Quando Laura Adriani dice che Gabriele Muccino riesce a fiutare se un attore si trova in una fase della vita che coincide con quella del personaggio, non parla a caso. Ginevra è il primo ruolo da madre e da adulta che ha interpretato, ma è anche il ruolo dell’epifania: «Nella prima stagione di A casa tutti bene Ginevra non esiste: ecco, io ero in quello stesso punto. Invece oggi, come lei, sto imparando a dire: fermi tutti. Adesso le regole le detto io». È vero che quando un essere umano scopre la libertà è un po’ come quando si innamora: ha un’eccitazione contagiosa che si avverte nell’aria, magari mentre ti parla per un’ora e sempre in potenza, come fa Laura in questa chiacchierata. C’è una scena bellissima nella seconda stagione di A casa tutti bene (in onda su Sky e in streaming in esclusiva su NOW) in cui vediamo Ginevra, ripresa in slow motion sulle note di Spooky di Dusty Springfield, che esce di casa e va incontro alla nuova vita che l’aspetta. Un sorriso esitante, un abito sexy e i capelli in preda al vento: ha appena scelto di essere libera. Laura è nello stesso punto, anche stavolta: «E vorrei gridarlo a tutti, quanto è bello essere liberi».
«Sono nata a Ostia Antica, i miei genitori non sono intellettuali, però sono veri. Molto veri. Io invece ho avuto grandi difficoltà ad integrarmi. Per tanto tempo ho sofferto di non appartenere ad una classe sociale un po’ morettiana, e infatti a diciannove anni sono andata a vivere a Roma Prati». La interrompo mentre suona al pianoforte e scrive una canzone, proprio nella casa di famiglia in cui è cresciuta: «Mio padre ci ha trasmesso questa grande passione per la musica, da ragazzo era nel Coro di Roma, ha fatto La Tosca e Giamburrasca con Rita Pavone. Ha smesso perché doveva lavorare, la mia è una famiglia dalle origini molto umili. Poi mio fratello è diventato un cantante d’opera, io invece ho tenuto la musica in castigo per tanto tempo. Oggi il castigo è finito, le ho detto: va bene, puoi tornare». Insieme alla musica è tornato anche il gusto di sentirsi insieme «intelligente, di successo e fica», la voglia di far pace con una carriera iniziata in televisione «che può ammazzarti» e la gratitudine verso chi ha saputo scuoterla. Perché Ginevra urla poco e Laura ha avuto bisogno che qualcuno le urlasse in faccia: «Ed è stata la bestemmia più importante della mia vita».
A diciannove anni già potevi permetterti un appartamento a Prati?
Sì. Nonostante a quell’età io abbia sperperato i miei soldi come una matta che non capiva tante cose. Ho viaggiato tanto, sono andata a New York per tre mesi, e anche oggi offro tutto a tutti, spendo per il cibo, per il bere, mi piace quella roba lì.
Quelli erano i primi soldi dei Cesaroni?
Sì, bravissima. Che comunque erano tantissimi.
Poi hai continuato a guadagnare sempre di più?
Certo. Però è ovvio che quella cifra era esorbitante all’epoca e per l’età che avevo. Ma uno fa le serie anche per questo: lavori tanto e ti fai pagare il giusto.
La voglia di appartenere a quella classe morettiana c’è ancora?
Quando ti porti la provincia addosso, non come risorsa ma come limite che non ti fa volare, può essere problematico. Io pensavo: non mi vedranno mai elegante, non mi vedranno mai borghese. Invece dopo Muccino credono che io sia molto borghese e molto elegante. Oggi allora rispondo il contrario: “Ma come raga’, io so’ de Ostia”. Ed è divertente quando te ne rendi conto, perché ti senti stupida. Io lo vedo che la mia Ginevra non è nata lì dentro, che non è una Ristuccia ma viene da un’altra parte, come me. E mi piace.
Ginevra detiene il record di personaggio che urla di meno in questa seconda stagione: hai vinto una scommessa con Muccino?
(Ride) Ce l’ho fatta. Parlerò in maniera molto sincera, quando ho iniziato la prima stagione mi sono detta: ti prego, Laura, non urlare come una gallina, stai attenta. Nella mia famiglia si urla tanto, quindi da adolescente ho lavorato sulla mia rabbia e sulle mie urla. Muccino parla di borghesi che urlano con una loro grazia, che è un’altra cosa. In questa seconda stagione Ginevra arriva da un coma e io ho sfruttato l’occasione: “Gabriele, qui secondo me lei esagera. Non serve, ci sono tanti modi per urlare”.
Laura come urla?
Io spesso urlo restando in silenzio: ti guardo e ti sto urlando in faccia. Il più grande timore che ho, sia nella vita che quando recito, è quello di essere finta. La finzione è qualcosa che ho visto negli esseri umani e che mi disgusta. Bergman in Persona descrive perfettamente il mio cruccio: se dipendesse da me, io starei sempre in silenzio.
Questo riguarda l’attrice o la persona?
