Quando era piccola suo padre organizzava i “venerdì cinema” in famiglia. Oggi sua nonna guarda Euphoria e SKAM Italia insieme ai nipoti. Quando erano bambini, suo fratello Damiano sognava di diventare Zorro e lei sognava di non dover scegliere: «Improvvisamente iniziano a chiederti ogni giorno “Che cosa vuoi diventare? Chi vuoi essere?”, ed è come se non fosse più lecito rispondere: “Non lo so”». Il primo provino l’ha raggiunta per caso mentre studiava Psicologia, ma per caso davvero: “Cercano una che somiglia a te. Se fai schifo, torni a casa e ci ridiamo su”. È nata così Viola di SKAM. E dopo Viola è arrivata l’Artemisia Gentileschi di Michele Placido nel film L’ombra di Caravaggio. Giovani donne con un valore intrinsecamente politico per una giovane donna che – ci avremmo scommesso – tra i banchi di scuola sapeva per cosa arrabbiarsi: «Se un adulto utilizzava le fragilità degli alunni contro di loro, mi faceva saltare in aria».
Viola è diventata un simbolo in un lampo. Un esempio per le adolescenti e un’epifania per le trentenni: da ragazzine non ci siamo accorte dei nostri errori né sapevamo dare un nome ai loro. «Credo sia stato questo l’impatto di Viola sulle persone. Nella nuova stagione (la sesta, da giovedì su Netflix, ndr), l’obiettivo con Tiziano Russo era quello di farle ritrovare la giovinezza che aveva perso. La vediamo più spensierata e più infantile, forse anche troppo, perché questo la porterà a distrarsi da Asia». Asia che, interpretata da Nicole Rossi, racconterà il tema (non poco rischioso) dei disturbi alimentari. Ma come sempre SKAM Italia linka tra protagonisti storici e nuovi, in una rete di sottotesti in cui si fa più centrale la politica studentesca, il cortocircuito tra attivismo e popolarità, l’importanza del dialogo. E quindi parlare, parlarne sempre. Perché dopotutto è fico farlo, e le nuove generazioni lo hanno capito. Il comune denominatore è sempre lo stesso da sei stagioni: come diventare adulti senza farsi troppo male da adolescenti? Che poi è anche il tema dell’anno per Lea Gavino: «Dover abbandonare la nostra innocenza quanto è indispensabile, ma anche triste?». E infatti è proprio come La ragazza dello Sputnik di Murakami, ma questa è l’ultima parte della storia.
Allora partiamo dall’inizio: com’è stato ritrovare Viola dopo i fuochi d’artificio della stagione precedente?
In questa stagione la vediamo più serena, più spensierata e perfino più infantile. Quando ho letto la sceneggiatura inizialmente sono rimasta un po’ stupita del fatto che il mio personaggio, che nella quinta stagione era stato così arguto da scovare le difficoltà di Elia (il personaggio di Francesco Centorame che soffre di micropenia, ndr) e supportarlo, ora fosse tanto distratto nei confronti di quelle di Asia. Quindi come raccontarlo? Perché di base Viola è sempre Viola, allora cosa poteva essere cambiato?
E cosa ti sei risposta?
Che era interessante vederla in un’altra veste, dopo il rapporto iniziale con un ragazzo, quando soprattutto nell’adolescenza si cerca di mostrare tutte le carte buone. È divertente ritrovarla più leggera, anche perché poi sarà d’impatto il cambio di direzione, quando si accorgerà di essere stata assente per Asia e avrà la possibilità di ricordarsi cosa ha significato per lei l’assenza delle amiche durante il suo, di percorso.
Elia e Viola come stanno?
Loro stanno bene. Nella quinta stagione hanno messo delle buone basi per avere una relazione che funziona, e questo si vedrà nei nuovi episodi, in particolare con una scena in cui ci sarà molto dialogo. Viola ed Elia sono una coppia che parla. Hanno imparato a farlo a loro spese, all’inizio della relazione, quando ognuno nascondeva il suo segreto. Con Tiziano Russo (regista delle stagioni 5 e 6, nda) crediamo che forse loro siano la coppia più sana di SKAM, quella che non ha tracce di tossicità nel rapporto. Adesso li ritroviamo un pochino più buffi e ci voleva, perché nella quinta eravamo du’ pesantoni (ride).
Invece Lea e Francesco?
Sono due colleghi affiatati. Io non scorderò mai la sintonia che c’è stata con Fra durante il primo provino che abbiamo fatto insieme, e che abbiamo ritrovato in ogni scena di questa nuova stagione. C’è una chimica professionale rara tra noi. È come se ci fondessimo mentre recitiamo. Anche tecnicamente, ci diamo sempre gli assist giusti, non c’è mai bisogno di sistemare una cosa.
Per me Viola è “l’adolescente che ci ha rieducate definitivamente al tema del micropene”, soprattutto per quanto riguarda noi trentenni. E visto che non è un ruolo qualsiasi, cos’è successo dopo SKAM 5?
