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Laetitia Casta, nessuno (mi) può giudicare

Il nuovo film ‘Una storia nera’. La maturità come attrice e come donna. I pregiudizi avvertiti sui primi set («Venivo dalla moda, pensavano: “Ma che ci fa lei qui?”») e la libertà rivendicata oggi («Non me ne frega più niente, penso solo a quello che voglio fare io»). L’abbiamo intervistata

Foto: Franco Origlia/Getty Images

«Carla non è una donna che parla molto», mi dice Laetitia Casta che invece parla e parla, nel suo spedito e irresistibile francoitaliano pieno di allegria, anche se qui si entra nel profondo nero. Carla è la protagonista di Una storia nera, il film di Leonardo D’Agostini nelle sale dal 16 maggio tratto dal romanzo di Antonella Lattanzi, che l’ha scritto col regista e Ludovica Rampoldi. «Ci siamo trovati in una comune sensibilità, io e Leonardo. L’ispirazione veniva da un cinema che piace a lui e che piace a me, ne abbiamo parlato molto, mi parlava delle eroine di Hitchcock, per cercare di trovare quello stesso loro mistero, quel loro silenzio. Carla si basa sullo sguardo, sui pensieri, è stato interessante lavorare da quell’angolo, non fare la caricatura di una vittima».

Carla è stata sposata con Vito (Giordano De Plano), ha avuto con lui due figli ormai grandi (Andrea Carpenzano e Lea Gavino) e una più piccola che festeggia il compleanno. Lo festeggiano insieme, in un appartamento della Roma borghese, con anche quell’uomo ormai lontano dalla famiglia. Carla l’ha lasciato dopo tutte le violenze subìte nei precedenti anni di matrimonio, pensa di essersene liberata. Quella sera, dopo i regali e le candeline, Vito scompare. Viene ripescato qualche giorno dopo nel Tevere, mortammazzato. Carla è la prima indiziata. «È una donna che si è ribellata», la descrive Casta, «ma qui non è solamente bianco o nero, c’è tantissimo grigio, e quella parte grigia era la più interessante. Era la parola che io e Leonardo ci ripetevamo sempre: grigio, grigio, grigio». Le famose sfumature, cinquanta o più che siano. «Sono stata fortunata a ricevere un progetto come questo, specialmente in Italia, mi è sembrato un film molto moderno, e del resto lo era anche il romanzo di Antonella, un’autrice molto interessante».

Laetitia Casta è Carla. Foto: Fabio Lovino

A un certo punto del film arriva una frase chiave, pronunciata da Carla: “Voi sapete esattamente quello che pensate, quello che volete?”. E lì sta il cuore di Una storia nera, nel giudizio continuo degli altri, di tutti, anche di noi che guardiamo e ci chiediamo: questa donna è solo una vittima? È anche colpevole? Da che parte dobbiamo stare? «Dobbiamo fare i conti col fatto che a volte tutti possiamo essere dei mostri. Che per paura, per angoscia, possiamo reagire tutti in maniera folle. Nessuno è un angelo. Siamo pieni di lati oscuri». Anche le donne, in questa storia nerissima, giudicano le altre donne: lo fa la PM di Cristiana Dell’Anna, lo fa la cognata di Carla interpretata da Licia Maglietta; forse perché non hanno il coraggio di specchiarsi fino in fondo con sé stesse, di giudicarsi per quello che sono. «È un film che parla molto di solitudine. Ho capito che questa donna che interpreto affronta tutto da sola, e forse anche per questo, alla fine, è la più forte di tutti. Lei non si conosce, è stata prima moglie, poi madre, mai una donna per quello che è realmente. Questo cammino tragico la porta a capire quello che è, e per me la vita è sempre fatta così».