Come diceva Monica Vitti: non c’è differenza per me. Lavoro sempre sul fatto di togliere dei veli e delle difese, mi rendo conto di quanti atteggiamenti e sovrastrutture ho appreso come salvavita per non dire la verità. Sono stata molto sgridata perché dicevo la verità, e non capivo: perché mi sgridate? Sto solo dicendo la verità, siete pazzi? Questo inevitabilmente si è andato a riflettere anche sulla mia recitazione.
Com’è stato lavorare insieme a Muccino sull’implosione anziché sull’esplosione? Un lusso, il tuo.
Era quasi il mio scopo. Io avevo dei pregiudizi su Gabriele, invece il primo giorno che sono arrivata al provino l’ho guardato negli occhi e ci siamo visti: “Ma lo sai che pure io c’avevo un ristorante a Ostia, come i Ristuccia?”. Lui mi ha risposto: “Ah, quindi sei de Ostia?”. Il giorno dopo mi ha chiamato e mi ha detto: “Sei tu”. È un essere umano stupendo.
Ogni attore lo dice di Muccino: perché?
Te lo spiego: perché è il regista che più di tutti fa diventare l’attore un co-creatore insieme a lui. Si dà la possibilità reale di fare un lavoro collettivo, ma senza perdere se stesso, anzi: qui è Muccino all’ennesima potenza. Se tu guardi La ricerca della felicità e Sette anime, lo vedi che non è lo stesso dell’Ultimo bacio. Questo perché è molto libero, non gli interessa crearsi un’immagine di sé e rispettarla, non ha paura di tradirsi. A Muccino non gliene frega proprio un cazzo. Indipendentemente da chi ha davanti, lui prende quello che c’è. Quindi nel momento in cui si è trovato davanti un’attrice come me, ferma, immobile, che non aveva dubbi… lui ci ha visto dentro una regia, dei piani fissi e strettissimi, altrettanto fermi.
È vero che la tua bellezza ti è stata antipatica per molto tempo?
Sì, perché pensavo di dover scegliere tra l’intelligenza e la bellezza. Sono figlia della società in cui sono cresciuta. Poi mi sono resa conto che in realtà non devo scegliere proprio niente: posso essere intelligente, di successo, e anche una bella fica, perché no? In questo senso ci sono due autori che mi hanno cambiato profondamente: Piccioni e Muccino. Non so se ti è capitato di vedere l’abito bianco che ho messo all’anteprima di A casa tutti bene (per intenderci: collezione Philosophy di Lorenzo Serafini con scarpe Jimmy Choo, nda): una follia, a testimonianza di questa presa di coscienza. Oggi posso anche assomigliare a una che è uscita da Uomini e donne, mi sta bene.
Era un abito un po’ Kardashian.
Esatto, un po’ Kardashian, un po’ film d’autore, un po’ televisione, un po’ tutto. Sicuramente però non era un abito da attrice italiana di sinistra. Non era in linea con quella classe sociale a cui aspiravo anni fa.
In questa seconda stagione i personaggi sbagliano tutto, cadono come birilli impazziti. Anziché salvarsi, si rovinano da soli. Praticamente una metafora della vita?
Se io ho fatto dei danni, significa che in quel momento non mi potevo salvare. Quindi sono d’accordo, ci sono dei buchi in cui noi cadiamo: all’inizio non li vediamo, poi magari iniziamo a starci attenti e a girarci intorno, ma ci caschiamo dentro comunque. Finché, un giorno, quei buchi non spariscono. Questa è la verità: finché quel buco sarà lì, noi ci cadremo. Per me lo scopo è che quel buco smetta di esistere e di essere un problema.
E qual è il buco in cui cadi più spesso?
Credo sia il fatto di non vedermi, di sentire di dover sempre qualcosa agli altri. Quindi devo stare molto attenta a ricordarmi chi sono, quello che voglio e quello che non voglio. Sono successe cose che mi hanno fatto stare molto male, un po’ come Ginevra che si è accontentata per anni delle briciole. Nella prima stagione lei non esiste: e io ero là, in quello stesso punto.
Ginevra per iniziare ad esistere ha bisogno di morire un po’.
Sì, di andare in coma e poi rinascere. E poi rischia di nuovo di tornare sottomessa, di rifinire sotto l’ala di Carlo, finché non succede qualcosa. Ecco, anche io sono qui che dico: no aspetta, fermi tutti, ora le regole le detto io. E questo pezzo mancava anche nella mia vita, se osservi la mia carriera è palese.
Pensi di esserti messa in ombra anche nella carriera?
A ventinove anni mi sembra di aver capito che le cose ci capitano perché le attraiamo, e io ho avuto tremendamente paura del successo. Ci sono stati degli attimi in cui avrei potuto spiccare il volo ma non è andata così, non ero pronta artisticamente. Non vorrei mai sbocciare in un momento in cui non mi sento pronta. Adesso, invece, io mi sento pronta. Adesso ci sto, posso farlo.
