Dustin Hoffman”. Un film è di tantissime persone, di chi lo scrive, di chi lo gira, di chi lo recita. E la cosa che fa ridere è che spesso in Italia in realtà chi scrive non viene neanche considerato. Per cui è bello vedere che ci sia quel tipo di consapevolezza, che se quel testo non è scritto bene, è impossibile che venga fuori un bel prodotto». Di nuovo Lisa: «Detto questo però Call My Agent è un prodotto che più corale di così non si potrebbe, e secondo me gran parte del successo sta proprio nella bravura del nostro cast fisso, che riesce poi a mettere a proprio agio le guest star. Ovviamente le nostre guest sono degli attori della madonna, ma fare una versione parodizzata di sé stessi è la cosa più difficile al mondo, e credo che i nostri riescano sempre a metterli in una zona di comfort in cui poi tutti si divertono».
La parola alla regia: «Credo da morire nella scrittura e credo anche che la serie si faccia da sola in ogni operazione», afferma Ribuoli (che tra i tanti credit ha diretto La mafia uccide solo d’estate – La serie e, sempre per Sky, Speravo de morì prima). «È una riscrittura continua, anche al montaggio, magari pure a scapito del mio lavoro, anche se poi non è assolutamente così. Dovremmo un po’ ritornare a pensare che il cinema è una materia complessa, che è fatta di tantissimi fattori che devono essere liberi di potersi esprimere tutti. E secondo me CMA è un po’ la riuscita di questo meccanismo: ognuno nel proprio momento, con la propria creatività, dà il proprio contributo e lo dà al massimo, con la massima libertà. Fa paura parlare di improvvisazione, però bisognerebbe ritornare ad aver fiducia non solo negli scrittori ma anche nei registi e negli attori, e nelle star che hanno una tale consapevolezza del loro mestiere, senza limitarle a quello che possiamo pensare noi di loro. Secondo me uno degli elementi di grande occasione e di riuscita di questo prodotto è proprio il fatto che ognuno di noi cerchi di dare tutto, di essere fresco, di divertirsi, di portare verità».
La commedia umana
Dicevamo: nuove storie, un nuovo capo (!), nuove guest. E certo la parte comedy resta preponderante, ma c’è anche una profondità, una delicatezza che va sempre di più, anzi, torna verso la commedia all’italiana: «Mi riconosco nell’intento, poi sul risultato, speriamo», afferma Lisa. «Però è vero, siamo andati verso una scrittura un po’ più sfumata, anche se è difficile definire “sfumato” un prodotto come CMA. Quello che cerco di fare sempre però, e che è anche nelle corde di Luca Ribuoli, è far passare dell’umanità e della verità di sentimenti anche in una situazione in cui si parla di una nuova fidanzata, un film che non funziona, un nuovo capo».
Il bello di questa stagione infatti è che emergono davvero gli agenti, gli assistenti, e tutta quella famiglia disfunzionale che è la CMA. «È una scelta diciamo quasi totale di Lisa», spiega Luca. «Il ragionamento è: ok, è una serie comedy, però anche se ci divertiamo, visto che parliamo del nostro mondo, perché non affrontare anche temi che sono importanti nell’attualità? E quindi ha inserito, soprattutto in episodi a crescere della trama, situazioni un po’ più “realistiche”, abbiamo fatto un passo in quella direzione. Sono accenni, perché ovviamente non puoi perdere la cifra della serie, bisogna sempre trovare un equilibrio. Però sì, si va fuori dalla macchietta e più dentro la “commedia umana”, come mi piace chiamarla, perché comunque ha delle rispondenze sull’attualità dell’esistere».
L’altra mission diventata possible è che le guest, e quindi i grandi nomi, non tolgono spazio ai veri protagonisti, a chi manda avanti la storia: «Volevo creare un universo che potesse galoppare volendo anche senza guest, poi per fortuna ci sono, ma se per mezz’ora non passasse una star, tu andresti comunque avanti a seguire la CMA e i suoi problemi: questo era l’obiettivo», dice Lisa. «Io poi sono molto legata a qualunque tipo di ruolo, anche quelli minori. Quando c’è qualche personaggio che mi piace – e mi piace l’attore – lo faccio ritornare, perché viviamo in un mondo in cui siamo tutti protagonisti e comprimari di varie storie, e soprattutto ci continuiamo a incrociare nella vita».
