Il debutto spiazzante da attore protagonista in un film: ‘Il più bel secolo della mia vita’ di Alessandro Bardani. La raucedine. Il rapporto con l’illustre spalla Sergio Castellitto. Il “perfezionismo improvvisato”. E, ovviamente, gli immancabili lundinismi, anche se lui qui si mette al servizio del cinema. È solo l’inizio?
Il più bel secolo della mia vita, diretto da Alessandro Bardani (e in uscita nelle sale il 7 settembre distribuito da Lucky Red), è la prima produzione cinematografica della storia a non poter fare a meno della partecipazione di Valerio Lundini. Questa non è una battuta, ma la pura verità.
Perché nessuno sarebbe stato meglio di Valerio Lundini nel ruolo di Giovanni, il giovane attivista che il comico romano interpreta nel ruolo di sé stesso che interpreta un giovane attivista? Perché quel Giovanni, all’inizio quasi molestamente pedante e prosaico, poi sempre più disposto a fare compromessi con la realtà che lo circonda, è qualcosa di più rispetto alla somma delle parti di personaggio e attore.
Nessun attore italiano, nemmeno un Sergio Castellitto, che pure nel film affianca Lundini da reduce di decenni di esperienza sul campo nei panni del centenario Gustavo, sarebbe stato in grado di portare con tanta immediatezza in scena una parte di sé stesso e del suo sguardo critico sul mondo, e in maniera così funzionale alla storia narrata (guarda caso in una storia che non presenta alcun elemento autobiografico), come ha fatto qui Lundini. Ci è riuscito con tanto sprezzo della difficoltà che, nel goderci i suoi botta e risposta con Castellitto, che sembravano interviste impossibili alla maniera di Una pezza di Lundini, non sembrava aver fatto altro nella vita (e infatti lo aveva già fatto in televisione, nei libri, a teatro).
È questa una qualità del tutto nuova che potrebbe essere richiesta agli attori del futuro, una nuova frontiera valicata quasi in sfida al tanto temuto avvento dell’Intelligenza Artificiale sui set.
Valerio Lundini sulla cover di ‘Rolling Stone Italia’. Foto: Gioele Vettraino; Art Director: Alex Calcatelli per LeftLoft
La tendenza lundinista prende le mosse da lontano, ma è differente rispetto alla tradizione. Un tempo era più che altro la popolarità pura e semplice a forzare la quarta parete e a permettere alla personalità dell’attore di entrare nel film, prima ancora che indossasse i panni del personaggio. Lundini che recita nel Più bel secolo rappresenta la possibilità di coinvolgere nel cinema, accanto agli attori, persone più che reali: pensanti. Lundini non ha bisogno di un credito da sceneggiatore per imprimere il suo senso dell’umorismo a Giovanni, mentre impara a sopportare Gustavo.
E non fa di certo quello che avrebbe fatto un Nino D’Angelo ai suoi, di esordi (cioè tutt’al più vestirsi degli stessi jeans e della stessa maglietta di tutti i giorni), ma attraverso una sensibilità, una visione e una capacità di esprimerle che valica rapidamente i confini del personaggio e dell’attore, della sceneggiatura e della performance, e riavvicinano realtà e fiction, più ancora di come facevano quei titoli di film con Tina Pica in cui Tina interpretava una donna di nome Adelaide Harold, ma il film si chiamava comunque: La Pica sul Pacifico.
Ecco cos’è principalmente questo film: Lundini nel mondo dei figli. Al centro del film ci sono sì le storie di Giovanni e Gustavo, diversissime ma convergenti, se non altro per via della legge che ne accomuna i destini: la 184 del 1983, detta “la legge dei 100 anni”, che impedisce a un figlio non riconosciuto di conoscere il nome di chi l’ha messo al mondo, e dunque le proprie origini familiari, fino al compimento del suo centesimo anno di età.
Giovanni ha la missione di prelevare di peso Gustavo dall’ospizio veneto in cui risiede e traslarlo a Roma, al cospetto del ministro che detiene il potere decisionale sul destino di quella legge assurda. Va da sé che, nel corso del lungo viaggio, Giovanni si assoggetterà inizialmente a qualunque sopruso da parte del suo testimonial migliore, Gustavo, ma non per questo dimenticando per strada la tradizionale sagacia del suo interprete, pur sapientemente mescolata con la giusta dose di apparente dabbenaggine. Cioè: il lundinismo. Arrivati alla meta, Gustavo troverà in Giovanni ciò che gli mancava per dimenticare sé stesso. Giovanni invece lo troverà in Lundini.
