La commedia romantica che non ti aspetti, nascosta come un pupazzo a molla nella scatola di un saggio di filosofia della tecnologia (che ancor meno ti aspettavi). Esce oggi su Prime Video Il migliore dei mondi, il nuovo film scritto, diretto e interpretato da Maccio Capatonda.
Si tratta della rieducazione sentimentale di Ennio, content creator che ha adibito lo scantinato del negozio di elettronica di famiglia a studio di produzione di videorecensioni di gadget non essenziali, come dispositivi di illuminazione per sanitari. Mentre lui arrotonda con Tik Tok, suo fratello “disgestico” (confonde il significato dei gesti, per lui un dito medio vuol dire pollice su) – uno straordinario rivoluzionario mancato affidato a Pietro Sermonti – lo fa spacciando “aiutini” in discoteca.
Ennio è completamente dipendente dalla tecnologia informatica e trascorre le giornate facendosi guidare passo dopo passo da un Google Maps esistenziale. Capatonda è accuratissimo e spietato nella satira della vita all’epoca del digitale e si muove in modo quasi chapliniano nei tempi moderni che mette in scena, incastrandosi tra gli ingranaggi dei social e delle app come Charlot faceva nella sua fabbrica, descrivendo un mondo ugualmente ripetitivo e disumano. Ma un corto circuito tra il suo iPhone e un modem 56k che Ennio stava cercando di riparare lo trasporterà in un metaverso in cui l’avanzamento tecnologico è fermo al 1999. Lì scoprirà l’amore e capirà che la tecnologia è una di quelle cose che, quando viene a mancare, ti accorgi che non ti serviva davvero. Oppure ti serviva, ma la stavi usando proprio una cosa malissimo.
L’unità logica della gag capatondiana, in passato fatta lievitare fino ad assumere la sembianza di trailer esteso come un lungometraggio, qui si espande concettualmente e visivamente verso la dimensione di un vero film: onesto, delirante e profondo.
Per Il migliore dei mondi M¥SS KETA ha scritto un pezzo originale, perfettamente intonato e, al tempo stesso dissonante, rispetto ai temi e al piglio narrativo del film: CONDANNATA A DANZARE.
Con Maccio e KETA abbiamo conversato simultaneamente, ma senza alcuna doppiezza, sul lavoro fatto insieme su amore e distopia.
Il titolo del film si riferisce al Candido, dove Voltaire confutava l’ottimismo che, nella sua epoca, era legato all’idea di progresso. Riflettendo sul romanzo di deformazione di Ennio viene da pensare che invece vi si provi a confutare, per assurdo, quello che è l’attuale pessimismo legato all’uso che facciamo dei dispositivi e dei servizi informatici, alla ricerca di un possibile equilibrio dettato dai sentimenti e non dalla ragione. A che punto si colloca Il migliore dei mondi nel discorso sull’eterna lotta tra le conquiste del progresso e l’uso regressivo che, spesso, l’umanità finisce per farne?
Maccio: Volevamo lasciare al pubblico la possibilità di un’interpretazione libera. Il film vuole essere un dibattito aperto, una riflessione su fino a che punto il progresso tecnologico può aiutarci e su quando comincia a disumanizzarci. Quello che io sogno è un mondo in cui l’umano possa riuscire a mantenersi tale e progredire spiritualmente anche attraverso la tecnologia, e non regredire a una vita troppo comoda, circondata da continui stimoli di intrattenimento, in cui, non avendo di fatto più difficoltà da affrontare, ci impigriamo. Questo mi spaventa. Nel Migliore dei mondi ho provato allora a mettermi in una situazione un po’ scomoda.
Hai uno sguardo critico nei confronti della tecnologia, ma YouTube, ad esempio, è stato un canale fondamentale per la diffusione del tuo verbo. E oggi lo è certamente TikTok.
Maccio: Io sono quello che sono oggi anche grazie alla tecnologia. Penso al montaggio digitale: prima del 2000 montavo con due videoregistratori, ed ero abbastanza in difficoltà. Il mondo di oggi, per me, è un paese dei balocchi. È quello che io desideravo, insieme a molti altri ragazzi degli anni ’80. E in effetti questo mondo lo abbiamo creato noi. Mi chiedo però se non abbiamo un po’ esagerato. Dove ci ha portato tutto ciò che abbiamo avuto? Non c’è più distanza tra l’espressione di un desiderio e l’ottenimento dello stesso. Ogni tanto lo stimolo di un ostacolo significa poter fare un passo in più, in una direzione diversa.
M¥SS, la tua personalità è inconfondibile sulla scena musicale per un approccio che attraversa più generi, epoche e mezzi di comunicazione. Il pezzo del film rappresenta bene la KETA caleidoscopica e ipertestuale. Come ti ha ispirato nella scrittura del brano il tuo rapporto con il digitale e i nuovi media?