Il risultato è un piccolo miracolo di equilibri tra l’aspetto scoppiettante, puramente comico, delle guest e la parte anche più introspettiva, malinconica perfino, dei protagonisti, come spiega Federico: «Abbiamo dato agli agenti tutto l’aspetto umano che non possiamo legare ai talent, perché questi ultimi sono più immersi in una realtà lavorativa. Non raccontiamo mai la loro vita privata o un sentimento, sarebbe più delicato, ma soprattutto è una sfera che appartiene ai nostri agenti. Quindi da un lato abbiamo l’elemento professionale, che è quello che ci avvince perché sappiamo che è il caso di puntata. Dall’altra parte c’è la vita personale, devono risolvere un problema, ma magari a casa hanno un amore infelice, una moglie che li ha lasciati. I nostri agenti possiamo addirittura farli piangere, vederli in una situazione più di tristezza che naturalmente ha sempre i toni della commedia, non andiamo mai nel dramma. Però è qui che arriva il coinvolgimento vero, emotivo dello spettatore. È un piccolo prodigio che si verifica attraverso tante variabili: la scrittura ma anche la recitazione, la messa in scena, la regia, il montaggio, e alla fine arriva un prodotto che è spesso rischioso. In questo caso diciamo che il rischio è stato ripagato».
Call My Agent non si tira indieto dall’affrontare anche un discorso po’ più cupo sul backstage dello showbiz, e in particolare – senza spoiler – c’è un approfondimento su un tema attualissimo che nella versione francese non esisteva: «Seguo con molto interesse quello che in questi anni hanno fatto associazioni come Amleta, Unita, l’unione casting», afferma Nur Sultan. «Mi sembrava un aspetto su cui valesse la pena soffermarsi, ovviamente con i nostri codici, per quanto poi non si possa sempre ridere quando si raccontano certe cose. Ma in qualche modo serviva per far capire che non è che noi di CMA raccontiamo il dietro le quinte e ci dimentichiamo di quale possa essere uno degli aspetti peggiori. In generale, lo squilibrio di potere a cui è sottoposta una persona durante un colloquio, un casting, un provino è chiaramente un rapporto in cui può entrare altro. E questo in qualche modo andava raccontato».
Guest fantastiche e dove trovarle
Ok, ma come si riesce a far quadrare tutto? La trama orizzontale, i casi verticali di puntata, gli spunti e gli impegni della guest… «È un percorso molto complesso: capire quali sono le idee che vengono a noi in scrittura, confrontarsi sulla disponibilità dei talent in quel periodo di riprese, trovare idee che piacciano a tutte le parti in causa e si intreccino bene con le trame orizzontali degli agenti in modo che il caso verticale riverberi sui nostri personaggi. È un’enorme matrice di incastri che poi a un certo punto diventano sei soggetti. Ci sono state tante riscritture, alla fine si arriva anche a “chi è libero il tal giorno”», spiega Lisa.
È un’esplosione di idee pure folli, e magari poi non tutte vanno in porto: «Come nella prima stagione avevamo avuto Alberto Angela, quest’anno sarebbe stato divertente coinvolgere Alessandro Barbero, ipotizzando una sua doppia vita di scrittore di letteratura alla Dan Brown; anzi, proprio senza il minimo fondamento storico, di cui si vergognasse ma che gli facesse fare milioni a palate in America. Ci piaceva molto lo spunto, ma c’è sembrato normalissimo che Barbero dicesse: “No, non è roba mia, non sono un attore, non mi ci metto”. E ha assolutamente ragione», ride Nur Sultan.
Perché la difficoltà, da sceneggiatore, è anche che non parliamo di personaggi di fantasia ai quali puoi far fare quello che vuoi: «Sono persone che recitano una parte ma mettono il loro nome, è chiaro che il loro coinvolgimento è maggiore, non puoi fargli passare qualunque idea ti venga in mente», interviene Federico. «Il lavoro è proprio quello di prendere il talent e ragionare sulle specificità, i difetti, l’immagine pubblica. E si può pensare in due sensi: ad esempio, se abbiamo un personaggio che magari ha la fama di persona molto gentile potrebbe essere divertente vederlo arrogante e presuntuoso, o viceversa mostrare che quella gentilezza può portare a grossi problemi. Penso a Elodie: ha un rapporto molto forte con i propri fan, è molto amata, proviamo allora ad andare a vedere quando questo legame con gli ammiratori si spinge un po’ troppo oltre».
