Senti, Sydney, prima di iniziare mettiamo da parte per un momento Enrico Frattasio, l’agitazione attorno al tema della pirateria, la sera in cui ti sei trovato a cena con Dave Stewart e ti ha raccontato di quando ha scritto Sweet Dreams con Annie Lennox. Mettiamo da parte anche la curiosità su quanto caspita vi è costato avere questa clamorosa soundtrack anni Ottanta (anche perché fondamentalmente non lo sapremo mai: «Abbiamo le fatture», scherza Sibilia; «Mica li abbiamo pagati, i diritti», lo spalleggia Rovere). Il fatto vero, qui, è che con Mixed by Erry tu ci hai dato il colpo di grazia, hai insinuato il dubbio: ma può esistere ancora l’amore vero, senza nessuno che corra a chiedere scusa con un’audiocassetta?
Vedi, c’è quella scena in cui Erry prepara un mixtape con dentro qualche canzone di Peppino di Capri per il fratello che deve farsi perdonare dalla ragazza, e alla fine lei non solo lo perdona, ma questi due da grandi si sposano proprio. Sydney mi riporta subito alla dimensione fisica di tutta la questione: «Io da ragazzo stanziavo un budget che per me era fondamentale, perché non è che potevo stare senza musica. A questo aggiungi lo sbatti di farla, una cassetta, ed è il contesto che dà un’importanza diversa a tutto. Oggi invece come fate, voi ragazzi? “Ti giro un link”? Che brutto, non è la stessa cosa». Non è per niente la stessa cosa. Che poi bisognerebbe chiederlo ai ragazzi veri, e comunque no, non ci giriamo neanche più i link. Adesso condividiamo le frasi delle canzoni direttamente da Spotify su Instagram, sempre a proteggerci dietro un gesto impersonale, così non ci becchiamo un rifiuto e manco ci sposiamo. Stamattina ho postato nelle stories un pezzo di Liberato destinato a qualcuno e quindi a nessuno: E te vengo a piglià senza fà nu rummore, po te porto a ballà, sulo nuje, core a core. Sì, core a core, ma alla fine cos’è una canzone se non la regali davvero a qualcuno?
Senti, Sydney, gli chiedo ancora – e quando vedrete il film capirete perché – ma Little Tony che ti ha fatto di male? «Ti confesso un segreto, abbasso pure la voce», e quello che mi racconta mi pare la storia bellissima di un romanticismo a catena, iniziato almeno due decenni fa, tra fratelli, luoghi e musica. «Io i CD li facevo ai miei amici, avevo il computer con gli MP3 e masterizzavo. All’epoca c’era questo mio amico che voleva chiedere scusa alla fidanzata con una compilation, e me lo doveva dire in anticipo perché col 56k ci mettevo un giorno e mezzo a scaricare ’ste canzoni. Ricordo che a un certo punto mi fa: “Mi serve Cuore matto”, e io gli rispondo: “Ti prego, Cuore matto no”. La canzone è bella, ma non è questo il punto. Lui insiste: “Mi serve proprio quel pezzo: un cuore matto che ti vuole ancora e pensa solo a te”. “Che cazzo, è un inception. Ma perché devi instillare questo seme?”. Lo abbiamo preso in giro per una vita e lui ancora non lo sa, ma stasera troverà questa scena nel film. L’ho invitato da Salerno qui al Modernissimo, perché deve vedere ’sto fatto di Cuore matto».
Questa è l’aria che tira sull’evento organizzato a Napoli per presentare alla stampa il ritorno al cinema di Sydney Sibilia (Mixed by Erry appunto, nelle sale dal 2 marzo), qui insieme a Matteo Rovere con la loro Groenlandia e a Rai Cinema, distribuito in 350 copie da 01 Distribution. Sibilia è in piena vibe allegro-moderato, e noi un po’ stiamo al passo, un po’ vorremmo solo trasformarlo in un ritrovo per nostalgici. Si capisce presto che parlare del film non basta, perché il film ha fatto quello che il cinema dovrebbe fare sempre: ha provocato una strana voglia “mixed by Syd” di raccontarsi, di riflettere su altri tempi, altri Sanremo, generazioni vecchie e nuove, il Napoli di Maradona che vince lo scudetto mentre in città circolano cassette e striscioni Mixed by Erry, e sarà mica una coincidenza se proprio adesso… (cala un silenzio lapidario: fate come se avessi detto). Un collega sposato da trent’anni mi racconta di quando da giovani lei lo chiamava «sul fisso» e lui a volte non rispondeva di proposito: «Così mi avrebbe lasciato un messaggio in segreteria: alla fine le ho regalato il nastro con la compilation di tutti i suoi messaggi». E tanti saluti al prossimo vocale di dieci minuti soltanto per dirci quanto siamo felici.