Foto: Gioele Vettraino; Fashion Editor: Francesca Piovano; Make-Up Artist: Christian Vigliotta per Making Beauty
Metà pubblicità progresso long form e metà road movie a lento rilascio, Il più bel secolo della mia vita non è interessante soltanto come film di formazione sentimentale e deformazione professionale, ma anche come atto di metacinema. Così come Sergio e Gustavo sono, rispettivamente, veterani del cinema e del disagio senile che possono dunque ampiamente permettersi di recitare dietro le protesi e, a tratti, con le protesi; Valerio e Giovanni sono giovani alle prime armi, dotati di un forte entusiasmo e delle loro idee assai particolari in fatto di lobbying o comicità, ma risultano inevitabilmente da svezzare.
Perché Lundini, prima ancora di essere un attore alle prime armi molto motivato a crescere e a imparare – come del resto sono molti attori alle prime armi – o un interprete sensibile dello spirito dei tempi – come sono i migliori intellettuali – è un essere curioso che deve fare i conti con il mondo che lo ha preceduto e metterlo in discussione attraverso l’ironia. È dunque principalmente un comico-figlio, così quelle conservate nel Museo Campano di Capua sono statuine-madri.
Il più bel secolo della mia vita, con Valerio Lundini e Sergio Castellitto | Trailer Ufficiale HD
L’intervista che segue, realizzata a margine dello shooting per la digital cover di Rolling Stone, è stata editata, condensata e, soprattutto, schiarita per via della raucedine che Lundini presentava al momento della conversazione.
In alcune di queste foto scattate per Rolling Stone, il Maestro Gioele Vattraino, noto ritrattista di donne bellissime, sembra essersi fatto prendere la mano, tanto che non abbiamo potuto fare a meno di notare che nella foto scelta hai gli occhi uguali a Elodie. Ci avevi mai fatto caso?
Ero particolarmente sotto effetto di farmaci per il mal di gola, quindi un po’ stravolto. Vorrei precisare che, qualora dovessi avere uno sguardo strano, sarebbe solo per colpa mia e non del Maestro.
Come ti sei procurato codesta faringodinia?
Credo che sia lo scotto da pagare per la fine dell’estate. Sono molto contento quando finisce, avendo un pessimo rapporto con essa. Il primo fresco ha coinciso esattamente con la mia freddata. Faccio fatica a parlarne.
La platea mondiale ama prendersi gioco degli italiani, anche attraverso simpatici meme, sostenendo che il colpo di freddo non esisterebbe se non per noi. Puoi contribuire a smentirla questa diceria?
Ho sentito parlare di questa cosa, recentemente. Posso confermare sia il fatto che il colpo di freddo esista sia che si tratti di una nostra invenzione.
Foto: Gioele Vettraino; Fashion Editor: Francesca Piovano; Make-Up Artist: Christian Vigliotta per Making Beauty
In cosa differisce parlare di un film rispetto ad altre opere d’ingegno?
È più faticoso, soprattutto da afoni. Per questo mi auguro che nelle presentazioni gli altri parlino più di me. Inoltre sai che, se sbagli, fai sfigurare il lavoro altrui. Per promuovere un mio libro posso uscirmene dicendo: “Vabbè, è un libretto”. Non lo posso fare con prodotti sui quali hanno lavorato tante persone. Comunque è divertente.
Cercheremo di venirti incontro allungando le domande il più possibile, da questo momento in poi.
E io farò un cenno di sì o di no.
