Mr. Croci, here’s Ben Stiller. E ovviamente come potevamo iniziare se non con una selfie-Magnum?
Siamo nella tana del lupo, io e lui, da soli. Alto (insomma), bello (questione di gusti), naso pronunciato (eufemismo), zigomi pronunciati, capelli e sopracciglia folte, portamento ed eleganza da Bronzi di Riace, lui che veste sempre di nero, scarpe nere, calze nere, camicia nera, maglione nero, pantaloni neri… nemmeno Sandokan, ferito mortalmente dalle tigri di Mompracem e dai tradimenti della perla di Labuan, trasudava tanto savoir faire. Lo incontriamo in una suite del Four Season in quel di Beverly Hills, in anteprima del suo prossimo film, girato in gran parte a Roma. e per il quale mi fanno firmare un sacco di documenti manco stessi chiedendo un mutuo.
Oltre all’inseparabile duo Ben Stiller e Owen Wilson, in Zoolander 2 – nei cinema italiani dal 12 febbraio – ritorna Will Ferrell nel ruolo di Mugatu, Christine Taylor, Billy Zane, Lenny Kravitz oltre a carne fresca come Penelope Cruz, Kristen Wiig, Olivia Munn e moltissime celebrity che fanno vari cameo, tra cui un divertentissimo Justin Bieber (non vi svelerò mai come muore, mai e poi mai), Kanye West, Kim Kardashian, Willie Nelson, Ariana Grande, la famiglia Beckham e Carolina Crescentini. Il resto della lista, segretissima fino all’ultimo, contempla una sfilza di modelle tra cui Cara Delevingne, Jourdan Dunn, Alessandra Ambrosio e Naomi Campbell. Zoolander 2 è scritto da Justin Theroux (responsabile del meraviglioso personaggio interpretato da Tom Cruise in Tropic Thunder: andate su YouTube a vederlo, merita), Ben Stiller, Nicholas Stoller e John Hamburg, ed è il sesto film diretto da Stiller, oltre al primo Zoolander.
Dopo esserci scambiati gioie, dolori e somiglianze fra ebrei e italiani (crisi di identità religiose, madri onnipresenti, cibo e sviluppo e bramosia sessuale…), procediamo con l’intervista.
Sei mesi trascorsi in Italia, a Roma: che parole hai imparato?
Ragazzi… oltre che gnocca e cozza, entrambe al femminile. Grazie ragazzi, la frase tipica con cui salutavo la troupe dopo una giornata di lavoro. Mi piace avere un contatto personale con la gente con cui lavoro, voglio sapere i nomi di tutti. Ho trovato che voi italiani siete persone di cuore, disponibili, per voi le relazioni umane sono molto importanti. Ho lavorato con delle persone straordinarie, costumisti e scenografi incredibili, ognuno eccezionale nel rispettivo settore di competenza. Con tutta l’esperienza che avete voi italiani, dovreste fare più film.
Parliamo del tuo film, ricordami com’è nato il primo Zoolander.
Fu Drake Sather, amico comico, che mi chiese di fargli da modello in uno sketch per i Fashion Awards di Vh1. Mi misi a ridere e gli dissi che era assurdo farlo fare a me. Lui mi rispose che mi voleva proprio per quello. Fu lui a suggerirmi di modulare la voce come Marilyn Monroe. Poi, visto il successo, abbiamo adattato l’idea a un cortometraggio… Però intanto continuavamo a scrivere battute su battute e così alla fine è diventato un film. Devo ringraziare anche Mike Myers, che a quel tempo usciva con la serie di Austin Powers e quindi ci ispirò molto con i suoi personaggi assurdi ed esagerati. Abbiamo scritto almeno 13 versioni di scenografie, perché nessuno studio voleva occuparsene. Altro problema con cui dovemmo fare i conti inaspettatamente: il film uscì in sala ad appena due settimane di distanza dall’11 settembre…
Il primo Zoolander non è stato un gran successo di botteghino. Perché fare un sequel?