Intanto, fuori dal Modernissimo si palesano esemplari di spettatori che vogliono sapere quando potranno vedere il film, ma come il cinema è chiuso per questa gente? Percepiamo l’attesa e la portata dell’evento. Dentro, invece, tra locandine storiche di Polański, De Sica e Leone, un pannello poco in vista colpisce per una citazione tratta dal film d’animazione del 2013 L’arte della felicità, del napoletano Alessandro Rak: “E a te, tutto sommato, è andata bene. C’è gente che ha talento in giro e sta per strada ad elemosinare o chiusa in casa a piangersi addosso. Questo è un mondo per vecchi, amico. Un migliaio di vecchiacci avidi e decrepiti sparsi per il mondo ha in mano tutto il capitale, tutto il potere, e non hanno un cazzo di idea di cosa sia il futuro dell’umanità. Ci dobbiamo svegliare, mi dico”. La battuta potrebbe essere benissimo di Erry ragazzino – prima che iniziasse a fatturare miliardi e che gli tornassero tutti indietro come un boomerang – ma anche di Sibilia e Rovere, che in uno scenario stantio hanno saputo svegliarsi e soprattutto rimanere svegli. «Ormai abituati a scambiarsi i ruoli di produttori e regista nella loro baracca, solo loro due potevano fare un film così: una storia vera talmente incredibile che se fosse stata un’idea di finzione sarebbe stata poco credibile. Un film napoletano che porta valori condivisibili pure a Timbuktu». Samanta Antonnicola di Rai Cinema, hai ragione.
Facciamo un passo indietro: nella Napoli degli anni Ottanta, i fratelli Frattasio crescono tra i vicoli di Forcella. Per tirare avanti, il padre vende tè prodotto in casa spacciandolo per whisky (a proposito di nuove ere: Adriano Pantaleo, che nel ’93 faceva “la guerra ai grandi” in Ci hai rotto papà e ora interpreta il papà accanto a mamma Cristiana Dell’Anna, fa un certo effetto). Eppure qualcuno ha il coraggio di dire a Erry che “Enrì, guarda che i dj ponno nascere pure a Forcella”. E così, partendo da un piccolo duplicatore e qualche mixtape, insieme ai fratelli crea un’impresa che arriverà a produrre 60mila pezzi al giorno, dominando il 27% del mercato musicale dei primi anni Novanta e diventando, di fatto, il primo esempio di “falso originale”, la prima etichetta discografica in Italia e il primo “pirata italiano”.
Sta tutto qui, sul confine che separa dolorosamente l’emancipazione dalla legalità, il sogno americano ambientato a Napoli di cui parla Rovere: Mixed by Erry è prima di ogni cosa la storia di chi nasce senza una lira e, con il sogno di uscire fuori dagli schemi imposti, sviluppa un’intelligenza da sopravvivenza. Il guizzo e il talento delle canaglie. Un tema carissimo a Sibilia, se non il vero tema alla base di tutta la sua filmografia. «Dopotutto è sempre la storia di dove nasci», mi dice, «in questo caso a Forcella, e magari vuoi fare il dj quando non è la cosa più semplice del mondo». A volte ce la fanno. A volte, come in questo caso, finisce con quattro anni di carcere per associazione a delinquere finalizzata alla truffa e al falso. Nella battuta che Sydney preferisce, Erry dirà: “Se mi guardo indietro, tutto ’sto baraccone… Io volevo solo fare il dj”. Quando gli faccio notare che noi siamo nel pieno di quest’altro baraccone, tra interviste, photocall e pranzi da Concettina ai Tre Santi, i piani inevitabilmente si sovrappongono: «Io volevo solo fa’ il regista. Ma fortunatamente il mio baraccone dura poco. A me piace raccontare le storie. Se potessi fare delle cene con un sacco di gente e raccontare storie, io farei solo quello. Ma alla fine questo è il linguaggio che uso: quello cinematografico. Pure se volevo solo farvi fare due risate, mica fare il regista».
