Incontri un’attrice e pensi che l’intervista si muoverà perlopiù tra i confini del cinema, con qualche incursione su argomenti che influenzano il suo lavoro, non certo che nell’arco di poche domande ti ritroverai a discutere di fotografia, poesia, biologia, fisica quantistica, telepatia, amore come sovrastruttura, sesso in pubblico e i social paragonati al laghetto di Narciso. Eppure, con lei non solo è possibile tutto questo, ma anche che a un certo punto, alla domanda su come si immagina fra trent’anni, risponda: «Ma chi è Tea Falco?». Appunto, ce lo chiedevamo anche noi e non siamo sicuri di essere venuti a capo dell’enigma. Non che fosse necessario, figuriamoci, infatti è stato un viaggio tanto misterioso quanto affascinante. Un po’ come le sue interpretazioni sul grande schermo, da Olivia in Io e te di Bernardo Bertolucci ad Arianna in A casa tutti bene di Gabriele Muccino, o nelle serie tv dove è passata da Bibi Mainaghi in 1992 e 1993 a Cristiana Sinagra in Maradona: sogno benedetto, per arrivare all’attualità dove è «scivolata» nei panni di Loredana, madre di Micciarella e Cucciolo, in Mare fuori. Una vera e propria «rivincita», questo ruolo, e in una fiction così popolare dopo anni, ha ammesso, di alti e bassi.
Così, insieme a una delle più imperscrutabili attrici italiane, abbiamo ripercorso l’infanzia catanese, dove già a quattro anni si auto-osservava, l’adolescenza da “bella addormentata” a causa della dislessia poi superata, gli inizi con la fotografia che le hanno fatto vincere diversi premi e la vocazione per il cinema che ha definito una «spinta atomica». Nel mezzo teorie del tutto personali e non verificate sul libero arbitrio, gli studi per sbarazzarsi degli schemi imposti dalla società e ritrovare un «istinto infantile», la maturazione che è convinta non sia «solo estetica ma qualcosa che si trasforma dentro», lo «scardinamento delle figure classiche dell’uomo e della donna», gli incontri con i maestri Bertolucci (al provino gli lesse una poesia che ricorda ancora) e Battiato, del quale non riesce più ad ascoltare le canzoni «perché mi emoziono troppo», fino all’unica certezza sull’amore che le abbiamo estorto sorridendo: «In questo momento sta succedendo, ma non con te».
Esiste una definizione per circoscrivere chi è Tea Falco?
No, cerco di non definirmi. Non voglio farlo, perché quando uno si definisce è come se si perdesse nella definizione. Si schematizza. E poi oggi è come se stessimo assistendo a un cambiamento, visto che l’arte si esprime a 360 gradi. Chi fa l’attore, come tanti miei colleghi, fa anche moltissime altre cose. Così preferisco una non-definizione delle categorie, per abbattere delle barriere che sono mentali. Un essere umano per evolvere deve fare qualsiasi cosa, ovviamente nei propri limiti, pensando che è solo un gioco e senza prendersi sul serio.
Il cinema fa parte di uno dei tuoi giochi preferiti?
Sono sempre prima di tutto un’attrice, e gli attori possono giocare a essere qualsiasi cosa.
Se chiudi gli occhi, qual è il tuo primo ricordo di bambina?
Sono a casa mia a Catania ed è come se avessi preso coscienza di me stessa proprio in quel momento. Un po’ come nella canzone di Franco Battiato Passacaglia: “Entrai per caso nella mia esistenza / Fatta di giorni allegri / E di continue esplorazioni”. Mi vedo auto-osservarmi e ho solo quattro anni, però già penso: “Starò qui tutta la vita”. Mi ero appena trasferita in quella casa.
Una sensazione piacevole?
Non c’era giudizio. Era la presa di coscienza che avrei vissuto là tutta la mia vita? Ricordo il verde del giardino e il muretto di pietra lavica. E una bambina che prende coscienza di sé.