Esattamente. Seguendoti da sempre avevamo immaginato da altrettanto sempre che, se tu avessi mai debuttato nel cinema, lo avresti fatto nel modo più lundiniano possibile, cioè con una versione potenziata e ipertrofica dei tuoi spettacoli teatrali, che a loro volta sono una versione potenziata e ipertrofica dei tuoi programmi televisivi. Qualcosa di simile a un manifesto poetico, che tirasse le somme su tutto quello che hai fatto, in sketch, racconti e pezze di Lundini. La genesi di un Lundini Cinematic Universe, possibilmente con una componente musicarella coi Vazzanikki che avrebbe configurato, come avrebbe detto il vecchio Richard Wagner, un Gesamtkunstwerk. Invece lo hai fatto nel modo più spiazzante: recitando davvero e utilizzando un tema a sfondo sociale che, all’apparenza, non sembra legato al tuo vissuto, ma sembra scaturire da una profonda sensibilità, ora sbrigliata. Ciò è semplicemente capitato o desideravi che il tuo debutto al cinema avvenisse su un piano diverso rispetto al resto della tua produzione?
In parte entrambe le cose. Non ho ancora avuto un debutto autorale al cinema. Sto lavorando a delle cose che non so se soddisferanno le vostre aspettative di cui sopra, ma ci sto lavorando. Ho sempre tenuto da parte una mia velleità da sceneggiatore cinematografico perché so quanto il cinema possa essere una trappola. Per debuttare, invece, come attore in un film scritto da altri ho preferito una situazione come questa, in cui non c’era troppa voglia di divertire.
Anche se nel film di Bardani si ride, eccome.
Sì, perché credo che in tutte le storie ben raccontate ci debba essere un momento di ironia. Vale anche per il film più tragico, e se mancasse quell’elemento forse il film non funzionerebbe perché non rispecchierebbe la realtà, che non è fatta mai di solo dramma. Sono contento che il mio esordio da attore sia una cosa che non avrei potuto o voluto scrivere io. E di averci messo all’opera un’altra parte di me stesso. In questo modo, poi, mi sono potuto rendere conto realmente di quanto il cinema sia un lavoro difficile.
Foto: Gioele Vettraino; Fashion Editor: Francesca Piovano; Make-Up Artist: Christian Vigliotta per Making Beauty
A questo film non vogliamo muovere una critica ovvia, che magari faranno in tantissimi, ma non possiamo esimerci dal menzionare il fatto che Sergio Castellitto non sembra centenario ma al massimo di 90-95 anni.
Sì, perché l’hanno truccato da centenario, ma il cinema ti ringiovanisce. Anche io nel film sembro più giovane.
Infatti dimostri al massimo 28 anni, e potresti essere stato cresciuto fin dalla più tenera infanzia da una Carla Signoris che, per il copione, ha 55 anni, ma ne dimostra a sua volta molti meno.
(Dopo aver computato con un filo di voce) Non so precisamente quanti anni abbia il mio personaggio. Io ne ho 37.
Ti faremo qualche domanda tipica di chi intervista un attore parlandogli come se egli fosse il personaggio che interpreta, anche perché di questo mestiere non puoi prendere solo i lati positivi.
Eh, ma non sono io…
Chi è Giovanni? Lavora per un’associazione con una missione socialmente utile, ma ha il piglio del travet, sottomesso com’è al suo presidente, ed è sempre vittima delle circostanze. Perché Giovanni non riesce a prendere in mano il suo destino?
Queste sono un po’ le domande che ho fatto io ad Alessandro all’inizio del nostro lavoro insieme. Credo che Giovanni abbia visto nell’associazione la famiglia che, a un certo punto della sua vita, lui crede di non avere più. Scopre di essere stato abbandonato solo da grande e quindi rinnega la sua famiglia adottiva, perché condanna il fatto che gli abbiano nascosto la verità. Per empatizzare con questo personaggio ho parlato con la vera presidente della FAeGN. Tra l’altro questo è l’unico film del 2023 in cui la presidente donna di un’associazione viene interpretata da un uomo.
Foto: Gioele Vettraino; Fashion Editor: Francesca Piovano; Make-Up Artist: Christian Vigliotta per Making Beauty
Mentre invece il Ministro dell’Interno del film è interpretato da una donna.
Sì, è strana questa cosa. E soprattutto il presidente del film sembra un politico molto istituzionale uscito da un film di Fantozzi, mentre in realtà è una signora che non incute alcun timore reverenziale. Lei mi ha confermato che chi scopre, da adulto, di non essere stato riconosciuto dai propri genitori biologici effettivamente si sente tradito e, spesso, si allontana dalla famiglia adottiva. Giovanni è uno di loro.
Perché secondo Giovanni è così importante conoscere i propri genitori biologici?
