Nella camera da letto al quarto piano della casa di un suo amico di Londra, Woody Harrelson, 56 anni, ha passato le ultime cinque ore online a giocare a scacchi contro degli sconosciuti. Il suo unico nutrimento sono dei mirtilli mangiati a manciate. È riuscito a infilarsi una maglietta e dei pantaloncini, ma i suoi piedi sono ancora nudi.
«Mi perdo sempre, quando gioco», dice, un po’ confuso. «Vinco, perdo. A volte non vedo che mi stanno per fare scacco, è un gioco di velocità e devi muoverti in fretta, magari c’è un alfiere pronto a mangiarti. Sto giocando dalle nove di mattina. Il tempo è passato in fretta!»
Succede spesso. Al momento, il suddetto tempo ha portato a una resurrezione notevole di una carriera che non così tanto tempo fa sembrava moribonda. Dal 2009, Harrelson ha partecipato a una serie tv di successo (la prima stagione di True Detective) e a circa 30 film, attraversando ogni genere, dai più artistici, fino a quelli decisamente non artistici. Tra i titoli più interessanti: Oltre le regole – The Messenger (nomination agli Oscar), Benvenuti a Zombieland, Rampart, la serie di Hunger Games, Tre manifesti a Ebbing, Missouri (altra nomination), e Solo: A Star Wars Story.
Nel 2017 ha dato una prova di forza con Lost in London, diretto, prodotto, scritto e interpretato da lui, tratto da una serie di sfortunati eventi avvenuti nel 2002, durante quella che lui ha definito «la peggiore notte della mia vita». In questo momento, sta guardando fuori dalla sua finestra, verso la città. Vede gli alberi, i palazzi, e la Tower of London, anche se forse è un’altra torre. Anzi, lui pensa proprio che sia così. «Non mi ricordo come la chiamano», dice.
Ma torniamo al 2002. All’epoca stava insieme alla sua futura moglie Laura Louie, la madre dei suoi tre figli, quando una sera fu colto da una forte tentazione, sotto forma (sinuosa) di due donne, che si avvicinarono a lui in un locale con una proposta. «Vuoi divertirti?». Nel suo tipico stile sornione, Harrelson rispose, «Credo di sì». Poi si unì un’altra donna e tutti e quattro tornarono nella sua camera. Alla fine della serata, le tre donne se ne andarono, ma non prima che un paparazzo scattasse una foto, presto finita sui tabloid. Laura la vide e, stando a quello che dice Harrelson, le prime parole che pronunciò furono: «Dev’essere davvero difficile per te, avere questa merda pubblicata». Parole che portarono Harrelson a strisciare per la vergogna e Louie a perdonarlo, più tardi. Si sono sposati sei anni dopo. «È la persona più gentile che abbia mai conosciuto», dice. «Ha un modo di vivere purissimo».
Ma la pessima settimana del 2002 di Harrelson non era finita. Pochi giorni dopo, perse la pazienza dentro un taxi, e iniziò a rovinare l’auto, rompendo i finestrini, il posacenere, insultò il tassista e scappò dall’auto, per poi prenderne un altro. Presto venne intercettato dalla polizia e scappò a piedi. Venne fermato da 14 poliziotti. «Quella notte per me fu sconvolgente», dice. «Non ho mai smesso di pensarci. È stata una di quelle serate in cui non sei te stesso, non hai il controllo e ti succede davvero di tutto. Finisci in prigione… Non volevo più parlare di quello che mi era capitato, figurarsi fare un film. Ma poi ho iniziato a pensare che se l’avessi affrontato da un altro punto di vista, sarebbe stato divertente. “Posso farci una commedia”, mi sono detto».
E quindi l’ha fatto, combinando le due nottate in un’unica storia, e per farlo diventare un vero evento, ha messo in streaming il film nel gennaio 2017, un flusso continuo di 104 minuti, in real time. In breve, dice Harrelson, «è una bizzarra lettera d’amore a mia moglie. È davvero molto personale, ma sono un fan di Henry Miller e del modo in cui raccontava tutto, anche se alcune cose avrebbero portato la gente a odiarlo».
Nonostante le sue trasgressioni, Harrelson è sempre stato un tipo difficile da odiare. Probabilmente deriva dal suo primo ruolo, l’amabile sfigato Woody Boyd, nella serie tv Cin Cin. La bontà di quel personaggio non è stata mai intaccata dagli aspetti più dark degli altri che ha interpretato, tra porno (Larry Flynt), serial killer (Natural Born Killers), poliziotti parecchio sporchi (Rampart). O forse perché la sua stessa storia è così deliziosamente improbabile: cresciuto nella cintura cattolica del Texas, con sua madre a lavorare per sfamare tutta la famiglia, un padre assente e poi incarcerato per omicidio.
O forse, è il suo amore mai nascosto per l’erba, sempre ben visto dall’opinione pubblica. Ma Harrelson non è un fattone. È un vero sostenitore, che da decenni indossa vestiti di canapa. Almeno fino al 2016, quando ha scioccato l’universo dicendo di mollare il colpo. «Voglio mettere la testa a posto», disse. «Voglio vedere le cose in modo chiaro, essere consapevole, sapere cosa succede nella mia vita e nel mondo, anche se a volte è dura». Per fortuna, il suo amico e vicino di casa a Maui, Willie Nelson, ha messo in piedi una marcia pro-weed («almeno 500, non una», ha scherzato) che alla fine lo ha riportato sui suoi passi.
Ma forse, il fatto di essere consapevole e sensibile non è una cosa positiva come sembra, complice anche il fatto di vedere Trump ovunque. «Oddio, non ce la posso fare», dice Harrelson. «Mi deprimo. Tutto quello che ha fatto mi deprime. Quello che sta facendo all’ambiente è terribile. Le trivellazioni, l’accordo di Parigi… Non ho mai vi- sto così tanta attenzione rivolta a un singolo personaggio. Forse O.J., durante il processo. Ma ora è tutto Trump, Trump, Trump. Non so come affrontarlo».
Forse con l’aiuto del suo rinnovato amore per l’erba. Ha fumato oggi? Lungo silenzio. «Mi stai facendo tante domande difficili, amico. Non so se è permanente. Potrei smettere di nuovo, ma mi piace l’idea di avere l’erba nella mia vita. Non ne sento il bisogno, ma se oggi fosse sabato, ce ne sarebbe molta di più». Chi ha detto niente su sabato? Ma in un modo o nell’altro un altro sabato si sta avvicinando, e vedremo chi avrà ragione.