Che infanzia hai avuto?
Sono sempre stata molto sensibile. Ho avuto due genitori molto diversi, con mia madre più irrazionale e mio padre molto razionale, e questo deve aver creato in me una scissione. Adesso sono una persona molto felice, ma la mia infanzia non la è stata. Preferisco non raccontare il perché, ma quello che sono oggi lo sono grazie e a causa di quello che ho vissuto allora.
Ti ha fatto soffrire di più la tua terra o la tua famiglia?
I rapporti familiari. Probabilmente, chissà, anche per una mia particolare natura genetica. E per certi punti di vista anche il pensiero retrogrado della mia terra, la Sicilia. Da piccola, per di più, ero dislessica, e quindi ho cominciato a leggere molto dopo i miei coetanei. Ho iniziato a risolvere questo problema con un corso a Parigi, che si chiama Metodo Tomatis, e da lì sono guarita e ho cominciato a leggere. Avevo 28 anni.
Piuttosto tardi.
Praticamente ho passato tutta la vita a osservare le immagini che avevo intorno, ma poi avevo difficoltà a esprimere i concetti che sentivo dentro di me. Malgrado li avessi. Per questo ho cominciato a fotografare, non riuscivo con le parole e ho provato con un’altra forma d’espressione. Da quando ho iniziato a leggere, però, sto leggendo un libro al mese. Cerco di recuperare il tempo perduto.
Carmelo Bene diceva che in scena bisogna crearsi degli handicap, altri invece li hanno dall’infanzia. Come mi rivelò il rapper Ensi, che da piccolo era praticamente muto.
Anch’io da piccola stavo molto in silenzio, fin verso i 23 anni. Non cominciavo le conversazioni per paura di sbagliare i termini. Ogni ostacolo crea una stella danzante. E forse sono proprio questi problemi che ci dona la natura che ci portano verso l’evoluzione. In biologia si tende al perfezionamento, quindi chissà se ha a che fare anche con questo, cioè in base a quello che non riesci a fare poi cerchi tutti i modi di evolvere.
È per questo che da piccola eri soprannominata “la bella addormentata”?
Sì, perché mi osservavo molto ed ero molto in me. Distaccata da ciò che mi circondava. Non riuscivo a integrarmi completamente con gli altri. Mi definivano così perché sembravo “non esserci”. E poi ero anche cicciottella. Molte persone vivono questi passaggi complessi, solo che nell’adolescenza sono super amplificati. Io cerco ancora di vivere le emozioni con quella intensità, provo a non abbandonare quella bambina. Che è un’essenza. Anche perché dopo entrano in gioco le sovrastrutture sociali. Ecco, a questo punto è necessario “disimparare”, come diceva Carmelo Bene. In fondo provare emozioni è la cosa più vera che possiamo fare in questa vita, per noi e per gli altri.
È anche per quelle tue difficoltà che al provino con Bernardo Bertolucci, con il quale poi hai lavorato nel film Io e te, gli hai portato una tua poesia?
Mi sono detta vabbè, se non riesco a parlare, più per la timidezza di fronte a un artista così grande che per le mie difficoltà del passato, gli faccio leggere una poesia. A un certo punto mi dice: “Secondo te hai qualcosa del personaggio?”. E io avevo scritto sul treno di notte, come viaggio sempre, una poesia sulla dipendenza di cui soffriva il soggetto. Mi sembrava di averci viaggiato insieme. Legge e dice: “Non è ancora il momento”. Perché i versi parlavano anche di suicidio. Così sono scoppiata a piangere. Non so perché, non parlava di me.
La poesia la ricordi?
Iniziava così: “Quanti cuscini bianchi ho visto, quante giornate in me e negli altri…”. I cuscini erano quelli del treno, rappresentavano le mie partenze. Ricordo che quando Bertolucci è morto ero in mezzo a molti cuscini bianchi. Sono tornati, junghianamente.
