È un uomo che ama il sorriso, l’ironia e la provocazione, Luca Barbareschi. Per questo bisogna fare la premessa, nel caso ce ne fosse bisogno, che tutte le dichiarazioni e le bordate che lancia in questo pezzo vanno lette come quelle di un uomo dalle mille sfaccettature – attore, regista, produttore, (ex) politico, direttore artistico del Teatro Eliseo di Roma – che combatte contro il politically correct. Lo farà anche nel nuovo programma In Barba a tutto, che ha trovato spazio nella Rai 3 delle novità e dell’entertainment “alto” (vedere i riuscitissimi esperimenti di Via dei Matti n° 0 di Bollani o lo show Qui e adesso con Massimo Ranieri) targata Franco Di Mare, che unisce la vocazione di servizio pubblico con prodotti di qualità. L’appuntamento con lo show di Barbareschi è il lunedì, dal 19 aprile, dopo Report. Lui è pronto a iniziare. Anche noi.
Perché torni in tv?
Questo programma nasce da una chiacchierata con il direttore di Rai 3, Franco Di Mare. Mi ha chiesto: «Perché non fai televisione?».
Cosa hai risposto?
«Franco, non sai quanto avrei voglia di fare tv, ma evidentemente c’è sempre qualcun altro che è meglio di me da anni, e quindi uno ci mette una pietra sopra». Lui mi fa: «Ma no, tu hai fatto migliaia di ore qui, in America, nel mondo, perché non puoi?». Così gli ho proposto un programma pensato in modo da creare una narrazione divertente, perché è una trasmissione di intrattenimento. Però al tempo stesso tra il serio e il faceto, insomma un programma in cui potessi esprimere non un Barba-pensiero, ma un pensiero che c’è, ma non viene riportato dalla stampa.
Sarebbe a dire?
Credo che il mondo del politically correct sia residuale, amplificato da media ottusi. Non posso pensare che il cervello sia così dedicato all’ammasso, come si diceva una volta, e non ci siano quelle virgole di lucidità per capire che il pensiero politicamente corretto è una forma velata di nazismo intellettuale in cui la pre-censura, rispetto a qualsiasi prodotto, è più importante del prodotto stesso. Neanche alla corte di Luigi XIV c’era una censura subdola come questa. Con la differenza che i reali asburgici avevano una sensibilità per cui capivano se Mozart valeva la pena di essere messo in scena. E almeno usavano Salieri, che comunque era un grande compositore e un esperto di musica, per selezionare i nuovi creativi che c’erano nell’impero austroungarico.
E invece, adesso?
Apri Amazon Prime Video e vedi una scritta su una serie di Woody Allen meravigliosa, deliziosa e intelligente (Crisis in Six Scenes, ndr) che dice: “Questo materiale contiene pornografia, linguaggio volgare, uso di droghe”. Una specie di veto censorio, apparentemente moralista, in aiuto tuo, ma che in realtà è una pre-censura che va a deperimento di un genio assoluto, che non ha mai fatto un film volgare in vita sua, ma improvvisamente non è allineato nel pensiero unico. Sono chiaro?
Ho capito quello che intendi. Ma veniamo al tuo programma.
Cos’è la trasmissione? «Ridendo castigo i mori!», diceva Totò. Come succede in sinagoga – e te lo dice un vecchio ebreo – quando si è davvero sicuri che la gente abbia capito?
Quando?
Quando ride! Non ho mai sentito, in chiesa, leggere così male le parabole. Dopo un po’ non si capisce di che cazzo stanno parlando.
Invece in sinagoga?
Si ride molto. L’umorismo ebraico nasce da questa tradizione. Se la punchline è perfetta, il midrash intelligente e tu hai riso, l’altro ha capito. Anche se non vuole capire, perché la costruzione sintattica del joke fa sì che tu possa dire “nano” senza essere offensivo col nano. Ma deve dire “nano”.
Altrimenti?
