Il primo a non crederci è stato proprio lui. Quando Lorenzo Adorni ha ricevuto la chiamata che gli diceva (sintetizziamo): «Ciao, senti, belli gli oroscopi e tutto quanto, ma c’è Sollima che ti cerca per il suo nuovo film con Toni Servillo, Pierfrancesco Favino, Valerio Mastandrea e Adriano Giannini», è stato il primo a fare cortesemente notare: «Guardi, mi sa che ha sbagliato numero». In realtà era tutto giusto. Il regista Stefano Sollima ha voluto il volto della serie tv Guida astrologica per cuori infranti nel suo nuovo action Adagio, nelle sale dal 14 dicembre (prodotto da The Apartment Pictures del gruppo Fremantle, Vision Distribution del gruppo Sky e Alterego, in collaborazione con Sky e Netflix). Che è un po’ una di quelle cose che possono uccidere o lanciare una carriera.
Quando infatti reciti con mostri sacri a meno di due centimetri dal naso, è un attimo uscire a pezzi dal confronto. Come se non bastasse, Adorni era per giunta reduce dalla paralisi di Bell, che lo aveva messo ko due anni fa, limitando la sua espressività facciale. Invece – spoiler – in Adagio il nostro ne viene fuori più che bene: fa il suo, dà rotondità al personaggio dell’informatico Massimo e forse, alla fine, quasi ti rivedi più in lui che non nel boss della Magliana di turno (il che non è esattamente una cosa che depone a nostro favore, ma questo è un altro discorso, che si può intavolare solo a film visto). Dunque è andata benissimo. «È stato esaltante: ho lavorato a un film stupendo, ma ho anche imparato un sacco di cose», assicura Adorni, che prossimamente sarà anche nel film Anima in pace e nella serie tv Gerri di Rai 1.
Avanti, confessa: dopo averli visti in azione, cosa ruberesti a ognuno dei tuoi colleghi?
Preparate la camionetta della polizia, perché qui c’è da fare un furto grosso! Da tutti quanti, sicuramente l’elevatissima capacità di concentrazione, mantenuta nel tempo. E vale anche per Sollima, che sul set era una specie di cyborg: non gli sfuggiva nulla, dava indicazioni a più reparti contemporaneamente… bravissimo. Presi invece singolarmente, a Favino scipperei la sua innata capacità di creare un personaggio uscendo totalmente da sé. Fa per esempio un lavoro pazzesco, e sempre diverso, sulla voce, e non mi riferisco solo agli accenti: ogni volta muta pure la tonalità. A Servillo sottrarrei invece questa sua recitazione galante, nobiliare: ogni suo gesto trasuda anni di teatro, il suo corpo è vivo, parla con lui, ha una morbidezza che è “piena”. Mastandrea ha invece un senso di libertà estrema, non è condizionato dagli agenti esterni, resta se stesso, e vorrei riuscirci anch’io. Non ultimo, Giannini: con lui ho condiviso la maggior parte delle scene, tra noi è nata una grande amicizia. Gli ruberei la dedizione: nella mia – pur breve – carriera, raramente ho incontrato attori così dedicati al personaggio e alla vita del set. Era attento a qualunque cosa, a come si muoveva il reparto fotografia, alla posizione dei microfoni… è un lavoratore appassionato e instancabile.
Il film si apre sulle note della canzone rap Take 3 di Shiva, che – cito – indica “il denaro come la radice di tutti i mali”. Da uno a dieci, quanto è drammaticamente vera questa sintesi?
Guarda, fosse per me metterei la scritta “nuoce gravemente alla salute” persino sui contanti. Dilaga infatti un’idea di arricchimento come benessere che è falsa e pericolosa. Come ha detto qualcuno molto prima – e molto meglio – di me, quando non riusciamo a essere felici compriamo cose…
Ti succede?
… ma io sono compulsivo un po’ su tutto! (ride) Come chiunque, sono pieno di insicurezze, quindi attivo dei comportamenti compulsivi. Però lavoro molto su di me, sono in analisi, e questo mi permette di riconoscere le fragilità. Che è già un passo.
Direi anche bello grande.
Ci sono dei giorni dove ascolto Hold Your Own di Kate Tempest quasi come una preghiera. Il testo recita: “Una volta che tu ti aggrappi a te stesso non hai più bisogno di prendere nuovi outfit, nuove padelle, nuovo make-up per diventare la persona interessante che pensi di dover essere”. Sento che ricordarmi di questa cosa mi fa molto bene.
Adagio solleva il tema della redenzione: penso ai tre protagonisti, ormai vecchi, che facevano parte della Banda della Magliana, ma anche al tuo personaggio, che è molto combattuto. Si può davvero tornare indietro quando si valicano certi limiti?