Eri già entrata nel personaggio?
Forse volevo solo stupirlo. Infatti poi mi ha confessato: “Mi era capitato prima solo con Eva Green, che ha pianto subito dopo il nostro incontro”. E ha aggiunto: “Ma quindi questo è un pianto cinematografico o no?”. E io gli ho risposto: “Tutti e due”.
Pensi di essere un’attrice per natura o grazie allo studio e alla dedizione?
Questa è una una domanda bastardissima! Non so se sono capace davvero, ma ti posso dire che ho una grande passione che mi ha portato a volerlo fare sin da piccola. Ho sentito una sorta di fortissima spinta atomica, proprio di particelle. Se mi guardo indietro sono stata come manovrata, non ero io. È impossibile che abbia avuto da sola tutta quella forza di andare a Roma a 15 anni, fare il primo provino a 16 e trasferirmi là. Non ero io, è impossibile.
Una forma di possessione.
Sono stata come mossa da qualcosa che non controllavo direttamente. Poi, certo, ho frequentato delle scuole, ben cinque diverse. Tra cui il Centro Sperimentale.
Insomma, oltre alla vocazione e al talento è importante anche lo studio.
Noi nella vita abbiamo una piccolissima parte di libero arbitrio, rispetto alla nostra massa subatomica, mentre quello che ci muove davvero è tutto il resto. Dai pianeti che ci influenzano, l’aria e l’acqua che respiriamo e beviamo, le persone di cui ci circondiamo, l’energia che si crea rispetto a un luogo influiscono sui nostri neurotrasmettitori che creano serotonina, e grazie ai quali si forma energia positiva intorno a noi e aumenta quindi il libero arbitrio. Altrimenti siamo spinti dal resto. Come la luna che muove le maree. Naturalmente questa teoria non esiste e l’ho inventata io… (non trattiene le risate, nda).
Mi sembra così affascinante che non vale la pena verificarla.
È una mia visione non scientifica e non spirituale.
Qual è stato l’impatto, invece, con l’industria cinematografica?
Quando mi sono trasferita a Roma ero veramente pura, quasi senza maschere, venendo da una piccola città come Catania. Invece nella Capitale era normale mettersi una maschera per comunicare. Mi sono sentita un po’ spiazzata e non protetta. Una bambina che a un certo punto capisce come diventare un camaleonte, ma allo stesso tempo mantenendo la purezza.
Quel “camaleonte” è arrivato ora nel cast di Mare Fuori.
Interpreto Loredana, madre di Micciarella e Cucciolo, un passato segnato dalla tossicodipendenza. Non vede i suoi figli da quando i servizi sociali glieli hanno levati. Loro crescono sbandati e finiscono in carcere. Ma lei riesce a disintossicarsi e cerca di ritrovarli. Li ha avuti giovanissima, il primo a soli 13 anni, quando è scappata da Catania e si è trasferita a Napoli. È stata una madre violenta, ma capisce i suoi errori e cerca di rimediare.
Come sei stata scelta per un ruolo così controverso?
Il provino è stato di grande impatto. Ho interpretato una madre incazzata con i propri figli, dopo una crisi di bipolarismo accentuata dalle dipendenze. Una scena carica di emotività che ho ripetuto per tre volte: mi sono sentita come un pugile sul ring. In questo personaggio alla fine ci sono scivolata dentro, perché qualcosa ci ho messo di mio e il resto l’ho trovato con l’immaginazione e la presenza. Per il rapporto con i figli, che io non ho, ho cercato di vedere se ci fosse qualcosa di me in loro. E ho ricordato il rapporto con mia madre. Questo mi ha fatto capire che, troppo spesso, non abbracciamo quanto dovremmo i nostri genitori.
E l’impatto con la cultura napoletana?
Io recito in siciliano catanese, ma noi siciliani ci assomigliamo con i napoletani. Il Sud si somiglia tutto in qualche modo. Sono cresciuta tra gli anni ’90 e i 2000, quando andavi in discoteca e potevi rimanere coinvolta in una sparatoria. Purtroppo erano episodi diffusi.