È vero che questo quinto film segna quasi l’evoluzione fisiologica della trilogia Smetto quando voglio prima e L’incredibile storia dell’Isola delle Rose poi, ma stavolta c’è una differenza sostanziale: Sibilia è stato testimone del momento storico che racconta. Questa vicenda è anche sua, e si vede. «Gli altri periodi ho dovuto studiarli, quindi c’era sempre il rischio di fare una trasposizione già filtrata della realtà. In questo caso, invece, vedi la storia in prima persona e la metti in scena con i colori che ti ricordi. È sempre la mia versione ovviamente, però è in qualche modo più realistica. È che io l’ho vista coi miei occhi, la segatura per terra nei bar». Come ogni napoletano – scopro ora – anche Sydney ha conservato queste famose “cassette nel cassetto”, e ogni tanto si ritrovava davanti il ricordo di Mixed by Erry. Così alla fine è successo che, insieme ad Armando Festa (co-sceneggiatore del film), hanno deciso di andare a cercare Erry per capirci qualcosa di più: è uscito fuori che questa non solo era la storia di tre fratelli, ma che era anche una storia da cinema, perché il sogno e il declino di un ragazzino si intrecciavano ai cambiamenti epocali del Paese. Al mercato del falso dietro Piazza Garibaldi, alla camorra, ai Giuliano, alla Milano del traffico e dei Pennelli Cinghiale, alla Napoli che usciva dal contrabbando e all’arrivo dei primi CD, sempre a cavallo tra due ere, analogico e digitale. Non c’è retorica: dove Sibilia è cresciuto non esistevano negozi di dischi. Certa musica, senza il fenomeno Mixed by Erry, per lui e molti altri sarebbe rimasta inaccessibile. Che sia scomodo o meno, anche questo è un dato di fatto.
Al di là del primo approccio alla pirateria, a rendere “l’etichetta” un vero cult è stata l’idea di Erry di inserire in coda ad ogni cassetta qualche brano che avrebbe potuto rispecchiare il gusto del cliente. Niente di più simile all’attuale “potrebbe anche piacerti” di Spotify, ovvero l’algoritmo che prende i tuoi gusti e in qualche modo li condiziona e li modifica. «Per esempio, io di Erry avevo la cassetta di Jovanotti, La mia moto, e in coda c’era Raf, che ho scoperto in questo modo. Poi avevo comprato gli U2 e in coda mi aveva messo i Red Hot Chili Peppers. Capisci che era un continuo inseguire di roba, perché poi in coda ai Red Hot c’erano i Queen. E loro sì, mi hanno cambiato la vita».
Fino a un certo punto, da tutto questo i fratelli Frattasio “ne usciranno sempre con un colpo di culo”, che è una battuta ma soprattutto una filosofia di vita. E il paragone con uno che provoca la sorte ogni volta che gira un film è inevitabile, infatti Sibilia già ride: «Me la rischio ogni volta, è sempre all in. A volte basta un attimo e salta tutto. Ricordo di aver girato una scena del treno, e non riesco a non pensare che se ci fosse stato un giorno di pioggia, probabilmente quella scena non l’avremmo mai vista. È vero che c’è un aspetto di Forrest Gump in questo film, perché i ragazzi sfioravano degli eventi anche drammaticissimi, ma per un po’ le guerre tra clan hanno consentito che loro rimanessero indipendenti. Il colpo di culo, in estrema sintesi, mi sembrava la cosa più giusta».
Qualcuno lo dirà e qualcun altro già lo ha detto: per questo film avrebbe potuto prendere degli attori più noti. Certo, ma non scherziamo. Quei tre potevano essere solo questi tre: Luigi D’Oriano, Emanuele Palumbo e Giuseppe Arena. Sconosciuti, giovanissimi, non avevano mai visto una cassetta e quasi non conoscono la Napoli centrale: sono cresciuti in periferia. Per entrare nella parte li hanno chiusi in casa, tutti e tre insieme, con la scusa del Covid. Ha funzionato: in scena trovano una dimensione solo loro di fratellanza vera, quella che Sibilia cercava, quella «dell’amore con il vaffanculo facile».
Naturalmente poi succede anche il prevedibile: qualcuno tira in ballo l’invito della FIMI a non sottovalutare che Mixed by Erry era molto più di un innocente fenomeno. Insomma, che non passi mica il messaggio che Sibilia e Rovere avallano la pirateria. I diretti interessati ne escono nell’unico modo possibile: con lo sfottò. «Ragazzi, se fate i pirati a livello industriale, andate in carcere. E questa cosa si vede dalla prima scena del film, quindi direi che siamo stati abbastanza espliciti: copiare le cassette è sbagliato, la legge non vuole, e infatti nel film la legge si incazza». Rovere aggiunge un piccolo reminder: «Tra l’altro la storia del nostro cinema, che è molto recente, è stata tra le più ferite dalla pirateria. I film di Sidney ed i miei sono emersi proprio in quegli anni, prima del supporto delle piattaforme. E poi in tutti i film di Sidney lo Stato rafforza la legge in relazione alle vicende dei protagonisti, e alla fine li arresta». Parentesi: è proprio in reazione alla vicenda Mixed by Erry che in Italia si è stretta la morsa attorno al reato di pirateria e alle pene annesse. Detto ciò, con Sibilia mi tocca ammettere che Smetto quando voglio, nel 2014, l’avevo trovato in rete anche io. Ecco, ma quando piratavano i tuoi film, che pensavi? «Trovavo le bancarelle in giro e andavo a controllare se c’era il film mio (ride). Se stava troppo indietro, lo spostavo più avanti». Calmi tutti. «È chiaro che le proprietà intellettuali vadano rispettate, mica dobbiamo stare a rubare le cose degli altri, però che bello che le idee circolino dalla pancia della gente. L’importante è che la questione non diventi mai troppo strutturata, e quelli di Mixed by Erry sono stati dei danni veri». O per dirla con Giuseppe Arena: «Mixed by Erry ci insegna a seguire sempre i sogni. Certo, fino a ’no cert’ punt’ però». Anche qui, dove il confine tra talento e criminalità è faticosamente importante, le connessioni non sono casuali, come nel caso della presenza dei Jackson Five nel film: «Io volevo che un bambino prodigio ascoltasse un altro prodigio. Perché se guardi il video di I Want You Back, è incredibile. Vedi un bambino, Michael Jackson, che c’ha il peso della corona. Significa: tu sarai il più grande artista e soffrirai tantissimo. Questa cosa mi piaceva da morire».
