James Jagger lo conosciamo per una serie di motivi. Intanto per quel cognome che porta, facendo finta di niente: spalle larghe, fisico minuto, labbra sporgenti (che ve lo dico a fare) e sorrisi a manetta.
È il figlio di Mick e di Jerry Hall, secondo di quattro, tra fratelli e sorelle, nati dalla lunga relazione tra i due. L’abbiamo visto anche in Vinyl (prodotta da HBO e arrivata in Italia su Sky Atlantic) serie tanto bella quanto costosa, che è durata solo una stagione, facendoci salutare anzitempo il protagonista Richie Finestra (Bobby Cannavale), le sue (dis)avventure discografiche, e Kip Stevens, il cantante della band proto-punk The Nasty Bits, interpretato proprio da JJ.
Nella sua vita ha fatto parecchie cose: il cantante, l’attore, il surfer amatoriale, l’attivista per Project Zero, un’associazione per la salvaguardia degli oceani. Lo incrociamo a Londra durante la presentazione di un nuovo impegno del giovane Jagger, all’epoca super top secret. Ovvero, la campagna per i nuovi profumi Emporio Armani, Together Stronger (Because it’s you e Stronger with you, rispettivamente per lui e per lei) per i quali è diventato testimonial assieme a Matilda Lutz, modella e attrice italiana di casa a L.A., di cui ci siamo già abbondantemente innamorati in passato. I due, insieme, formano una coppia affiatatissima e incasinatissima, che vive un amore passionale e giocoso tra mille impegni lavorativi e una vita frenetica, a New York. Solo per questa occasione però, visto che James è già sposato da tempo con l’affascinante Anushka Sharma.
Jagger ci accoglie su un divano con lui, mentre sui maxischermi davanti a noi vengono proiettate le immagini degli spot che iniziamo a commentare insieme (per onore di cronaca, di fianco a noi c’è anche il regista, che sembra diventato nel frattempo anche un grande amico di Jagger).
Allora, che ne dici di questi video? Ti piacciono?
Sono molto contento del risultato, sì. Quando ho incontrato per la prima volta il regista, Fabien Constant, e i creativi, volevo capire la natura di questo lavoro. Ovviamente ero super orgoglioso e lusingato ma, sai, in questo ambiente ci sono molti maybe, tante volte sono stato coinvolto in progetti enormi che alla fine non sono andati in porto, o non ne sono uscito come volevo. Ti dirò, per essere sincero, avevo dei dubbi, non volevo che diventasse troppo cheesy, troppo sexy, troppo classica. Non fanno per me queste cose. Ma ho subito capito che sarebbe stato un progetto interessante, con un taglio diverso, lontano dalle pubblicità più classiche. I video e le foto sono proprio quello che mi aspettavo. Insomma, mi piace!
È tutto il giorno che parliamo di profumi. Ne hai alcuni a cui sei affezionato? Non so, quello dei tuoi genitori o quello delle torte della nonna…
Quasi. L’odore che ha segnato la mia infanzia è quello della vecchia macchina di mio nonno (John P. Hall, il padre di Jerry Hall, nda), ci lavorava di continuo quando ero piccolo.
Ah, quindi garage, benzina, olio, cose del genere…
(Ride) No, odori buoni! Più che altro pelle e vernici. Mio nonno non aveva un’officina, era appassionato di automobili ma non un vero collezionista. Aveva un’unica macchina, ha iniziato a curarla e sistemarla negli anni ’60 e l’ha tenuta perfetta fino alla sua morte, ormai quasi 20 anni fa.
Com’è stata la tua infanzia? Da come ne parli, sembra che passassi molto tempo con lui…
Sì, ho trascorso più tempo con i miei nonni che con i miei genitori, in realtà. Soprattutto con mio nonno: era sempre molto disponibile, mi portava a scuola tutti i giorni ma c’era sempre, anche dopo, per giocare o passare il tempo libero.
Hai una carriera “doppia”, ti sei sempre diviso tra musica e cinema. Come fai a portarle avanti?