La serie li rappresenta con fedeltà?
Mare fuori è uno spaccato che esiste. Ovviamente è romanzato e a tratti surreale, ma nella maggior parte dei casi sono episodi realmente successi. E li rappresenta in modo crudele, com’è la realtà. Non a caso i personaggi a cui ti affezioni muoiono. I giovani devono sapere che se entri in certi giri prima o poi la pagherai direttamente o perdendo chi ami.
Mare fuori per te è più una conferma o una rivincita?
Le carriere hanno alti e bassi, non solo al cinema. E io, negli ultimi anni, ho avuto momenti nei quali non ho lavorato tanto. In questo senso lo sento come una rivincita.
Ti senti in generale un po’ sottovalutata dal cinema?
Ci sto bene nel cinema, mi sento un’attrice e questa è l’unica cosa che conta. Mi piacerebbe molto riuscire a interpretare tutti i ruoli che mi propongono, perché si può imparare da qualsiasi cosa. Come nella vita, visto che per me vita e recitazione sono un tutt’uno.
Qual è il ruolo, di quelli che hai interpretato, che pensi ti rappresenti di più?
Mi sono molto divertita in La solita commedia a interpretare Gesù. È curioso vestire i panni di un uomo, ma non so se è la mia miglior interpretazione. Mi è piaciuto anche diventare Bibi Mainaghi in 1992 e 1993 o Cristiana Sinagra in Maradona. Se mi sono divertita mi piacciono.
Durante la lunga gestazione di questa intervista, un giorno mi hai mandato un messaggio che inizia così: “Ho sempre destrutturato la mia persona, il mio essere umano, sia perché sono un’attrice, sia perché ho fatto un percorso spirituale. Ho sempre creduto che bisognava arrivare alla verità dell’essere, alla verità prima del concetto delle sovrastrutture della società”.
Sì, ho fatto un lavoro spirituale per destrutturare la figura dell’essere umano e togliermi le sovrastrutture. In questo modo cerco di tornare come quando ero bambina. Anche nella recitazione ti insegnano che l’istinto infantile è giusto ritrovarlo. Mi è servito molto a livello recitativo. Almeno fino a quando sono stata una ragazza.
E ora cosa sei?
A un certo punto devi come indossare una maschera, che è quella dell’adulto. Ma non penso che la maturazione sia solo estetica, quanto invece faccia parte di un’interiorità che si trasforma dentro di te. Socialmente l’uomo e la donna hanno diversi modi di essere percepiti e, soprattutto oggi, credo si stiano scardinando le figure classiche dell’uomo e della donna. Ci si interroga di più rispetto a cosa sono un maschio e una femmina.
Questo cosa comporta secondo te?
Che l’essere donna o uomo non dovrebbe avere a che fare solo con la biologia. La donna e l’uomo sono maschere di loro stessi. Infatti i giovani di oggi hanno meno sovrastrutture e contengono entrambi i tratti, sia quello maschile che quello femminile. Dopo il lavoro di destrutturazione che ho compiuto, adesso ho le stesse difficoltà a interpretare ruoli femminili quanto quelli maschili. Così, per riuscirci, devo fare un lavoro di sovrastrutturazione.
Hai ancora un alter ego musicale, che prendeva il nome di Nea?
No no, è morto.
Quando è successo?
Quasi subito.
Una morte naturale o violenta?
Naturale, perché non è mai nata.
Se nella musica mi parli di una sorta di aborto, nella fotografia hai avuto un percorso ricco di soddisfazioni e anche di premi. A chi ti sei ispirata?
Mia madre faceva la fotografa e le piaceva molto Richard Avedon. Invece quando io ho cominciato ho scoperto quelle di Francesca Woodman, che mi sembravano simili a quelle che facevo io. Poi amo Robert Doisneau, Henri Cartier-Bresson, Joel-Peter Witkin e Diane Arbus.