E così finalmente ci arriviamo: mentre incombe il vociare sulla soundtrack del film (c’è di tutto: Frankie Goes to Hollywood, The Pointer Sisters, Kim Wilde, Eurythmics), spunta fuori questa storia: «Succede che per una serie di circostanze io una sera sono a cena, a casa mia, con Dave Stewart. Io e Dave Stewart. A casa mia. Capisci? Lascia sta’ perché, è complicatissimo. Fatto sta che io stavo montando il film e Sweet Dreams era già prevista, a un certo punto lui si gira verso di me e mi fa: “Ma lo sai che io ho scritto Sweet Dreams il giorno in cui tu sei nato?”. Ah, Dave Stewart sa il giorno in cui sono nato, 19 novembre 1981. “Eravamo io e Annie in un albergo…” (si interrompe, e come ti sbagli). Il giorno dopo mi dicono che ci sono dei problemi con la canzone perché è molto famosa, i diritti, i guai. E allora io chiamo Dave e gli dico: “Ma scusa, tutta quella menata del giorno in cui so’ nato?”. Così lui lo fa davvero, manda una mail assurda, al vetriolo, e grazie a questo c’abbiamo Sweet Dreams nel film».
«Per le musiche dovevano essere tre discorsi completamente diversi tra loro: i pezzi iconici di repertorio, quelle originali di Michele Braga che accompagnano tutto… e poi vabbè, c’è Liberato». Ecco, Liberato, ma che è successo? «A un certo punto mentre scrivevo il film ho pensato: ci vorrebbe un cantante di Napoli che faccia un pezzo, una title track. Poi parlando con lui ci siamo detti: ma perché non la decliniamo anche come main theme, tipo Titanic?». Per caso vuoi dirci almeno chi è Liberato? «Non lo so, sennò ovviamente te lo direi». Non la spunteremo mai con Sibilia, mai. È il re della supercazzola e la porta avanti fino all’ultimo. Prima di rispedirci a Roma, infatti, ci omaggiano con una bag Mixed by Erry il cui contenuto è, insieme, una meravigliosa mossa di marketing, un’applicazione del metodo Stanislavskij alla stampa ignara, e un esercizio di divertito sadismo. La bag infatti contiene un walkman, delle cuffie e un’audiocassetta misteriosa. Capite bene che dopo aver ascoltato in anteprima l’inedito di Liberato, ’O dj, qui l’attesa si è fatta complessa, perché non solo la notizia è ancora riservata, ma bisogna anche aspettare l’uscita ufficiale del film per poter accedere al pezzo e mandarlo in loop. Iniziano le congetture: mica conterrà davvero il brano? Impossibile.
A casa tiro fuori la cassetta, apro il walkman, inserisco e schiaccio play. Fruscio, il nastro inizia a girare, qualche secondo di nulla e poi eccolo: Liberato c’è davvero. Che bel pensiero. Sono pronta ad ascoltarla tutta la sera, alla faccia di chi non ha questo privilegio, ma poi mi ricordo su che dispositivo mi sto muovendo: com’è che funzionava, per tornare indietro? Il dito, la penna, perché il tasto rewind non c’è? Ma a quando risale questo modello di walkman? Finisco a trafficare mezz’ora con la cassetta in uno snervante stop-rewind manuale: ma dov’è finito Liberato? Ma come vivevano prima? Poi, non so come, ma ’O dj riparte. L’ho ritrovata, me la sono sudata, ed è più bella di prima. Penso a Sydney e non escludo che a quest’ora starà bevendo una birra ridendo all’idea di noi, della condizione da privilegiati inebetiti e totalmente fuori dal tempo in cui ci ha messo. «Possedere fisicamente la musica: è il contesto che dà un’importanza diversa a tutto, no?». Grazie, Mixed by Sydney, ci hai fregati di nuovo e anche stavolta ne è valsa la pena.
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