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Linkin Park: «Adesso piacciamo anche alle mamme»

‘One More Light’ è il nuovo disco della band di Los Angeles, ed è molto diverso dai precedenti: intimo e melodico (pure troppo?). A noi hanno detto: «vogliamo che i nostri figli sappiano cosa facciamo»
james minchin linkin park chester bennington

I Linkin Park hanno sospeso il tour. Foto: James Minchin

Incrocio Hollywood & Sunset, peggio di Shibuya a Tokyo, un brevissimo secondo in contromano, da arresto e galera immediata. Ed eccomi in uno dei santuari più creativi e peccaminosi della storia musicale di L.A., quell’Hotel Sunset Marquis dove sex, drugs & rock&roll, intesi come zoccole, coca, whiskey e stanze sfasciate, distrutte, rovinate, quasi quanto animi e spiriti di band che passando, hanno lasciato il segno: The Who, The Beatles, i Kiss, Bon Jovi, Patti Smith, Madonna, Ray Charles, Run DMC, Tupac, Guns N’Roses. Sono passati 17 anni da Hybrid Theory, primo album di debutto.

Dopo 70 milioni di dischi venduti e 2 Grammy vinti, ritornano i Linkin Park, con One More Light – uscita 19 maggio – il nuovo album eclettico (ognuno ha i propri gusti) della band californiana, che non ha paura di passare dal rock al rap, dalla musica elettronica al metal. Rob Bourdon e Mike Shinoda si raccontano alla Bestia.

È un album molto diverso dai precedenti, WTF, what the fuck man?
Bourdon: Nei nostri lavori precedenti la musica aveva sempre priorità su tutto. In questo caso, invece, abbiamo scritto prima tutti i testi e poi la musica, seguendo degli schemi precisi, iniziando con piano e chitarra e aggiungendo gli altri strumenti uno alla volta. È un album che rappresenta esattamente la nostra situazione emotiva di adesso, un disco molto intimo, che ci coinvolge a livello personale. Ci siamo riscoperti sia come band che come amici. Ogni giorno, prima di entrare in studio, ci prendevamo il tempo di raccontarci quello che stava succedendo nella nostra vita personale, per la prima volta siamo stati profondamente onesti, confessandoci anche paure e insicurezze, volevamo essere sicuri che fossimo presenti con mente e anima, era l’unico modo per avere le idee chiare sul messaggio che volevamo dare in ogni pezzo.

Shinoda: È un album che racconta la nostra vita, la somma delle nostre esperienze, successi e fallimenti. È uno dei motivi per cui questo album è unico. Pensa che a mia mamma è piaciuto molto (e meno male che di mamma ce n’è una sola! No more tattoo white trailer trash rock metal, nda), l’ha trovato caldo e melodico. Volevamo un mood generale allegro e positivo, ecco perché abbiamo coinvolto le nostre famiglie e abbiamo condiviso con il mondo molti aspetti delle nostre vite private. Voglio che sia per me un messaggio ai miei figli, voglio che sappiano chi sono, anche professionalmente. Forse non mi capiranno adesso, ma mi apprezzeranno in futuro. Praticamente abbiamo scritto una canzone al giorno, alla fine avevamo 70 testi su cui lavorare, tutti essenziali e con un messaggio ben preciso.

Rob Bourdon e Mike Shinoda dei Linkin Park con il nostro numero dedicato a “T2: Trainspotting 2”

Sì, ma piacerà ai vostri fan?
Shinoda: Lo spero. I nostri fan sanno che per noi è fondamentale cambiare, abbiamo sempre rischiato, mischiato stili diversi. Prima di diventare Linkin Park ci chiamavamo Hybrid Theory, e infatti siamo sempre stati ibridi, abbiamo accolto generi diversi in ogni album, per stupirci e sorprenderci. Gli ultimi tre sono molto diversi tra loro, fa parte del nostro processo naturale di evoluzione, non vogliamo fare la musica che suonavamo 15 anni fa. È un’altra fase che volevamo sperimentare, cambiano gli ingredienti, ma i cuochi sono gli stessi, il nostro Dna è sempre quello.

Siamo così, non abbiamo alcun problema a suonare con Jay-Z, i Metallica o Paul McCartney

Nel tour c’è anche una data in Italia, il 17 giugno. Che cosa suonerete?
Bourdon: Il nuovo album, più tutte le vostre canzoni preferite. Tutti i nostri concerti live sono dedicati ai nostri fan: ci sarà One Step Closer, ma anche Heavy, il nuovo singolo. Siamo così, non abbiamo alcun problema a suonare con Jay-Z, i Metallica o Paul McCartney.

A proposito di Heavy, com’è nata la collaborazione con Kiiara?
Shinoda: Questa è la prima volta che abbiamo scelto una voce femminile per registrare con noi. Avevo sentito parlare di lei, quand’era sconosciuta. Un giorno Zane Lowe (conduttore radio su Beats1, ndr) mi ha mandato un messaggio dicendomi che l’aveva appena intervistata e aveva scoperto che eravamo il suo gruppo preferito. Ci siamo incontrati e abbiamo avuto immediatamente un’impressione fantastica. Originariamente Chester cantava da solo, ma volevamo aggiungere un’altra voce per raggiungere una dimensione più complessa, è come se fosse un coro.

Bourdon: Abbiamo collaborato con circa 40 musicisti, portandoli in studio in piccoli gruppi. Volevamo poter scrivere con loro, condividere delle esperienze speciali, non come fanno molti musicisti che assumono un gruppo di scrittori per un giorno e li spingono a competere tra loro per chi riesce a scrivere la canzone migliore nel giro di qualche ora… Noi siamo andati esattamente nella direzione opposta.

Di nuovo, oltre al logo, una copertina molto bucolica…
Shinoda: È una foto di Frank Maddocks, con cui abbiamo collaborato in tutti i nostri album: è sempre stato un bravo grafico, ma adesso è anche un bravo fotografo. L’abbiamo scattata sulla spiaggia di Venice Beach, tutti abbiamo figli e amiamo andare al mare insieme. I testi sono molto personali e la foto ritrae esattamente il tipo di atmosfera intima delle giornate che passiamo insieme ad amici e famiglie.

Che dire? Che “the show must go on”? Che la macchina produttiva $$ musicale non si ferma per nessuno? Che tutto il mondo è Paese? No! Perché io sono La Bestia, e da Bestia avrei preferito non avvicinarmi a Bieber e Spears come melodie. A furia di soddisfare le nuove generazioni (ma chi sono? La musica è musica) la gente non sa più chi eri. “Peace out, muddafukkas”

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