A proposito di Elodie, Maurizio Lastrico ha raccontato che quando una volta lui si è piantato, lei gli suggeriva le battute: «È una professionista incredibile», conferma Ribuoli, non è uno di quei personaggi che vengono lì a fare la comparsata, si è super preparata. Nonostante questo interpretare sé stessa, che poi – lo abbiamo detto – in realtà è complicatissimo, lei comunque si è preparata, aveva studiato, si era immaginata tutto. Poi il suo soggetto era veramente difficile rispetto ad altri, più sottile, e quindi lei è stata brava a calarsi nella situazione, ad essere a suo agio. La sua sensibilità di cantante è venuta fuori anche come attrice».
Il punto però è trovare l’equilibrio tra la scrittura e l’apporto spesso esplosivo delle star, vedi ad esempio una strepitosa Valeria Bruni Tedeschi che, nei momenti di tensione, si metteva a telefonare in viva voce alla madre. E, indovinate, questo non era a copione: «Il mondo delle star fa un po’ il nostro racconto da solo», continua il regista, «perché se tu dai loro la possibilità di giocare, di essere sé stesse, a quel punto secondo me gran parte del lavoro è fatto, l’originalità arriva da lì. Il mio atteggiamento registico è di grande apertura, di lasciarli esprimere il più possibile, fargli dire la loro, fare in modo che in quei pochi giorni in cui sono con noi si sentano a loro agio e siano veramente efficaci».
«Sono abituata a trovare sempre delle improvvisazioni nel montato, perché poi sul set succedono tante cose, l’ambiente le favorisce. Mi hanno raccontato delle chiamate di Valeria, e giustamente hanno pensato di tenerle perché sono molto in linea con quello che doveva esprimere. Ovviamente più si improvvisa in alcune scene più poi ne vengono tagliate altre, perché il minutaggio dev’essere quello. Ma non toglierei mai quelle chicche di Valeria, mi hanno fatto ridere tantissimo», afferma Lisa. «Cerchiamo di dare una sorta di gabbia all’interno della quale uno può far quello che vuole», sottolinea Federico. «Penso a Bruni Tedeschi o alla puntata dell’anno scorso con Stefano Accorsi: quando si sentono a loro agio, allora riescono a metterci quel guizzo in più che magari una sceneggiatura molto rigida avrebbe impedito. Spesso, quando vediamo le puntate girate e montate, rimaniamo sorpresi anche noi: magari l’intenzione era diversa, ma così è ancora più efficace».
Ecco, efficace è un understatement per la performance debordante di Muccino, al punto che nella sua puntata sembra davvero di stare dentro a uno dei suoi film: «È stata un’immersione nella potenza umana, è un uomo di un’energia infinita, si vede in quello che dirige e capisci proprio che lui è fatto così, non si risparmia mai, è generosissimo, simpaticissimo, super intelligente, per cui è stato un lavoro soprattutto sull’energia», ricorda Ribuoli. Davvero, dateci un film con protagonista Gabriele: «Lui ha questa difficoltà un po’ emotiva a parlare, si sa, però io trovo straordinario che questo non lo inibisca, è un uomo di idee, un uomo di coraggio. Si inceppava, ricominciava mille volte, iniziava a ridere con le lacrime agli occhi. E tutti noi insieme a lui».
C’è anche – di nuovo senza fare spoiler – un meraviglioso duetto tra Emanuela Fanelli e Sabrina Impacciatore: «Devo dire la verità, sognavo proprio dall’inizio di farle incrociare», confessa Lisa. «Le stimo tantissimo come donne e come attrici e volevo vederle nella stessa inquadratura mentre si dicono cose che hanno a che fare con il fallimento, il successo, il farcela, la mitomania. Luana Pericoli e Sabrina, che in questi ultimi due anni ha avuto un exploit strepitoso. Poi le ho immaginate sotto la tenda dell’Excelsior, ed è un momento di una malinconia un po’ decadente».