Sui tuoi social vedo che prosegui la ricerca di soggetti in giro per le città che frequenti.
Pensa che quando ho cominciato ad abitare a Roma, ogni giorno uscivo per fotografare. Andavo in giro a osservare quello che succedeva per trovare storie e personaggi. Un po’ come se stessi cercando di scoprire nuove personalità. Un attore, dicono nelle scuole di recitazione, dovrebbe sempre osservare la vita che gli capita attorno. Se poi interpreti un personaggio devi comprenderne la natura e la natura ha tante sfaccettature. Più ci entri, più estrapoli la sua natura e più hai delle caratteristiche da inserire nella tua interpretazione.
Cinema, fotografia, poesia, biologia. Non sarà che un po’ spaventi i registi con tutte queste cose che sai fare o di cui ti interessi?
Non mi domando se so fare queste cose, però mi interessa farle per me. Esistono tanti stimoli e provare a metterti in gioco ti dà tante visioni diverse. Ultimamente ho provato con un corso di pittura e mi ha cambiato il modo di intendere i colori e la loro miscelazione, mi ha insegnato quanti colori possono esserci in ogni singolo colore. È meraviglioso. L’importante è che tutti sperimentino di più, così da poter aumentare la loro percezione del mondo. Un artista deve frequentare varie forme di espressione, ma io adesso non le sperimento più in pubblico, ma solamente nel mio privato. Al massimo metto qualcosa su Instagram.
Ecco, appunto, la gestione del tuo Instagram è piuttosto particolare.
Dici che è strano? Cerco di utilizzarlo e non solo per lavoro, ma per comunicare certi temi che mi stanno a cuore.
Tea, è un po’ strano…
Forse in fondo sono soltanto un po’ sovversiva, no?
Nella vita quotidiana ti senti diversa dagli altri?
Io vedo tante persone sensibili nel mondo e mi sento semplicemente una persona sensibile.
L’intelligenza artificiale ti spaventa?
Sono molto preoccupata.
Eppure una Tea Falco mi sembra difficile da replicare…
Sai, un po’ mi spaventano le proiezioni della tecnologia, ma se ci penso so che la gente ama ancora stare in questa realtà. Non credo si possa sostituire completamente. Forse troveremo degli escamotage per usare la tecnologia senza uscire completamente dal mondo reale. Il governo dovrebbe darci più strumenti per sfuggire dalla realtà virtuale, nella quale metto anche i social. Bisognerebbe inventare un cellulare che non crea dipendenza.
Che cos’è per te la follia?
Di solito cerco di apparire normale, perché posso essere fraintesa. In generale non mi sembra di avere niente di folle. Mi sembra folle il rapporto che abbiamo con lo smartphone. Ci sta allontanando piano piano dalla vita reale, ci fa perdere un sacco di tempo. Mentre prima eravamo tutti molto più disponibili, oggi abbiamo molto meno tempo perché ci ruba l’attenzione. Dovremmo imparare a utilizzarlo meglio, questo passaggio evolutivo ci serve.
Che effetti riscontri con l’uso frequente del cellulare?
Prima molti avevano difficoltà a osservarsi, invece con i social oggi sono costantemente al cospetto della propria immagine. Come Narciso che per la prima volta si specchia e si rende conto di avere una coscienza. Il cellulare è il nostro laghetto. Ma oltre l’immagine c’è la nostra profondità e la nostra identificazione. Il prossimo passo sarà perdere l’identificazione, quindi l’ego, e capire che il corpo è solo un veicolo per fare qualcos’altro.
Ultimamente la città di New York ha denunciato i social ritenendoli responsabili di aver peggiorato la salute mentale di minori e adolescenti.