Bisogna per forza sporcarsi col nero? «No, io per fortuna non ho vissuto quello che ha vissuto Carla, il fatto che poteva morire, però ho capito che cresci di più grazie alle esperienze difficili che a quelle facili. Cresci quando ti sbagli, quando pensavi di andare in una certa direzione e invece vai al contrario, e ti dici: “Perché l’ho fatto?”, e poi capisci che l’hai fatto perché dovevi crescere come persona. A un certo punto succede a tutti, perché siamo umani, tutti sbagliamo almeno una volta nella vita, tutti facciamo scelte strane. Non si può giudicare».

Laetitia Casta con Lea Gavino, Andrea Carpenzano e la piccola Carola Orlandani in una scena del film. Foto: Stefano Delia

Una storia nera, diceva Laetitia Casta, è anche un film sul diventare la donna che si è, e che non si conosceva prima. «Io oggi mi sento più sicura di me, mi preferisco adesso che a vent’anni, mi trovo più giusta rispetto a quello che sono davvero». Non ha conosciuto il buio di Carla, «ma il peso dello sguardo maschile l’ho sentito, vengo da un’educazione mediterranea, patriarcale, misogina a volte». Ha reagito, è andata al contrario anche lei. «Ho fatto un mestiere artistico. La creatività apre le porte alle differenze».

Mi sembra, forse è una mia impressione, che dall’Uomo fedele di Louis Garrel in poi Laetitia Casta sia più interessata, da attrice brava e piena di sfumature quale è, ad andare dentro, a indagare l’intimità di queste sue donne, dopo una carriera incominciata lavorando soprattutto col corpo, fuori. «Non è solo questo, è che mi interessa la parte intellettuale di personaggi come Carla, la complessità, il côté oscuro. Oggi mi piace di più fare personaggi ambigui, pieni di ombre, le eroine non mi interessano così tanto. La complessità della vita e delle persone forse la capisci con l’età. Oggi sono meno radicale, ecco».

Mi chiedo, e le chiedo, che spazio era il set all’inizio del suo lavoro d’attrice, e che cos’è oggi. «All’inizio mi ricordo che dovevo dimostrare a tutti che ero un’attrice». Sorride. «Perdevo molto tempo a spiegarlo alla gente. Adesso non mi preoccupo di quello che pensano gli altri, faccio quello che devo fare». Ancora il giudizio, anzi il pregiudizio. «Ero la modella che arrivava sul set, e sentivo che alcuni pensavano: “Ma che ci fa lei qui?”. Adesso non me ne frega più niente, penso solo a quello che voglio fare io, e più le cose che mi offrono sono difficili, più mi piace». C’è stato un clic, un momento in cui effettivamente si è sentita attrice, e se n’è fregata? «A teatro. Quando sei sul palco non puoi fingere niente, o ti butti oppure no. E se ti butti, lo devi fare fino in fondo. Fin dal mio primo spettacolo, Ondine, ho capito che era così, che non c’è scelta».

Parlava dell’incontro con D’Agostini oggi, torniamo agli incontri che sono la base dell’essere scelti, e anche dello sfatare i pregiudizi eventuali. «Ringrazio tutte le persone che all’inizio hanno creduto in me come attrice, che mi hanno dato fiducia e libertà. Anche se mi sono sentita davvero libera quando in me stessa ho avuto fiducia io». Il nome di un regista, o una regista, che l’ha capita davvero però lo voglio sapere. «Raúl Ruiz, per esempio, è stato molto importante (l’ha voluta nel 2001 in Les âmes fortes, nda). Avevo 19 anni, avevo appena cominciato a fare cinema, e lui ha creduto molto in me».

Cos’è oggi la libertà per Laetitia Casta? «Fare le cose col cuore, che è quello che cerco sempre». Una storia nera racconta di questa libertà che però, per molte donne, è ancora in pericolo, se non impossibile. «La libertà delle donne sarà possibile solo quando saranno gli uomini a riconoscerla». Ma non c’è rabbia nella sua voce, non c’è guerra. «No, non bisogna pensare a un mondo di donne senza uomini. Se gli uomini vanno male, allora anche le donne vanno male, e tutta la società andrà male. Bisogna cambiare le cose non mettendosi contro, ma andando avanti insieme. Te l’ho detto che oggi sono meno radicale».

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