Faccio, o almeno provo a fare, sempre tutto allo stesso tempo e cerco ancora adesso di portarle avanti entrambe. Ovviamente non in contemporanea, a volte mi prendo delle pause dal recitare: non lo faccio per scelta, ma perché faccio dei tour o canto. Per la gioia del mio agente… (Ride)
Non è il massimo, se vuoi fare l’attore da grande…
No, ovviamente no.
C’è stato qualcosa che ti ha fatto scattare la passione per lo spettacolo? Tipo da piccolo, cosa volevi fare?
Quando ero a scuola ho fatto un test attitudinale: rispondi ad alcune domande e quello ti dice cosa potresti diventare da grande, a seconda dei tuoi interessi. Ci sono anche in Italia, no? Ecco, a me è uscito di tutto, mi ricordo che sarei dovuto diventare un giardiniere, o un manutentore di campi da golf. Contando che non ho mai visto una palla da golf nella mia vita, non ci ha preso molto… Alle scuole superiori, poi, avevo un insegnante di teatro molto bravo, davvero appassionato e che sapeva trasmettere una passione vera per la recitazione. Mi ha spinto a provare, a buttarmi, e io l’ho fatto. Direi che è stata più un’evoluzione naturale, un amore che è cresciuto con il tempo, piuttosto che un colpo di fulmine vero e proprio.
E poi sei andato avanti, hai recitato in un sacco di film indie, ma tutti ti abbiamo conosciuto quando hai interpretato Kip Stevens in Vinyl. Come è andata quell’esperienza?
È stato esaltante ma allo stesso tempo snervante, devo ammetterlo. L’ho vissuta come una bellissima palestra che sicuramente sarà utile per il mio futuro. Il team che ci ha lavorato è molto appassionato, hanno costruito un ambiente molto famigliare, legato e accogliente. C’era molta intimità sul set, un bel clima. Anche con Martin Scorsese c’è stato un bel rapporto.
Ho incontrato per la prima volta Scorsese a casa sua. Abbiamo detto cazzate per un’ora!
Come ti sei trovato con lui? È un’istituzione ma si dice che sia un tipo simpatico…
Ti racconto questa cosa. Il primo incontro con Scorsese, il primo casting vero, diciamo, ha voluto farlo a casa sua: ero super nervoso, ero certo che sarebbe andato male. Anche la sua casa ha un lungo corridoio, tanti mobili giganteschi in legno… Non è un ambiente che ti mette a tuo agio. Però abbiamo detto un sacco di cazzate per un’ora! È un tipo davvero esaltante, molto aperto, molto carico: è curiosissimo, vuole sapere tutto di tutto. Per me è stata una sorpresa vera, è un personaggio incredibile. È comunque un’artista, cresciuto nella New York degli anni ’60 e ’70, proprio quello di cui si parla nella serie. Doveva essere così per forza!
Credo che sia anche per questo che ha una crew di persone molto fedeli, sono una famiglia vera. C’è gente che lavora con lui dai tempi di Mean Streets (terzo film di Scorsese del 1973, uscito in Italia con il titolo di Mean Streets – Domenica in chiesa, lunedì all’inferno). Come si chiama la sua montatrice? (Si gira verso il suo agente per chiederglielo e quello gli risponde urlando dall’altra parte della sala: “Theresa!” riferendosi alla mitica Schoonmaker, tre premi Oscar in bacheca e Leone d’oro alla carriera a Venezia nel 2014). Ecco, Theresa! Lei è sempre stata con Scorsese, è difficile trovare un altro regista che lavora con una crew così affezionata e fedele.
Come ti sei preparato per interpretare il personaggio di Kip Stevens? Sei entrato molto nel ruolo?
Beh, sono stato molto fortunato perché sono un grande fan di quell’epoca, della NY degli anni ’70. Ho rivisitato molto la parte che mi avevano assegnato, mi sono guardato un sacco di film, da The Blank Generation in poi (un home movie DIY, diretto e prodotto da Ivan Kral e Amos Poe, con Iggy Pop, Blondie e Patti Smith, sui primi anni del punk, nda). Ho letto tanto, ho ascoltato tanta musica. Mi sono preparato bene: io dovevo incarnare il vero spirito punk di quegli anni. C’era molto glam, nella realtà come nella serie, e poi c’era tutta questa frangia cruda, essenziale. Ecco, io ho studiato per mettere in scena quella. Ho parlato con tante persone che mi hanno raccontato aneddoti e segreti di quel periodo.