Più usi il telefono e più senti il tuo cervello diverso rispetto a prima. Le implicazioni sono evidenti, come una soglia di attenzione più bassa. L’abitudine di guardare il cellulare distrae. Non è colpa nostra, ma della struttura del telefono stesso. Siamo sempre più addicted, perché è il telefono che ci spinge a usarlo di più. È una specie di magnete che provoca rilascio dopaminico. Ma se tutti sappiamo che fa del male, perché non mettiamo in pratica dei meccanismi di difesa? Forse ci stiamo arrivando. Anzi, sono convinta che ci sarà un rigetto.
In un post di qualche tempo fa hai scritto: “Mi mancano le telefonate, il tango, buttarsi addosso agli amici e agli amanti”.
Esatto! Perché dopo il Covid c’è come un blocco, una distanza tra le persone. Bisogna superarla. In Sicilia mi sembra ci riescano. C’è molta vitalità rispetto a quando l’ho lasciata.
Hai parlato di amanti, ma il sesso che peso ha nella tua vita?
Del sesso non bisogna vergognarsi a parlarne. In una società evoluta, senza persone che vogliono fare del male agli altri con le loro perversioni, potremmo fare sesso di fronte a tutti se tutti i cuori fossero puri. Il problema è che i cuori non sono ancora puri e quindi dobbiamo nasconderci nelle nostre case.
Sembra quasi una visione da Living Theatre, con l’amore libero in pubblico.
Il mio riferimento era a un libro che si chiama Ozonis. In qualche luogo dell’universo. La vera storia della mia vita in un altro mondo, che parla del futuro.
Quindi in un futuro prossimo vedi le persone che fanno l’amore in pubblico?
Sicuramente! Non solo, parleremo sempre meno e non più di informazioni, perché le avremo tutte già a disposizione nella nostra mente. Le sperimentazioni dei chip nel cervello di Elon Musk lo dimostrano. Parleremo di idee e sarà come se, per la prima volta, possa davvero mostrarsi la nostra essenza. Non ci sarà nessuno che insegna qualcosa agli altri, ma avverrà un vero e proprio scambio di idee. E sono convinta che riusciremo a utilizzare il nostro cervello sempre meglio. Credo nella telepatia e comunicheremo a distanza senza strumenti.
Mi sono perso… Per ritrovare un contatto, anche telepatico, cos’è che ti fa più arrabbiare?
Sicuramente le ingiustizie. E il fatto che tutta la politica sia manovrata. Ancora di più che, pur avendone coscienza, non possiamo farne niente. Infatti ormai non serve più a nulla.
Quindi della politica non ti importa?
Certo che mi importa, ma per me è una continua ingiustizia. Non possiamo fare niente per cambiare le cose perché è tutto manovrato. Non vogliamo la guerra e invece la facciamo.
L’amore non ci salverà?
L’amore è per ogni essere vivente un concetto che noi abbiamo tramutato in sovrastrutture. Perché razionalmente non esiste. Un sentimento di questo tipo non può essere schematizzato. Ad oggi l’amore ha tante influenze, come quelle delle religioni. In realtà noi, se chiudiamo gli occhi, possiamo innamorarci nello stesso modo di un uomo e di una donna perché non è nel corpo l’essenza, che è senza sesso. In quest’ottica, se mi guardo dall’esterno, non mi sento né donna né uomo. Non sto esprimendo le mie preferenze sessuali, ma non riesco a percepirmi come donna, uomo, bambina o anziano, ma più come un essere senza tempo e senza età.
Lo fai apposta per confondermi?
Ma no, forse semplicemente l’amore si può definire come uno stato che dobbiamo provare verso qualcosa che ci manca. E ci manca perché geneticamente, come dicevo, dobbiamo continuamente acquisire qualcosa per evolvere. Così ci infatuiamo di una persona che corrisponde a ciò che noi siamo convinti ci possa essere utile per completarci. E si innesca uno scambio reciproco, dove ognuno inserirà nelle sue caselline quello che siamo convinti ci serva. Per questo l’amore è sia raro che fondamentale. Difficilissimo provarlo e trovarlo, ma non impossibile. Sono due molecole che si uniscono per formare qualcosa di più grande.