Una notte da leoni a Venezia
Excelsior vuol dire Venezia. Chi conosce l’originale francese ricorderà la puntata a Cannes con Juliette Binoche: be’, CMA – Italia non è da meno. E la testimonianza che l’asticella in questa seconda stagione si è davvero alzata è proprio l’episodio alla Mostra del Cinema: «Fin dal primo momento avevo detto alla produzione che avrei voluto ambientare il finale della seconda stagione a Venezia, ma non pensavo a un semplice passaggio, noi ci stiamo molto più dei francesi e abbiamo tagliato tantissimo», racconta Lisa. «Quindi grazie alla produzione e a Sky perché sono riusciti a soddisfare questo desiderio, non è per niente facile girare in Laguna durante la Mostra, è stato un impegno produttivamente molto grosso e anche Luca ha saputo gestirlo al meglio. E poi ringrazio Alberto Barbera». Già, perché il direttore della Mostra si è prestato alla causa. E siamo certi che ora Thierry Frémaux, il suo corrispettivo sulla Croisette, sarà lì a mangiarsi le mani: «È stata una di quelle volte in cui io ho pensato: “Scriviamo nel copione ‘Alberto Barbera’, tanto non succederà mai”. E quando invece ha detto sì è stato un onore. E lui è stato davvero bravissimo e generosissimo, è un po’ il nostro James Bond».
«La scrittura della seconda stagione è ambiziosa e molto ricca, e il produttore esecutivo Francesco Beltrame ha fatto un lavoro pazzesco per cercare di mantenere la qualità, per portarci dove dovevamo andare», racconta Luca. «Venezia è stata veramente complicatissima, ma Andrea Del Mercato, il Direttore Generale della Mostra, è un fenomeno. Ci sono due festival: quello di chi lo organizza e quello di chi lo deve proteggere, è una macchina complicatissima da gestire e noi dovevamo riuscire a non disturbare, a non mettere in pericolo i protocolli di sicurezza e fare le nostre cose in punta di piedi, senza farci vedere. È stato così e, per farcela, devo dire che la macchina è stata oliata perfettamente. Poi, dal punto di vista emozionale, girare a Venezia era una cosa che non potevo certo immaginarmi da ragazzino, quando andavo lì a vedermi i film magari senza neanche il pass. Sono stati giorni speciali. E Sabrina Impacciatore è stata fantastica, era talmente immersa che credeva di essere davvero la madrina della Mostra».
Ciao Marzia
Non si può però parlare di Call My Agent 2 senza rivolgere un pensiero a Marzia Ubaldi, che se n’è andata pochi giorni dopo la fine delle riprese. Di ricordi Ribuoli ne ha troppi: «Ho lavorato tanti anni con Marzia, anche su altri progetti prima di questo, è stato un percorso e ho trovato una specie di mamma d’arte: anche se non c’è mai stato uno scambio al di fuori, ci piaceva stare insieme sul set. Era innamorata del suo lavoro, ha lavorato fino alla fine, nelle ultime settimane mi parlava del film che avrebbe girato subito dopo. Era il suo modo di affrontare la vita: sempre al massimo, sempre dentro la bellezza, la creatività, l’apertura verso gli altri».
Lisa non è potuta andare alla festa di fine riprese causa Covid, «e mi era dispiaciuto più che altro perché a quella precedente avevo parlato molto con Marzia, che magari non avevo occasione di vedere spesso fuori come altri. Quando dopo qualche giorno è arrivata la notizia sono scoppiata a piangere, ho chiamato la Fanelli… era un’attrice pazzesca: bastava inquadrarla, era sufficiente che lei facesse una faccia ed era una meraviglia».
Per Federico Marzia era «il cuore della serie, perché aveva magari meno linee orizzontali e anche meno casi verticali, ma punteggiava tutto. Aveva quel distacco che spesso i protagonisti giustamente non possono avere perché stanno costruendo la loro carriera. Lei la sua carriera ce l’aveva già e si divertiva, affrontava questo mondo prendendolo per quello che è: un grande luna park. Aveva quella capacità di alleggerire, di dare la battuta. È forse addirittura il personaggio che dice più parolacce e invece, grazie al suo fascino d’attrice, sembra quella più elegante. Le è stata dedicata la prima puntata, ma le dedichiamo anche tutta la serie».