Credo che, se vivi una situazione in cui non li hai mai conosciuti, possa essere una curiosità o un’esigenza molto importante. In particolare se, a differenza di Giovanni, la tua famiglia adottiva non ti ha trattato del tutto bene. Per Gustavo, però, che è cresciuto in una struttura religiosa, conoscere i genitori biologici non sembra comunque così importante. È difficile generalizzare.
Il più bel secolo della mia vita è un film che, oltre ad essere intenso per contenuto, è anche semplicemente bello da vedere, e non solo perché non indossi occhiali per quasi tutta la sua durata – e quando ne inforchi, comunque, sono da sole – ma anche per via dell’uso raffinato della fotografia. Ad esempio nel bianco e nero iniziale, che stabilisce subito delle vibe da Marcellino pane e vino quando Gustavo bambino, guarda caso in orfanotrofio, gioca a calcio con un Gesù Cristo ligneo messo in porta; oppure negli spezzoni di film e documentari d’epoca montati come ricordi, e nei quali la memoria di un centenario (vabbè, un 90-95enne) appare una cosa sola col cinema. In viaggio con papà, oltre a Marcellino, sembra essere stata un’altra importante fonte.
Scusate ma mi viene in mente Marcellino Fonte (ride un po’ strozzandosi).
Foto: Gioele Vettraino; Fashion Editor: Francesca Piovano; Make-Up Artist: Christian Vigliotta per Making Beauty
Innegabile. Il film con Sordi e Verdone affiora per la componente automobilistica e per la dialettica tra diverse generazioni. Invece Quasi amici subentra per l’iconografia della sedia a rotelle e la dialettica tra diverse visioni del mondo. Ti ci ritrovi?
Su Quasi amici sì, anche se non l’ho mai visto. Ogni volta che vedono un film con uno su una sedia a rotelle dicono Quasi amici, e penso dunque che sia così.
Un topos cinematografico.
So che, peraltro, è un film che piace molto ad Alessandro Bardani. Così come penso che anche i meriti inerenti al Cristo di legno dovrebbero essere attribuiti a lui e agli sceneggiatori. In viaggio con papà è un film che mi piace tantissimo anche perché mi dà l’idea che un bel giorno qualcuno si è svegliato e ha detto ad Alberto Sordi: “Da oggi puoi dire le parolacce nei film”. E lui ha detto: “Vado”, diventando di fatto, per me, un altro attore. Ho cercato comunque di recitare nel modo più naturale possibile. La cosa difficile di fare l’attore, che non è il lavoro per cui sono nato, è che devi credere a delle cose alle quali non crederesti. Se io mi trovassi con un vecchio di cent’anni, qualora il vecchio in questione pronunciasse una volgarità, non mi metterei mai a giudicare quell’atteggiamento. Ringrazierei solo il destino che l’avrebbe reso ancora vivo! Il mio personaggio, Giovanni, invece dà quasi per scontato che Gustavo sia ancora vivo e vorrebbe che l’altro condividesse i suoi modi di fare e le sue idee, cosa impossibile da parte di un coetaneo, figurarsi con un centenario.
Quello che Valerio ha visto, ascoltato e imparato da Sergio è in qualche misura paragonabile a quello che Giovanni vede, ascolta e impara da Gustavo?
Giovanni da Gustavo impara un concetto tra i più belli del film: “I figli sono di chi li ama, non di chi li fa”. A volte queste cose coincidono, Giovanni forse avrebbe dovuto sempre saperle, ma grazie a Gustavo le fissa. Da Sergio Castellitto io ho imparato alcune cose importanti, tra cui non preoccuparmi troppo dei raccordi tra le scene, o avere un orologio fuori posto tra una scena e l’altra. E già così mi ha alleggerito tre quarti del peso di fare un film. Anche se la ragazza che si occupava della continuità tra le scene non ne era felicissima, io potevo dire che me lo aveva detto Sergio Castellitto, che aveva già fatto numerosi film fregandosene dei raccordi e che me lo sarei portato dietro fino alla tomba. Altri sono tecnicismi, non so quanto siano interessanti. Ad esempio, mi ha detto che se non ti piace come suona una frase, puoi provare a ridirla velocemente. Non vorrei peccare di piaggeria, ma lo amo anche come attore comico dai tempi di Stasera a casa di Alice, e sono convinto che potrebbe esprimersi nella commedia ancora di più rispetto a quanto non abbia già fatto. Non ho provato alcuna ansia nel recitare con lui, anche perché sul set era irriconoscibile. Sergio l’ho visto solo due giorni prima delle riprese e il giorno dopo, quando si è struccato.