Perché, nonostante abbia incassato poco, è diventato immediatamente un cult, alla gente piace e noi abbiamo moltissimi fan in giro per il mondo, soprattutto in Italia. Nel 2005 scrissi un altro script, diverso da questo e ambientato a Miami, ma poi decidemmo di lasciare perdere. Nel 2010 parlando con Justin Theroux (scrittore, attore e marito di Jennifer Aniston, ndr) avevamo iniziato a lavorare insieme a un’altra stesura, simile a questa. Ma anche quella volta, per problemi di budget e conflitti di programmazione degli attori, non se n’è fatto nulla. Poi due anni fa, mentre era fuori Notte al Museo 3, Justin e io abbiamo deciso di riscrivere la trama di Zoolander. Così ho chiamato Will Ferrell e gli ho chiesto se fosse disponibile, perché una cosa l’avevo chiara: senza di lui non avrei mai fatto il seguito. Will ha accettato e ci siamo messi all’opera immediatamente.
Avete ambientato il film 14 anni dopo. Quanto è cambiato il fashion world dal primo Zoolander?
Il mondo della moda è sempre un po’ superficiale, quello che è cambiato drasticamente per Derek è l’impatto dei social media nella vita quotidiana. Ora ci sono i blogger, Twitter, Instagram, Facebook. Nel primo film, Internet è quasi inesistente.
Perché hai voluto ambientare il sequel proprio a Roma?
A dire il vero, Roma non è stata la prima scelta. Inizialmente avevo pensato a Parigi e a Milano. Poi, qualche anno fa, mi è capitato di vedere il documentario Valentino: l’ultimo imperatore, che ripercorre gli ultimi anni di Valentino prima della cessione del proprio marchio, e quando ho visto il suo show definitivo fuori dal Colosseo mi sono emozionato tantissimo. Volevo approfondire quel tipo di cultura, esplorare non solo il mondo della moda, ma anche le relazioni umane e storiche che rendono gli italiani così speciali. E poi a Roma ci sono Cinecittà e il famoso studio 5 dove girava Fellini… Insomma, per me era la giusta combinazione di style & fun.
Com’è stato girare per la città?
Partiamo col dire che i romani sono stati tutti molto disponibili e che Roma è super cinematografica, ogni angolo è un potenziale set dove girare una scena. Avevo un appartamento nel ghetto ebraico e, quando uscivo di casa, mi sembrava di essere uno di voi. Abbiamo girato in posti iconici, che sono sicuro esistono in altre centinaia di film, ma per me è stata un’esperienza unica e indimenticabile, soprattutto quando abbiamo girato le scene alle Terme di Caracalla. Roma è tutta da scoprire, come la tana del Bianconiglio di Alice.
Raccontaci qualcosa della trama.
La trama è intenzionalmente molto intricata, incasinata a tal punto da diventare assurda, è una sorta di Codice da Vinci senza senso, un action thriller grottesco. Dal trailer non si capisce, ma c’è una cospirazione da parte del mondo della moda nei confronti del figlio di Derek, che da approfonditi esami del sangue scopriamo essere un modello purosangue. Ovviamente ci sono vari personaggi che vorrebbero sapere se questo sangue contiene il segreto dell’eterna giovinezza, ed entrarne in possesso vorrebbe dire creare un prodotto di bellezza dal valore incalcolabile… Stiamo parlando di miliardi di dollari!
Come inizia il film?
Si parte con alcune scene successive a un disastro di proporzioni enormi. Il “Centro Derek Zoolander per bambini che non sanno leggere bene e che vogliono imparare a fare bene anche altre cose” crolla per colpa di Derek che, costruendolo, ha utilizzato materiali scadenti. Mathilde, l’amore della sua vita, viene sepolta dai libri e muore, e Derek si ritrova all’improvviso nel ruolo di padre single. Si rende conto subito di non essere capace di occuparsi di Derek Junior, non sa cucinargli neanche un piatto di spaghetti! Dopo che i servizi sociali gli portano via il bambino, Derek si ritira in isolamento… E poi parte il film.
E Hansel?
Hansel odia Derek, perché, al momento dell’incidente, si trovava anche lui nel “Centro Derek Zoolander per bambini che non sanno leggere bene e che vogliono imparare a fare bene anche altre cose” e rimane sfregiato. Per colpa di Derek, deve indossare una maschera tipo Fantasma del palcoscenico. Quindi all’inizio del film entrambi vivono in solitudine.
In Zoolander 2 c’è anche Penelope Cruz: perché hai scelto proprio lei?
A parte la bellezza, intendi? Beh, l’ho sempre ammirata per la sua bravura e la sua comicità, e in più volevo dare al film un taglio più internazionale. Poi, se devo essere sincero, ho pensato che se Derek doveva avere una relazione con un’altra donna, perché non scegliere la bella Penelope? (Ride). Ha fatto molti film comici, ma non da noi negli Stati Uniti, e pensavo che fosse interessante che fosse lei a far scoprire a Derek i retroscena del mondo fashion. Sin dalla prima stesura della sceneggiatura ho sempre avuto in mente solo lei, è stata anche la prima a ricevere la mia telefonata e ad accettare il ruolo.