Ci trasformiamo come gli Academy Award, dove oggi, in maniera razzista e anti-femminista, mettono un regolamento in cui si deve avere il 30% di persone che non ha un’altezza adeguata, il 30% di persone con un colore della pelle diverso, il 30% di transgender, il che diventa una forma di discriminazione assoluta. Così sembra di dare un contentino. Ma in una barzelletta sui ciechi uno dice “cieco”, non “non vedente”. Punto. Questo non toglie il rispetto. E ti prego di cogliere l’ironia. Pasolini, quando si è rotto il cazzo sui suoi bellissimi discorsi sull’amore, ha detto che avrebbe messo i sottotitoli e anche la spiega. Perché se il giornalista che mi intervista non capisce o non riporta un puntino di sospensione pensa che io ce l’abbia con una categoria di persone.
Quindi a cosa sta portando, a tuo avviso, questa “regola” del politically correct?
Sta alterando il grado di evoluzione cerebrale mondiale in modo terribile, insinuandosi in una maniera di giudicare.
Cioè?
Quando fai un’affermazione, la risposta non è nel merito che tu abbia fatto bene o male. O che la musica sia bella o brutta, o che un film sia strutturato male o strutturato bene, ma nel fatto che non si è politicamente corretti. E allora, con questa logica, seguendo quello che ha detto la ministra francese Schiappa (delegata responsabile della cittadinanza, nda) – vittima di un nomen omen, come direbbero i latini – presto aboliremo anche Beethoven, perché dai tamburi ai timpani è la classica musica del violentatore. Quando uno dice una cazzata di questo genere mi viene da pensare a Picasso, quando un miliardario disse che avrebbe comprato la sua intelligenza e tutti i suoi quadri.
Cosa fece?
Gli disse: «No, io glielo regalo. Faccio un quadro solo per lei, ma glielo voglio regalare». Il miliardario rispose: «Bene. E dov’è?». Picasso gli chiese di spogliarsi, glielo dipinse sul ventre e gli disse «Adesso non si lavi più. Arrivederci, grazie». Meravigliosa, no?
Geniale.
L’arroganza dei soldi verso l’intelligenza dell’arte, ma se l’intelligenza dell’arte si mette al servizio dell’ottusità del giornalismo? Perché da lì nasce…
Cioè?
L’amplificatore della stupidità è il giornalismo, che non è letteratura, come dice quel genio di Harold Bloom nel Canone occidentale. Se nelle scuole, invece di far leggere Shakespeare, Molière, Musil, Dostoevskij e Tolstoj, facciamo leggere un articolo di una giornalista che scrive di merda, ma racconta delle violenze subite nei barrios del Venezuela, quella non è letteratura, quella è cronaca. La forza della letteratura è la metafora rispetto a un archetipo.
Torniamo al politicamente corretto.
Il politicamente corretto smonta questa sovrastruttura e mette davanti a Dostoevskij una giornalista che ha un neurone, ma è protetta e le danno da lavorare. Bisogna scardinare questo meccanismo, perché chi è creativo è uno scienziato delle idee. Quando Schönberg rompe la liturgia ottocentesca post-beethoveniana, mozartiana e, se vogliamo, mahleriana, lì non può entrare un meccanismo di censura calvinista, stupida. O, come dice quell’altro genio di Jonathan Sacks, la differenza tra il pensiero postmoderno e la mafia è che la mafia fa un’offerta che non puoi rifiutare, i postmodernisti sono anni che scrivono cazzate che nessuno riesce a capire.
Da tutto questo discorso, mi pare di capire che il tuo obiettivo sarà rompere liturgie e non fare il “bravo presentatore”.
Lo farò col sorriso. Se si fosse scritta la storia della comicità ebraica in maniera politicamente corretta, Woody Allen non sarebbe nato. Io avrei voluto nascere trota, ma sono nato salmone.
Quindi?
Il salmone non lo fa apposta, ma risale i fiumi saltando felice, e poi finisce sashimi e questo è un problema gravissimo. Una vita a farmi il culo per poi diventare sashimi è una rottura di cazzo incredibile. Se l’avessi saputo, avrei fatto la trota. O la trota salmonata.