Come dici tu, io sono stata fermata da tantissime trentenni, più che da adolescenti. Molte ragazze più grandi mi hanno detto: “Sai che guardando SKAM ho capito che in passato non mi sono comportata bene e neanche me ne ero accorta?”. Credo sia questo il vero impatto che ha avuto il personaggio di Viola, sugli altri ma anche su di me.
Eravamo molto diseducate. E ci siamo comportate da maleducate.
È proprio questo il punto. Io ho cambiato totalmente modalità di pensiero e di parola. Ora c’è un’altra sensibilità, a partire dalle domande che ci facciamo tra amiche. Riguardo invece al tema centrale di Viola, quello legato a Spera (l’ex psicologo della scuola che aveva intrattenuto una relazione con Viola, manipolando lei e molte altre studentesse, nda), l’impatto per molte è stato quello di rendersi conto in ritardo di alcune dinamiche vissute in passato. Per la nostra generazione dare i nomi alle cose era molto più complesso.
Hai raccontato di aver vissuto anche tu un episodio importante di manipolazione.
Sì, l’avevo già metabolizzato quando c’è stato da raccontarlo in SKAM Italia. Ma nella vita delle giovani ragazze è all’ordine del giorno, e spesso non ti rendi conto delle piccole cose, di conversazioni che magari sono durate un’ora ma sono state ambigue. Ricordo che al presidio medico della scuola che frequentavo c’era un medico che faceva domande folli con un’attitudine folle. Questa cosa all’epoca divertiva me e le mie amiche, ma se ci ripenso adesso, da venticinquenne, mi vengono i brividi.
In questa nuova stagione vi renderete conto che oggi, per cambiare le cose, bisogna essere popolari. Che per fare attivismo conviene trasformarsi in personaggio. Che ne pensi?
Che è obiettivamente vero. Nel nostro periodo storico ci sono talmente tante facce, parole, opinioni, che alla fine la figaggine conta più di quello che scrivo senza mostrare la faccia. Abbiamo sempre bisogno di ricondurre un pensiero a un volto. Questo attraversa in particolare il personaggio di Asia, perché Viola entra nel comitato studentesco per lei, fa politica per sostenere un’amica e non perché sia una vocazione. Perdiamo le elezioni, le altre sono depresse e io me la vivo tipo: “Ok, adesso però andiamo a giocare a ping pong?”. Resta il fatto che Viola trova il modo di crescere anche attraverso la politica.
E che Viola vive in modo spontaneamente politico, se consideriamo politico il modo in cui agiamo nella società.
Assolutamente. Lei è molto emotiva, fa quello che sente giusto, ha un forte senso di rivalsa e di giustizia. Con la questione di Spera diventerà ancora più categorica, intransigente verso le scorrettezze.
Scommetto che negli anni della scuola hai combinato dei bei casini in nome della giustizia.
Sì, per le ingiustizie e per la mancanza di sensibilità. Ho litigato molto con i professori, da ragazzina mi accendevo tantissimo quando sentivo che un adulto voleva ricoprire un ruolo autoritario e non autorevole. Utilizzare le fragilità degli alunni contro di loro? Mi faceva saltare in aria. Ma sbagliavo a gestire i modi, poi cresci e capisci che puoi comunicare senza sbraitare e senza uscire dalla classe come una pazza. E soprattutto che si può essere ribelli anche ascoltando pareri diversi, e addirittura cambiando il tuo.
Quando eravate piccoli tuo padre organizzava i “venerdì cinema” in famiglia. Come sarebbe un venerdì cinema oggi, guardando SKAM sul divano tra generazioni diverse?
Lo considererei istruttivo, se pensi che la mia generazione è cresciuta con Gossip Girl o Romanzo criminale, che è stata una vera malattia per noi. C’erano ragazzi che emulavano il Dandy, dicevano “So’ venuto a ricordatte che te sei roba mia” e noi eravamo felicissime. Se ci penso adesso, è fuori di testa. Io non credo che il cinema debba per forza lanciare un messaggio o educare qualcuno, anzi, sono fan dell’irriverenza. Ma credo nel ruolo che SKAM sceglie di assumere e negli effetti che ha sul suo pubblico. Quando mia madre l’ha visto la prima volta mi ha detto: “Ho capito un sacco di cose di cui ti rimproveravo durante l’adolescenza”.
Hai visto SKAM anche con tua nonna?
Sì, ma mia nonna è un caso particolare perché si vede Euphoria, Saltburn, tutto. Non giudica, è curiosa e vive delle nostre vite, dei nostri racconti. Riesce ancora a crescere, a prendere posizioni politiche nuove e diverse. Noi la chiamiamo “nonna moderna” e lei ne va molto fiera, perché è davvero una fica spaziale.
Viola e Artemisia Gentileschi sono, con le dovute differenze, due simboli femminili. Il lusso e il rischio di interpretarle?