E Benedict Cumberbatch?
Eravamo in contatto per un altro progetto che poi non è approdato da nessuna parte. Una volta, chiacchierando, mi ha chiesto che fine aveva fatto Zoolander. Quando gli ho risposto che volevo fare un sequel, lui mi ha chiesto di tenerlo presente per un ruolo minore. Benedict è un attore dal talento straordinario, non sapevo che fosse un fan di Zoolander! Quando gli ho raccontato che ruolo avevo in mente, ha accettato senza neanche leggere la parte. Il suo è proprio un cameo, ma è uno dei più belli del film. Mi dispiace che ci siano state delle controversie sul fatto che nel film ci siano delle battute sui transessuali. Sarebbe bello se la gente avesse più senso dell’umorismo: qui non c’è malizia, non volevamo offendere nessuno. Ma purtroppo la satira non è sempre capita da tutti.
Vogliamo sapere se Derek è più intelligente in questo film. Lo è?
No, per lui non c’è speranza. Zero, nada, mai.
Mi dispiace che Benedict Cumberbatch sia stato così criticato per via delle battute sui transessuali. Sarebbe bello se la gente avesse più senso dell’umorismo
Sei andato a qualche sfilata per capire com’era evoluto il mondo della moda?
Sì, ho passato una settimana alla “Paris Fashion Week” e mi sono divertito un sacco. Prima di una sfilata erano tutti molto seri e concentrati, io mi divertivo a osservare quanto fossero tutti estremamente drammatici, come se quello che stava per succedere sulla passerella fosse questione di vita o di morte. È incredibile quanta energia, denaro, preparazione, sacrifici, attenzione vadano in questi show, che poi durano al massimo 20 minuti. Sono dei veri spettacoli, coerografati nei minimi dettagli, come un Cirque Du Soleil senza i ginnasti. Poi, dopo lo show, ci si ritrova tutti a cena, dove peraltro mangiano in pochi e quasi niente, e si chiacchiera di tutto tranne che di moda. Fantastico!
Allora dacci qualche consiglio di moda.
No, non chiederli a me! Mi vesto formale solo quando sono costretto. Ammiro molto chi è capace di vestirsi bene, ma per me è uno spreco di energia, mi vesto sempre uguale: maglietta, jeans e scarpe da ginnastica.
Di te si sa che sei un superfan del jogging. Passione o necessità?
Entrambe. Per questo film ho dovuto fare molto più esercizio del solito, a Roma si mangia bene e ci sono pochi piatti senza glutine. Negli ultimi tempi, però, corro meno per strada e più sulla spiaggia: me l’ha consigliato il mio ortopedico, che mi ha pure suggerito di dedicarmi anche ad altri sport, perché mi sto letteralmente consumando le articolazioni.
A proposito di cibo, sei ancora vegano?
No, ho scoperto che, se vivi a Roma, è impossibile essere vegano. E poi non potrei mai rinunciare a cacio e pepe! A Roma avevo tre ristoranti preferiti, “Pierluigi” in Piazza Dè Ricci, che trasforma qualsiasi pesce in un sogno; “Hostaria da Benito”, dove si possono conoscere i veri romani e mangiare i favolosi carciofi, e “Glass” di Cristina Bowerman, chef stella Michelin, che ha appena aperto “Crateful”, compagnia di catering qua a Los Angeles dedicata alla ristorazione personale… Tutto questo per dire che posso continuare a mangiare le sue delicatezze!
Quando eri a Roma, hai incontrato il Papa?
No, ma c’è mancato davvero poco. È un tipo così simpatico! Però ho conosciuto Er Papa de Roma, Paolo Sorrentino, il regista della Grande Bellezza, un film che mi è piaciuto molto, e mi è sembrato uno molto appassionato e competente, che ha un grande rispetto per la storia del cinema e le sue tradizioni. Poi, sono anche stato invitato nell’ufficio del sindaco Ignazio Marino, ha una vista meravigliosa sui Fori Imperiali… Belle le cariche pubbliche a Roma!
Ma chissà se qualcuno ha detto a Ben che fine ha fatto, nel frattempo, Ignazio Marino.