C’è anche questa opzione.
Sarebbe un’idea: ti fingi salmone, ma vai con la corrente.
La trota salmonata però è falsa.
Ma esiste, capisci che metafora bellissima? Io non so quanti si ispirano alla trota o al salmone. Geneticamente nasco salmone e finirò, appunto, sashimi, perché è la storia di tutti quelli che vanno controcorrente. Ma almeno mi sono divertito a saltare come una gazzella tra un ruscello e l’altro. E sono tornato alla fonte dopo aver fatto un po’ di sport, gli addominali…
Il tuo essere controcorrente si esprime anche da politico, visto che, da ebreo, hai militato nella destra?
Gli ebrei americani sono quasi tutti repubblicani.
Ma in Italia, con il passato che abbiamo avuto…
Io non è che ho militato in un partito nazi-fascista. Ho creduto in Gianfranco Fini, a cui voglio ancora bene, anche se non ci sentiamo più perché abbiamo avuto dei dissapori. Non rinnego quegli anni in cui c’era il sogno di una destra liberale innovativa, non a caso l’ho portato in Israele, si è messo la kippah al Baal Shem, al museo, siamo andati da Netanyahu, siamo andati dal presidente, abbiamo pianto sulla menorah, su tutti i simboli ebraici. Quando vedo una persona che ragiona così, vedo una persona con cui ho qualcosa da condividere, perché per me il mondo sta con Israele o gli sta contro. Io sto da tutta la vita con Israele, perché è l’unico esempio di democrazia nel Medio Oriente.
Torniamo alla politica italiana. E alla tua visione liberista.
Berlusconi è, ad oggi, il politico più liberista che abbiamo avuto. Dovremmo riuscire a togliere il politically correct delle olgettine, che è la narrazione di uno ossessionato per le dieci domande a Berlusconi ma non ne ha mai fatte dieci a De Benedetti, per esempio, su altri temi. E non ne ha fatte dieci alla famiglia Agnelli.
Cosa stai cercando di dire?
Che questo è un Paese che spara sulla Croce Rossa. Nelle prime 25 pagine di Guerra e pace, Tolstoj racconta l’arrivo di Napoleone e gli italiani che gli chiedevano se potevano portarsi a letto la moglie per avere un posto di vice-portiere alla Scala. Servi che tendono a rubare sulla mancia e vogliono il reddito di cittadinanza. Che è quello che ha ucciso il Sud.
Come mai?
La dignità non è il diritto al lavoro, è la dignità del lavoro. Se viene tolta e fai un decreto di sussistenza per decerebrati, cos’hai costruito al Sud? Gente che vive di sussistenza e poi lavora in nero, per la mafia. Capolavoro dei Cinque Stelle e di quell’evasore fiscale che è Grillo. Sai che io posso dire “evasore fiscale” a vita, perché ho vinto la causa…
Cioè?
Ho dato dell’evasore fiscale a Grillo e lui ha perso la causa perché gli ho portato, in tribunale, tutti quelli che ha pagato in nero in trent’anni. Me compreso, obbligato e ricattato da lui. Per cui bisogna mantenere il cervello lucido.
E tu come lo mantieni?
Studio il Talmud della Tōrāh ogni mattina. Gli ebrei non sono più intelligenti, ma solo molto allenati. Come spiego a mio figlio: se vai in palestra e guardi i pesi, non diventa tonico il muscoletto. Siccome noi abbiamo una gravità verso il basso, tendiamo al peggio. L’uomo tende al male come una forza di gravità. Il cervello è pigrissimo, o lo alleni o non lo alleni. Se lo alleni potrai salvarti dalla gravità ed essere più intelligente. Ti do una notizia meravigliosa.
Dimmi.
Sai perché la civiltà greca è ancora oggi la più evoluta e, dal punto di vista degli archetipi, forse la più affascinante?
Perché?