KETA: Devo dire che anche io, come Maccio, devo molto alla tecnologia e ai social. In particolare a Facebook. Quando sono venuta al mondo, nel 2013, col video di Milano sushi & coca, i miei canali preferenziali erano ancora YouTube e Facebook. Erano gli albori dei social media: se facevi qualcosa di bello riuscivi a uscire dalla tua cerchia di amici e a diventare virale in un solo giorno. Era una viralità incontrollabile e organica, non costruita o aiutata, come accade oggi, dai mezzi del marketing. Dal momento che sono nata così ho cercato sempre di mantenere forme di comunicazione istintiva e un po’ anarchica. Questa espressività personale attualmente non sembra più molto premiata, come se comunicare in modo autonomo e libero andasse a cozzare contro le richieste delle piattaforme per mantenerti visibile.
Il nemico algoritmo.
KETA: Sì, a un certo punto l’ho visto comparire di fronte a me, che mi diceva: o ti adatti o non ti mostro più al mondo come facevo prima. Sono una donna molto ribelle e quindi, prima o poi, questo benedetto algoritmo lo domerò.
Maccio: M¥SS KETA che cavalca l’algoritmo.
Andrebbe immediatamente commissionata a un’intelligenza artificiale un’immagine di M¥SS KETA che cavalca l’algoritmo.
KETA: Un altro problema contro il quale combatto è la tendenza ad affidare tutto a memorie esterne alla nostra. Cerco di mantenere il più possibile attiva la mia.
Maccio, facendo cinema riesci ad affrancarti meglio dai meccanismi da cui ci mette in guardia la M¥SS?
Maccio: Gran parte del mio lavoro oggi è ancora dedicata ai video che produco per i social. Ma nel caso dei film sono riuscito a far prevalere l’obiettivo di lanciare dei messaggi, slegandomi da quello di guadagnare follower. Paradossalmente con Il migliore dei mondi ho provato a farlo raccontando proprio le situazioni di cui siamo vittima e, per giunta, attraverso il canale offerto da una piattaforma di streaming (a cui sono molto grato). Sarebbe stato bello, però, andare anche in sala. Il mio primo amore è la sala. Quando ho visto Ritorno al futuro, nel 1985, ne sono rimasto flashato al punto di decidere su due piedi che avrei fatto l’attore e il regista. Ma devo dire che con Prime lavoro da Dio, e sono contento di essere tanto coinvolto da loro.
E in tanti diversi formati e contesti, dai game show ai lungometraggi.
Maccio: Gli manca solo aprire dei cinema.
Del resto, dopo tanti anni di e-commerce hanno davvero aperto dei supermercati.
Maccio: Sì, ci vorrebbero dei Prime Cinema, in cui vedere i loro contenuti dal vivo. In fondo quello che ci manca davvero è poter respirare le sensazioni e le reazioni degli altri, e condividere con loro le nostre.
Ci sarà uno spartiacque tra il Maccio cineasta prima e dopo Il migliore dei mondi? Anche le scelte di casting, che questa volta non hanno previsto le figure storiche che ti hanno accompagnato in tante clip e in un film come Italiano medio, sembrano mostrarci un Maccio nuovo.
Maccio: Questo film è frutto di un’esigenza di evolvermi. Ho pensato che il mezzo cinema avesse bisogno di un protagonista più empatico e di una storia più verosimile. Tolta la maschera grottesca degli altri due film e, da fan di Troisi, Benigni, Nuti e Verdone, ho messo in scena una versione più naturale di me, provando a essere più Marcello che Maccio. Allo stesso tempo ho capito di essermi molto dedicato alla parodia dei linguaggi, come nei trailer, nelle televendite, tutto ciò che assorbito crescendo. Ma che nel cinema non sempre si può fare la parodia del cinema. Allora ho voluto raccontare il mio mondo, parlando di tecnologia, visto che ha un peso per me così importante.
Maccio che interpreta Marcello.
Maccio: Il regista è Marcello, l’attore è Maccio. Però potrebbe anche essere vero il contrario.
E come mai hai scelto il genere della commedia romantica?
Maccio: L’amore o anzi, la mancanza di esso, mi sembrava il terreno ideale su cui costruire un personaggio che cerca di controllare le sue emozioni. Niente gli può far male ma non sa di stare male. L’amore era il need del protagonista, ma non il suo want. Detto questo sono contento di aver fatto una commedia romantica perché, vivendo una storia d’amore da otto anni, mi sono sentito in grado di parlarne.
KETA: Mi è piaciuto molto che Marcello abbia voluto svelarsi dal punto di vista romantico. Anche M¥SS affronta il mondo in modo ironico e saturato, proteggendosi da esso. Quando ci si scopre l’operazione è delicata ma il risultato può pagare dei rischi corsi.
La tecnologia in amore è un po’ come un doping di cui ci siamo convinti di non poter fare a meno, ma senza il quale possiamo correre benissimo? Oppure, visto che l’amore vince su tutto, ha già vinto in partenza, anche se lo start ce lo dà un account Tinder Platinum?