Qual è l’ultima volta che ti è successo?
In questo momento sta succedendo, ma non con te (e scoppia a ridere, nda).
Sarebbe stato difficile continuare l’intervista.
Credo anche che l’amore si possa congelare, cioè essere dedicato solo a una persona per tutta la vita. Ma in questo momento mi appare ancora quasi impossibile.
In un’intervista di qualche tempo fa hai detto che un figlio “rientra nell’entanglement quantistico”, cioè in questa particolare correlazione teorizzata dalla fisica.
È un esperimento fisico che ha portato al premio Nobel. Hanno constatato che due particelle, due fotoni di energia, una volta entrati in contatto tra loro e sparati a migliaia di anni luce, anche se lontanissimi, al cambiare dell’uno cambiava anche l’altro. E un figlio è come una mitosi cellulare. Sono cellule che si dividono e in entrambe rimane qualcosa dell’altra.
La verità esiste?
È impossibile definirla, quindi non esiste. Anche quando dici “questa è la verità” oppure “non c’è la verità” stai sostenendo una verità parziale. Forse l’unica verità è Dio.
Frequenti una qualche forma di spiritualità?
Non mi definisco spirituale, lo considero qualcosa che la scienza non ha ancora scoperto. Per questo amo leggere argomenti simili e pormi tante domande. Ciò che oggi può apparirci spirituale è solamente un dubbio per capire il mondo, come chiedersi che cos’è l’universo, cos’è l’energia o cos’è Dio. La scienza non ha ancora scoperto tante cose che, quando verranno svelate, non saranno più domande spirituali ma soltanto scoperte scientifiche.
I tuoi film preferiti?
Harold e Maude, Oltre il giardino e Ritorno al futuro.
E in musica?
Franco Battiato, che rimane il mio punto di riferimento.
Vi conoscevate bene?
Era un mio grande amico. Ho partecipato al videoclip del suo brano Testamento.
Mi racconti il “tuo” Franco Battiato?
In quel pezzo cantava: “E mi piaceva tutto della mia vita mortale / Anche l’odore che davano gli asparagi all’urina”. Era una persona pura e senza sovrastrutture. Ha sempre cercato qualcosa di diverso e in questa ricerca eravamo simili. È anche il motivo che ci ha fatto incontrare. Io, come lui, ho come una forma di ossessione per capire perché siamo su questa Terra. E poi era simpaticissimo, raccontava un sacco di barzellette. Forse perché a un certo punto si stufava di pensare ai massimi sistemi e stemperava con quelle storie divertenti.
Un episodio con Battiato che porti nel cuore?
Quando abbiamo passato insieme un Capodanno e lui beveva soltanto tè zuccherato, l’unico suo vizio. Lui che non fumava e mi diceva: “Tu fuma, fino a cinque al giorno che è il numero che il corpo può espellere”. Solo che è difficile fermarsi a fumarne solo cinque, infatti io adesso non fumo più. Gli voglio molto bene e mi ha fatto soffrire e continua a farmi soffrire che se ne sia andato. Non riesco più ad ascoltare le sue canzoni perché mi emoziono troppo.
Tea Falco fra trent’anni come si immagina?
Ma chi è Tea Falco?
Pensavo fosse l’essere umano che ho di fronte, no?
Può essere… La vorrei con i capelli bianchi, non ce la vedo a tingerseli.
Nessun timore dal punto di vista estetico?
Troveremo tecnologie per farci sembrare più giovani e, perché no, le useremo senza apparire dei mostri. La scienza va avanti anche in questo settore. A me piacciono i capelli bianchi.
Hai mai pensato a come vorresti morire?
Finora non ci avevo mai pensato, ho pensato di più a come mi piacerebbe vivere. Forse vorrei morire ingurgitando una pillola. La prendi, ti addormenti, e non ci pensi più.