Loro hanno inventato la scrittura. Dopo la scrittura cuneiforme, ne hanno inventata una che era ispirata ai campi che si aravano da destra a sinistra e da sinistra a destra. I greci scrivevano come le stampanti, andavano a capo e scrivevano al contrario. Questa civiltà ha sviluppato una capacità sintetica, analitica, ma anche emozionale. E ha prodotto capolavori. Ad oggi, nessuno ha scritto qualcosa strutturalmente più interessante di Edipo. Non c’è un post-Edipo, ci sono interpretazioni di Edipo. Ma un giorno che qualcuno scriverà un post-tragedia greca avrà inventato dei nuovi archetipi. E la psicanalisi si basa su questi archetipi ancora oggi: Edipo, la madre, eccetera.
Quindi, cos’è la scrittura?
Una forma di elaborazione intellettuale. E non a caso l’ebraico e l’arabo, che appartengono a popoli coltissimi, sono le uniche lingue che vanno da destra a sinistra, senza vocali, per cui per capire una frase si ha bisogno del senso dell’insieme. E questa è un’altra evoluzione. Possiamo paragonare tutta questa bellezza al postmoderno? Io preferisco Sartre e Baudrillard a Fabio Volo, ma anche a Paolo Flores d’Arcais: finti intellettuali che puntano sul fatto che, non capendo, forse sono scemo io. No, non ho capito un cazzo perché non sai cosa scrivere. È diverso. Perché, guarda caso, quando leggo l’Amleto mi è molto chiaro. E questo vale in tutti i campi.
Senti, quando eri in politica sei stato redarguito dal tuo partito perché ti sei dichiarato a favore dei matrimoni gay.
Sì, anche se la trovavo una forma di suicidio per gli omosessuali. Ma se si vogliono sposare, perché no?
Ma come una forma di suicidio?
Perché scegliere la strada più noiosa e di maggiore mortificazione sessuale che è il matrimonio e che, come diceva Strindberg, è la bara dei sentimenti e della sessualità? Una cosa che mi affascina delle persone omosessuali è poter avere una storia eroticissima senza sapere chi è l’altro. E glielo dice uno che ha vissuto gli anni ’70 a New York, dove prima scopavi e poi ti chiedevi il modo. Ciò non toglie che c’è anche l’amore. Con alcune donne intelligenti succede la stessa cosa: non hanno preconcetti, perché tutto accade subito o non accadrà mai più. Qualcuna invece si sposa, si intigna perché pensa che sposandosi qualcosa accadrà: e forse, legandosi al tavolo come Alfieri, volli fortissimamente volli scoparti, ma non riuscii (ride). Perché purtroppo i sughi non si piacciono.
Che intende?
Noi siamo animali. Non ci annusiamo il culo come i cani, ma facciamo la stessa roba. Pensi che i brasiliani hanno un termine, presente in una canzone di Jobim che è cheirinho, una forma di bacio con annusamento, che è bellissimo, tenerissimo. Ma anche di una sensualità meravigliosa. Quando ti piace l’odore dell’altro, perdi la testa. Ho sedotto delle fighe spaziali, ho sentito l’odore e ho chiamato un taxi. Si lavavano, poverine, ma il mio odore, con il loro odore, non funzionava. Ma come siamo arrivati a questo discorso qua?
Parlando di come sei stato controcorrente in politica.
Il primo giorno di legislatura, ho fatto un discorso molto alto, perché ero commosso di essere un civil servant per cinque anni, per un anarcoide come me era una sfida diventare un servo dell’arte attraverso le istituzioni. Feci un discorso alto e poi dissi, essendo un giullare di mestiere, di fare una legge in cui si vietavano per legge ruoli di potere a chiunque non si fosse drogato e avesse scopato in tutte le maniere possibili e immaginabili tra i 14 e i 18 anni.
E come mai questa cosa?
Perché avrebbero scoperto cazzo, figa e droghe dopo i cinquant’anni senza saperli gestire più.
Come reagirono i tuoi colleghi?