Maccio: La tecnologia serve se ci rende delle persone migliori. Questo non avviene se è asservita al profitto, perché in quel caso se ne usano le parti peggiori per raggiungere le parti peggiori dell’animo umano: la FOMO, la gratificazione da like, il chiacchiericcio. Questo purtroppo ha molta presa sulla parte più debole di noi.
È il capitalismo, bellezze. Ma non possiamo non ricordare il Twitter dei primordi, in cui per qualche tempo l’account più seguito al mondo fu quello di un’anima straordinariamente sensibile e ironica come Stephen Fry. Peccato che sia finito così, in una X.
Maccio: Questo mi fa ricordare come internet, all’inizio, fosse percepita come un posto fighissimo in cui sperimentare e condividere.
KETA: La tecnologia è creata dall’essere umano ed è ovvio che lo rappresenti integralmente. Purtroppo molte cose nascono da un lato dell’umanità e finiscono dall’altro lato della parabola.
Maccio: Proprio per questo ho cercato di fare un film non solo sulla tecnologia, ma sull’autocontrollo e sull’incapacità di essere sé stessi, sulla paura di fallire. La tecnologia allora è un palliativo che, in questo periodo storico, usiamo per nasconderci la verità.
Forse il personaggio di tuo fratello non aveva tutti i torti, allora, a drogarsi semplicemente di droga.
Maccio: Non è proprio un tossico, è solo che ha molta nostalgia delle molotov.
Accanto alla manifestazione di questa sensibilità il film è anche, ovviamente, molto divertente. Alcune sue scene sono dei meme già pronti. Ce n’è una in cui Ennio va a cena con una ragazza che presume cinefila ma, non avendo il web a portata di mano, quando lei si produce nel namedropping di Bergman, lui è costretto a inventarsi una scusa per uscire dall’osteria, aprire il bagagliaio della macchina, tirarne fuori il volume VI della Treccani (Balta-Bik) e studiarsi la voce corrispondente.
Maccio: L’enciclopedia è un’internet analogica e quel bagagliaio pieno di libri è uno smartphone.
A proposito di enciclopedismo, una piccola nota geostorica. Sul finale del film la vicenda si sposta in Salento perché Ennio cerca assistenza tecnica da parte di Steve Jobs. Il quale, nel metaverso in questione, non è mai morto, si fa chiamare Stefano Lavori, vive in una casa colonica nelle campagne di Copertino e coltiva mele da cui stacca un morso, appena colte, per ottenere il processo di maturazione più veloce di sempre, prima di impiegarle per la farcitura dei suoi innovativi pasticciotti. Maccio, questa scelta di ambientazione potrebbe sembrare solo un tuo gioco di parole ma la Cupertino californiana in cui ha tutt’ora sede la Apple si chiama così proprio in riferimento a San Giuseppe da Copertino. Tuo il merito di aver ristabilito la connessione una volta per tutte.
Maccio: Lo devo far presente a Giuliano Sangiorgi.
KETA: Così la prossima Expo la faranno a Copertino.
M¥SS, com’è stata l’esperienza di non raccontare solo il tuo mondo, ma quello di un altro, in un tuo pezzo?
KETA: Era la prima volta che lo facevo e per me è sempre entusiasmante fare nuove esperienze. Il pezzo è nato in una maniera particolare. Le mie canzoni possono nascere da una sera in discoteca con Riva (Stefano, nda) o da un pensiero avuto alle quattro di notte, o direttamente in studio. In questo caso c’è stata la lettura di uno script e l’immersione nel suo mondo. Questo mondo era ancora in costruzione: quando ho cominciato a scrivere CONDANNATA A DANZARE le riprese del film erano appena iniziate. Ho dovuto abbandonare le mie certezze e farmi accompagnare in un viaggio. Ho voluto esprimere un momento di cambiamento emotivo e di crescita nell’animo del protagonista, il via libera a emozioni a cui aveva sempre negato l’accesso.
Maccio: È un midpoint.
KETA: Inoltre non volevo che la canzone avesse le solite sonorità elettroniche avanguardiste di M¥SS, ma quelle di un tempo pre-Millennium bug.
A che generi la ricondurresti?
KETA: La vedo un po’ darkwavata. Forse è la mia vena musicale con cui faccio uscire anche io delle emozioni legate all’amore. È sicuramente una dimensione sonora che ha sì un po’ di cattiveria myssketiana nei suoni ma, dall’altra, può accogliere anche sprizzi luminosi.
Maccio: A tratti è anche molto dolce.
KETA: Vero. Anche per fare la mia parte è stato necessario scoprimi e mostrare delle emozioni più crude, pure se con il mio linguaggio. Non posso sempre nascondermi dietro l’ironia. È stato comunque divertente ma anche e intimo.
Vi rivedremo ancora insieme?
KETA: Sicuramente Maccio verrà con me in tour.
Maccio: Il migliore dei mondi – Tour.
KETA: Non ci avevamo pensato, però pensiamoci.