Io credo di sì, anche se il passato non si cancella. Per me redenzione vuol dire rendersi conto da dove si viene e dove si vuole andare. Se fai un bel lavoro su te stesso, i tuoi mostri possono diventare dei fantasmi e poi, nel tempo, dei post-it da appendere al frigorifero dove ti dici: “Mi raccomando, non fare ’sta stronzata oggi!”.
A inchiodare i protagonisti è il tempo, incarnato da questa vecchiaia spietata. La realtà, prima o poi, ci presenta il conto?
Con me lo fa puntualmente…
Vabbè, ma tu mica giri per strada ad ammazzare vecchiette.
No, ovviamente! Quello che intendevo dire è che se la realtà presenta il conto in casi molto meno estremi, come i miei, non vedo perché non debba farlo proprio nelle situazioni più gravi. Tra l’altro, ci dà pure delle avvisaglie: i sensi di colpa. Quando sorgono, vuol dire che ti stai portando dietro qualcosa, e prima o poi ci sbatterai la testa esattamente contro. Chiamasi anche: bagno di realtà.
Davanti alla violenza di questi mesi (guerre, femminicidi, terrorismo) si tende però a parlare di pene più severe, che non di recupero sociale e redenzione. Quale di queste due istanze sociali ha effettivamente la priorità?
Siamo immersi in una società deteriorante, che è peggiorata dopo gli anni della pandemia. Questo vuol dire che bisogna provare a lavorare fin dalla prima infanzia sulla costruzione di un individuo sano. Certo, non lo si può mica studiare a tavolino, ma si può fornire tutta una serie di strumenti educativi per una crescita equilibrata. Quanto alle pene, non sono a favore del pugno di ferro: la giustizia non deve imprimere terrore, ma garanzia di salvaguardia. Il punto è sapere che, se vai a processo, non la farai franca. Poi quanti anni avrai, se dieci, cinque o l’ergastolo, non spetta al popolo stabilirlo, ma ai giudici, che sono preparati in materia.
Nel film Roma è assillata da una serie di blackout. Uscendo dalla metafora, tu nei hai avuti nella tua vita?
Uno, reale, è stato bello grosso: la paralisi di Bell. Sostanzialmente è una malattia dove il nervo facciale viene bloccato da un’infezione, si gonfia e quindi i circuiti neuronali si bloccano. Mi è successo nel novembre 2021 e solo nel maggio 2022 sono stato in grado di poter sostenere in maniera decente un provino. Mi sono quindi dovuto fermare per oltre un anno, ho perso anche un lavoro bello grosso, ma d’altronde non c’era alternativa: tutti i neurologi mi dicevano che l’unica cura era… il tempo. Il resto erano solo cure sperimentali, perché non esiste una letteratura in materia.
Hai temuto di essere finito come attore?
L’ho pensato per circa 15 ore al giorno, per 4/5 mesi di fila. Ho cercato però di reagire, di non sostare su questi pensieri che non mi aiutavano. Ma, per quanto ti impegni, l’angoscia te la porti comunque dietro. Ora per fortuna sto bene: la gente non nota differenze: solo io, conoscendomi bene, vedo ancora qualche asimmetria.
Parlando dei tuoi inizi da attore, hai dichiarato: «Mi ha subito affascinato l’idea di avere il diritto di diventare un’altra persona». Il tuo analista che ne pensa? Ne avete parlato?
La mia terapeuta sa perfettamente che qui siamo in cinque o sei! (ride) Tra l’altro, nella mia carta astrale ho due segni doppi: sono Bilancia con la luna in Gemelli… capirai!
Ormai dopo Guida astrologica per cuori infranti sei un esperto in astrologia?
Esperto no, diciamo che non ho mai bistrattato i segni zodiacali: voglio dire, se la luna può influenzare le maree, perché noi non dovremmo essere influenzati dalle stelle? E poi è una scienza così antica: mi intriga, ha il sapore di culture millenarie, mi piace sguazzarci un po’. Sono anche andato a vedere cosa mi offriva la mia carta astrale…
… e?
Il riassunto veloce? Niente di buono! Battute a parte, ho trovato un mare mosso, ma costellato anche da belle isole di pace e tanta fantasia e immaginazione. Avere il segno doppio porta molta dicotomia – da qui, il mare mosso – ma anche tante sfumature.
In amore che dice?
Quello lo so già: finisco sempre e solo con persone di segno Vergine. Non so perché, ma è matematico! Persino i miei amici più cari sono della Vergine.
Da emiliano con radici siciliane, com’è stato trapiantarti a Roma?
Ho sempre sognato di vivere a Roma per lavorare come attore, per i primi due anni ha prevalso lo stupore.
Poi ha avuto la meglio la spazzatura?
Quella, e pure tutti i problemi di Roma. Ogni volta che salgo in macchina e vedo sul navigatore: “7 km, 45 minuti”, già mi snervo. Però Roma è così bella che, alla fine, mi azzittisce lei. Della serie: guarda dove sei e non rompere il c…