Seguendo la tua carriera da autore e performer è evidente che tu sia un professionista dello script che sembra improvvisato e dell’improvvisazione che sembra script. In altre parole, tendi a essere un perfezionista. Come si scontra questa tendenza col lavoro al cinema?
La mia scelta è stata molto diversa da quella consueta. Il mio spirito era: “Vediamo che succede. Fidiamoci”. Ho molta paura che, il giorno in cui proverò a girare io un film, alla prima scena mi possa pentire di averla scritta in un certo modo. Forse in televisione e a teatro un margine di improvvisazione in più aiuta. Nelle riprese cinematografiche no.
Il tuo tipico uso umoristico del linguaggio ti ha portato a trasferire nel copione diversi lundinismi. Quanto spazio ha avuto il lundinismo in questo film e quanto è stato utile imparare, al limite, a metterlo da parte? Alcune battute si inseriscono organicamente nella sceneggiatura, ma presentano una tua cifra inconfondibile. Ne abbiamo segnata una.
Vediamo se ci avete preso.
“Ci conosciamo da due ore, ma lei sta facendo riferimento a fatti che sono avvenuti prima di queste due ore”.
Sicuramente. Devo dire che, laddove non ci sono questi interventi, forse il film ne trae beneficio. Troppa ironia può rovinare un climax. Da persona non lungimirante cinematograficamente, leggendo la sceneggiatura avrei voluto intervenire non solo sul mio personaggio, ma anche su Gustavo. Poi, quando giravamo la scena, capivo che aveva tutt’altro tono. Anche l’interpretazione di Sergio ha reso più leggere delle parti che sembravano molto tristi e più intense altre che sembravano commedia. Spero che questo bilanciamento abbia funzionato.
Allora rifarai del cinema? Toglieresti spazio ad altre forme di espressione per i film?
Il problema è più che altro il tempo.
Foto: Gioele Vettraino; Fashion Editor: Francesca Piovano; Make-Up Artist: Christian Vigliotta per Making Beauty
Il tema centrale del film sembra essere il rapporto tra una persona razionale che prova a spiegarsi la realtà e fa cilecca e una irrazionale che non prova a spiegarsi niente e riesce a spiegare tutto. Anche se il film è tratto da una pièce teatrale, sembra quasi che il tuo ruolo sia stato scritto apposta per te. Il lasciarsi andare e fidarsi di Giovanni, come membro dell’associazione, corrisponde al lasciarsi andare e fidarsi di Valerio, come autore perfezionista e come persona?
Volevo rispondervi una cosa, ma nel frattempo ci ho riflettuto ed è esattamente il contrario. Ho iniziato a fare più cose quando ho smesso di stare in ansia per il risultato. Sono in una band, che avete già citato, che esula dal cinema e da tutto, da molti anni, quasi quindici. Abbiamo scritto un tot di canzonette che ci divertivano e che abbiamo suonato e molte, molte altre che non abbiamo mai suonato. Quando abbiamo iniziato a invecchiare abbiamo cominciato anche a suonare senza sperare più di poter diventare davvero una band importante. Solo allora abbiamo cominciato a scrivere ancora più cose e, per fortuna, migliori di quelle di prima. Il risultato di uno sforzo creativo non sarà mai come quello che immaginavi prima di compierlo, ma è l’unico possibile. Se posso dare un consiglio a chi ci legge è proprio: “Fai piuttosto che non fare perché pensi di poter fare di meglio”.
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Foto: Gioele Vettraino
Art Director: Alex Calcatelli per LeftLoft
Fashion Editor: Francesca Piovano
RS Producer: Maria Rosaria Cautilli
Make-Up Artist: Christian Vigliotta per Making Beauty
Backstage Video Op per Jungle Film: Leonardo Paparusso
Editing Video: Marta Moscardini
Color Correction: Azzurra Bonanno
Location: Studio Photografia – Roma
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