Ci fu un boato e Fini mi disse: «Le ricordo che qui in parlamento, ecc.». Chiesi scusa per la forma, ma risposi che li aspettavo al varco dopo sei mesi, quando molti di questi che arrivano dalla Val Brembana, dalle province, 30mila euro al mese e l’appartamentino a Roma, avrebbero scoperto la bamba, la figa, il cazzo, quel che vuoi. E infatti assistevo a gente in palpitazione dopo aver mischiato cocaina e viagra, alle Iene che facevano i tamponi (per scoprire se si faceva uso di sostanze, nda) e quelli risultavano positivi, gente che si innamorava di improbabili troie dicendo: «Sai, sono diventato più bello da quando sono onorevole». Dopo i cinquanta l’autocritica è difficile, soprattutto questo senso di libertà. Ho visto gente mollare moglie e figli dicendo «lei è la donna della mia vita», salvo poi tentare il suicidio quando la tipa di turno gli rubava il portafogli. Diciamo che era scritto, ma se uno fa finta di non vederlo… Come Jannacci che si innamorava di una prostituta in Andava a Rogoredo. Ma se non hai nemmeno ascoltato Jannacci…
Hai tirato in ballo Le Iene. Ma con Filippo Roma avete fatto pace?
Sai perché mi irrita Le Iene?
Perché?
Mentre non mi irrita la Gabanelli, che è un genio e una donna divulgativa, anche se a volte posso non essere d’accordo, Le Iene è un programma fascista-goliardico. La goliardia una volta era considerata una comicità stupida: se io ti do il microfono in faccia o dico una balla e poi monto solo quello che voglio per far ridere, per fare uno scherzo, è goliardia. E paradossalmente i giornali, per essere più furbi, sono diventati come Le Iene, che, invece di dare informazioni, crea degli scandali. Il problema è che la gente se n’è accorta, il pubblico delle Iene è crollato, ma la tragedia vera è che l’informazione si è autodelegittimata, così come la magistratura.
Pure la magistratura?
Sono fan dei giornalisti e dei magistrati, ma se un magistrato mente, perché devo credere a un giudice che mente? Se un giornalista non racconta la verità… La grande antropologa Ida Magli diceva una cosa bella: «Voi siete i sacerdoti della comunicazione». Tra voi e la notizia c’è una liturgia che celebrate. Se il prete sale sul pulpito e scoreggia è uno scherzo da prete, non fa ridere. Perché non è il suo ruolo, deve fare una predica. Il giullare, invece, va in teatro.
A proposito, recentemente hai dichiarato che il teatro è morto.
In ritardo, purtroppo: dovevo dirlo dieci anni fa. Ma è morto per qualità, non è polemica. Faccio un appello a Draghi, che è un uomo molto intelligente e deve, finalmente, creare un dipartimento industriale che si basi sulla meritocrazia, non sulla nomina politica. Perché il Teatro Eliseo ha avuto il ristoro più grande d’Italia?
Ecco, me lo dica un po’…
Perché ha l’unico direttore artistico non di nomina politica, perché abbiamo puntato sulla qualità, sul rapporto qualità-prezzo, su prezzi alti e, quindi, l’algoritmo ha premiato noi. I teatri stabili nazionali vendono i biglietti a un euro con prodotti scadenti. L’industria fa sì che a Londra, la piazza del teatro, si può vedere il musical dei Queen e il post-beckettiano. Ma quest’ultimo non lo mettono all’Adelphi Theatre che ha tremila posti, lo fanno al Trafalgar Theatre.
Invece che accade in Italia?
Prendiamo Emma Dante, che ha diritto di esistere, ma si deve misurare insieme al Sistina, uguale. Poi ognuno avrà e farà un patto con il proprio pubblico rispetto alla narrazione. Perché altrimenti torniamo a un distinguo politico-culturale, vizio della sinistra, che se uno è omologato, di sinistra e protetto dalla sinistra, può scoreggiare ed è subito Chanel. Mentre altri hanno Chanel, ma puzzano sempre di merda. Io voglio vivere in un mondo in cui un direttore artistico di un ente di teatro sinfonico sa leggere uno spartito: scommettiamo che ne salta il 90%? Le nomine politiche fanno sì che dei neurolesi si ritrovino a dirigere teatri nazionali. Per cui il teatro muore per quello.