Qualche fonte ce l’avevi…
E in più anche dalla produzione si fidavano molto di me. Mi hanno chiesto di parlare con gli sceneggiatori, Terence Winter (tra gli ideatori e produttori della serie, assieme a Mick Jagger, nda) era molto interessato e, anzi, avrebbe voluto integrare anche alcune mie idee. Ci siamo confrontati su tante cose, ho proposto di inserire nuovi personaggi, per esempio i genitori di Kip, avrei voluto approfondire il loro rapporto famigliare, la sua gioventù. Sarebbe dovuto succedere nella seconda stagione, in realtà, li avevo già convinti…
Senza sofferenza, per quanto mi riguarda, non c’è passione. In nessun caso
E invece niente seconda stagione
Niente seconda stagione, già, peccato! Per tanto tempo è sembrata una cosa sicura, ma poi hanno deciso di cancellare e bloccare tutto.
Per questioni economiche, confermi?
Sì, la HBO ha cambiato un po’ di persone ai piani alti (un mese prima della decisione di annullare la serie, è cambiato il programming president del canale, che ha rivisto i budget di tutte le produzioni in cantiere, nda). Devo dire che lo show era molto costoso, non si risparmiava proprio su nulla. E c’erano anche un sacco di spese extra budget, sempre. Ogni giorno venivano usate cinquanta, sessanta auto vintage, una produzione incredibile che non badava a spese. Era come stare sul set di un film. Penso che fosse una serie bellissima, tra le migliori produzioni degli ultimi anni. La puntata pilota che Scorsese ha diretto è stata incredibile, emozionante.
Ma, nonostante Vinyl, non ti sei fermato e ora hai un sacco di altri progetti in ballo. Film e anche qualche concorso…
Non sai mai con questi film, come ti dicevo. Ho fatto un paio di lavori indipendenti che secondo me hanno del buon potenziale e possono arrivare a qualche festival importante, ma non voglio neanche parlarne, non per scelta, sia chiaro. È solo che non so dove e come finiranno questi prodotti. Come prima, questo mondo è pieno di maybe. Magari sei convinto che qualcosa vada bene, ci credi, i produttori ti fanno ben sperare, e poi invece non esce da nessuna parte. È una cosa che mi è già successa, è frustrante, ma ho capito che fa parte del gioco.
Oltre al cinema, so che sei anche un surfista e hai una passione per gli oceani e la loro salvaguardia. Quando hai iniziato con la tavola?
Davvero poco tempo fa, diciamo da quando mi sono trasferito in California. In Inghilterra uscivo solo qualche volta all’anno, ma adesso ho l’oceano a un passo da casa e appena posso prendo la tavola e vado. Sono sempre stato un tipo sportivo, ma ho anche altri hobby. Mi piace scrivere, e soprattutto mi piace cucinare a casa. Sono abbastanza bravo…
E trovarti un lavoro vero? Scherzi a parte, ci hai mai pensato? Potrebbe esistere un Jagger in versione “colletto bianco”?
Sì, ma penso che sia soffocante avere una routine, o almeno, io non ci riesco. Non voglio avere dei ritmi rigidi, non voglio dovermi svegliare e sapere già a cosa andrò incontro. Però questo lavoro mi assorbe, mi prosciuga, mi stressa. Alcuni miei amici me lo chiedono: “Senti, ti lamenti sempre che sei sotto pressione, che non hai mai tempo, che sei pieno di impegni… Hai mai pensato che forse questo non è il lavoro giusto per te?”. Ma è normale!
Se qualcosa ti piace, è normale che ti metta sotto pressione. Senza sofferenza, per quanto mi riguarda, non c’è passione. In nessun caso.