Sono due personaggi accomunati da una grande forza, due ragazzine quasi bambine, due giovani che sanno cosa vogliono e non si fermano di fronte al maschile, non ne sono spaventate. Il lusso è che nessuno mi ha mai insultato sui social (ride). Ad alcuni miei colleghi sono arrivati messaggi tremendi per aver interpretato personaggi negativi. Il rischio è che il tuo personaggio veicola un messaggio, e devi essere molto professionale per interpretarlo nel miglior modo possibile. Ancora di più nel caso di Artemisia, che richiedeva un’attinenza storica ma anche un’attinenza alla visione precisa del regista, Michele Placido.
Che effetto ti ha fatto vedere tuo fratello in Nuovo Olimpo di Ferzan Özpetek?
Credevo di poter fare la parte della brava sorella, e invece ero un mix tra “bimba di Dami” e Damiano stesso. Una sorta di fan innamorata che però viveva le sue stesse angosce. Non sono riuscita a viverla con leggerezza, ero troppo in ansia per lui, così gemellata con la sua persona da vivere le sue emozioni.
Come fate a mantenervi così uniti?
Ci impegniamo ad essere uniti. Per fortuna ce lo hanno insegnato i nostri genitori: un fratello è un’opportunità. Allo stesso tempo ci stiamo simpatici e ci stimiamo, e anche questa è una fortuna. Credo non sia scontato.
Del vostro lavoro parlate?
Assolutamente sì, prima di prendere ogni scelta ci consultiamo. Se abbiamo un momento di insicurezza, sconforto o paura, siamo diventati bravi a rassicurarci. Lui più di me, se si tratta di razionalizzare e ricordarci che abbiamo fatto delle belle cose. Io fatico a riconoscere i successi e conto soprattutto gli insuccessi, Damiano invece mi dice: “Devi essere fiera”. La stima che mio fratello ha per me mi tira avanti, e penso sia lo stesso per lui.
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“Se fai schifo, torniamo a casa e ci facciamo una risata”: questo ti dicevi ai tempi del tuo primo, casualissimo provino. Cosa ti sei detta mentre andavi a fare l’ultimo?
L’ultimo? “Se faccio schifo vado a casa e ci facciamo una risata”. Cerco di ricordarmi quella frase come un mantra, perché non è che siccome sei bravo, allora fai ogni provino da paura. Lavoriamo con le emozioni, è inevitabile che ci siano dei giorni no.
Il thriller di Leonardo D’Agostini, in uscita quest’anno, quale tassello aggiungerà alla tua carriera?
Ti dico che per me è stato molto importante. Che sono stata soddisfatta del mio lavoro. Che so di aver fatto una cosa non semplice. Esco con la consapevolezza di potermi confrontare con qualcosa di complesso e almeno questo lo so, a prescindere dal risultato che vedrò.
In un’intervista a Cosmopolitan parlavi dell’amore dicendo che “da una parte è una condanna, dall’altra una sensazione bellissima. È l’unica cosa in cui vai drittissimo nonostante sai che prima o poi un po’ di male te lo farà”.
Sono molto cambiata da quell’intervista. Ora credo che bisogna scegliere ogni giorno, non essere per forza fedele alla scelta che si è fatta con tanta convinzione mesi o anni prima. La possibilità di cambiare idea è un lusso che sto provando a concedermi. Per me il concetto dell’amore come condanna si riferisce all’amore in generale: alla fine ti innamori di qualcuno, vuoi starci insieme da morire, ma sai che prima o poi quella roba lì finirà o ti lacererà.
Allora visto che anche tu ami Murakami, mi viene da pensare al concetto che attraversa La ragazza dello Sputnik: bisogna uccidere il cane per crescere. Vale a dire che per evolversi si deve scendere a patti con il dolore.
L’ho finito un mese fa, incredibile. L’importante lezione che mi ha dato Murakami è che la morte fa parte della vita: questo lo dice in Norwegian Wood. Io ero sempre andata contro quest’idea, l’ho odiata e combattuta. Invece ora la guardo con una poesia diversa.
Dall’altra parte c’è sempre SKAM: bisogna superare la vergogna per conquistarsi la libertà. La tua più grande vergogna l’hai superata?
Bella domanda. Per me è stata rivelatrice la possibilità di essere traditi. Da un fidanzato, dagli amici, in famiglia. Diventi grande e ti ritrovi a confrontarti con questo grande tema: la menzogna. Nel mio caso è stato motivo di vergogna e dolore. È qualcosa che mi fa sentire stupida e forse ancora non me ne libero del tutto. La ragazza dello Sputnik, con questo personaggio femminile stupendo, racconta proprio l’abbandono della parte sognatrice, magica e fantastica. Cosa significa crescere? Dover abbandonare la nostra innocenza quanto è indispensabile, ma anche triste? Il modo di voler bene e amare che avevi quando eri alle prime armi, senza sapere che ti avrebbero ferito. Provo molta nostalgia verso tutto questo. Ecco perché ci sto scrivendo un soggetto. Perché sento che è il mio tema dell’anno.