Soluzione?
Le associazioni devono proporre al governo un disegno industriale creativo degno di questo nome, anche supportabile. Poi si scelgono le economie: a Londra sono solo gli oneri, in Germania il 2% è per il teatro, per cui il FUS italiano è la metà di quello che prende un teatro a Stoccarda. E poi c’è il modello americano, a oggi il più innovativo.
E come funziona?
Non prende un cazzo dallo Stato. Però, sinceramente, i migliori autori di teatro, di cinema, di televisione sono tutti nati in America, perché non vengono dal Pcus sovietico o sono l’amante della cugina di quel politico che però era anche amico di quell’altro… Semplicemente erano bravi. Aaron Sorkin non lo conosceva nessuno e ha scritto West Wing, film strepitosi e The Newsroom. È un genio assoluto. Ma non so chi è la mamma di Sorkin, Spielberg, De Niro, Scorsese, non me ne frega un cazzo. Qui c’è una genetica che è quasi familiaristica da mafia: tutti figli e nipoti dei grandi attori degli anni ’50. Non è che l’arte si passa con il DNA. Io ho sei figli e non tutti sono intelligenti uguali, glielo assicuro.
Però quello che generalmente si dice è che, respirando l’arte, si è più predisposti a un certo tipo di lavoro.
Ma non è vero, questa è una roba di sinistra, stupida. Il mio migliore amico, morto a trent’anni di cancro, figlio di operai della FIAT, è diventato primario di neurochirurgia a Nizza. Conosco molti figli di ricchi che dovrebbero andare a scaricare le cose al mercato. L’appartenenza borghese non può essere garanzia del talento. Tra i figli di Kirk Douglas c’è solo Michael, che è un bravissimo attore. Non è che lavorano tutti i figli di Douglas, e noi invece tendiamo un po’ a quello. Il nepotismo culturale è come il cancro, per l’arte. È come il figlio di Muccioli: non ha il talento di Muccioli, di Muccioli ce n’è uno.
L’hai visto SanPa?
Sì, e l’ho trovato insultante, fastidioso.
Parliamo del tuo rapporto con la religione, la spiritualità.
Con le nuove regole di epigenetica è dimostrato che la pulsione affettiva porta a un cambiamento del DNA. E questa cosa apre degli orizzonti meravigliosi della fisica quantica e dei rapporti con la propria vita. Perché sono al mondo? Questo è un sentimento ebraico. Noi siamo dèi in esilio. Io tendo a Dio per cui più mi perfeziono affettivamente e intellettualmente, più il DNA che lascerò ai miei figli sarà migliorato. È bellissimo, diventa una ragione di vita che va oltre la fede, che è un lato astratto. Io non credo in Dio, credo che dobbiamo migliorarci per assomigliare a qualcosa. Lo si chiami come si vuole, ma è un’entità affettiva dell’inconscio che muove stelle, cielo e mondo intero.
Questa cosa si avvicina a una visione buddista…
Ma infatti molto ebraismo ha studiato Buddha. Dio è un’astrazione della perfezione, io non posso essere imperfetto, mi nutro di imperfezione, di cadute e di risalite. Pesach è la festa di quando ci si rialza. I cattolici fanno un film più semplicistico, perché nel Medioevo erano analfabeti e serviva un’immagine evocativa fantasmagorica. Oggi ci sono i film sui supereroi. I supereroi sono le persone che ogni mattina, quando si svegliano, combattono con le proprie contraddizioni.
E quali sono i tuoi superpoteri?
La mia kippah mi rende invincibile perché mi rende umile. È la coscienza che c’è qualcosa più importante di me.
Cosa ti piace in tv?
I programmi in diretta e la gente che è coerente con quello che dice. Detesto chi predica bene e razzola male. Mi irritano molto.
Perché?
È un grande potere quello di essere in televisione. E bisogna essere coerenti con quello che si è, non fare i moralisti se non lo si è. Questa è distonia tra agire, pensare e vivere.