Hai raccontato che prima recitavi per ego. C’entra qualcosa?
Sì, ma hai tirato fuori una questione impegnativa, perché come ci si arriva a capirlo? L’ego non se ne va mai, però a un certo punto lo guardi e capisci quanto sei piccola, quanto fai schifo, quanto sei bisognosa, quanto hai paura, quanto vuoi l’abbraccio incondizionato di mamma e papà che non ti chiedono di risolvere i loro, di traumi, perché inconsciamente tutti i nostri genitori ce lo hanno chiesto. E così ti rendi conto che stavi recitando per salvarti. E che non è il motivo giusto per recitare.
C’entra anche con l’amore? Nel monologo Non sono l’unica, che ha portato in scena al Superficie Live Show, dicevi: “Speravo di trovare l’amore eterno, ma ci speravo proprio come se prega pe’ un miracolo. Poi, nonostante io fossi disposta a tutto, questo non ha portato a un cazzo”.
Sì, quel monologo era un’urgenza di questo periodo. Io credo che la verità sia lo psichedelico più forte che esista al mondo, una reazione chimica fuori controllo. È come quando ti innamori e vuoi urlarlo a tutti: raga’, non avete capito quanto è bello innamorarsi, vi prego, fatelo anche voi. Ecco, io adesso vorrei urlare quanto è bello essere liberi. Non è un caso che io mi sia laureata in psicologia e abbia preso un brevetto per insegnare yoga. C’è stato tanto lavoro, non è che una mattina mi sono svegliata ed ero libera.
Nelle relazioni non sei stata libera?
Per me gli uomini sono stati un grande problema fin da piccola. Era una dipendenza che mi faceva scappare da me stessa: mi occupo dell’uomo così non devo occuparmi di me. Sicuramente questa epifania professionale è coincisa con la libertà emotiva. Ho passato tutta la vita a compiacere gli altri perché avevo bisogno che mi amassero, e lo facevo anche nella recitazione. Invece nella seconda stagione di A casa tutti bene mi sono messa lì, a guardare gli altri attori negli occhi, e Gabriele mi ha messo a sua volta una macchina davanti. Appena inizi a sperimentare, ad andare verso un luogo più libero, capisci di stare meglio. Capisci che funzioni di più nel mondo.
A proposito di psichedelici: Morelli per Falla girare avrebbe potuto scegliere un volto già rodato nella commedia. Invece?
Qui ti devo fare un mea culpa: ero molto stanca quando è arrivato quel film. Ho ricevuto la sceneggiatura due settimane prima delle riprese, sono stata catapultata dal set di Muccino dentro quello di una commedia grottesca. Questo mi ha fatto capire che io, due cose insieme, non le posso fare. Non ora. Poi, mentre giravo Morelli, mi hanno proposto Resta con me: bene, ho chiamato la produzione e ho chiesto le sceneggiature e due coach di napoletano con due mesi di anticipo. Questo perché su Falla girare non mi sono divertita come avrei potuto e come avrei voluto. Mi dispiace per me stessa e per Giampaolo.
Al pubblico però sei piaciuta, in quel ruolo.
È vero, ma chi mi conosce lo sa. Francesco Scianna, che è un mio carissimo amico, appena ha visto il film si è girato e mi ha detto: “A La’, ma che cazzo hai fatto?”. Fra è veramente la bocca della verità per me, lui sa cosa posso fare e quanto posso spingere.
Su D di Repubblica hai raccontato di un regista che ti ha bestemmiato in faccia, e di come tu ti sia sentita amata per questo. È masochismo o c’è altro dietro?
C’è che avevo fatto una cosa che non si fa. Non mi ero rispettata e non avevo rispettato lui. Io sono cresciuta con la televisione, che può ammazzarti. Di base un interprete lavora con la sua anima, e invece lì puoi ritrovarti a vendere il pesce al mercato. Sono grata a tutto, sia chiaro, ma la verità è questa: “Che numero sei? Vuoi il rombo? Laura! Allora, in ’sta scena devi piagne, dai, forza, giriamo!”. E tu ti abitui a questa cosa, soprattutto se sei una bambina come lo ero io. Così, quando sono arrivata a fare altro, non ero settata per quel ritmo. Quel regista mi si era avvicinato con grande amore, dicendomi all’orecchio che avrebbe voluto qualcosa di più forte da me. Appena ha girato le spalle, io gli ho urlato dietro: “Ma vuoi la lacrima?”. E certo che mi ha bestemmiato in faccia, perché non ci poteva credere. Quella è stata la bestemmia più importante della mia vita. Ha urlato in faccia a tutti i registi che mi avevano diretta prima di lui e a un sistema che non funziona, ma soprattutto ha dato una lezione fondamentale a Laura: non permettere a nessuno di venire lì a dirti “adesso voglio la lacrima”. Rispettati.
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Foto: Sara Meconi
Stylist: Alice Grondona
Make-up Artist: Annagioia Catone
Hair Stylist: Christian Vigliotta