Quando tutto finisce, le parole, lo shooting e pure quel vassoio di tramezzini che abbiamo mangiato nella doccia di una stanza d’hotel al centro di Roma, ci abbracciamo. E finalmente posso dire a Margherita: «Temevo che Gloria! non fosse il film che invece è». Temevo fosse il film giusto al momento giusto, ma per i motivi sbagliati. Quelli di un esordio prevedibile, di un’operazione commerciale un po’ furbetta, di un collettivo femminile che poi, dietro le quinte, di collettivo rivendica ben poco. A un certo punto chiederò ad entrambe qual è il suono di Gloria!, che rumore fa questo film. Veronica mi dirà che per lei è un suono di chiavi che aprono porte, e questa è un’immagine che tornerà spesso, perché di rivoluzione musicale stiamo parlando, ieri come oggi. Invece per Margherita Gloria! fa il rumore di uno stormo di uccelli in volo, e di passi pesanti lungo un corridoio di legno, quelli di chi non vuole più stare in gabbia e si dirige altrove, chissà dove, chissà verso quale secolo. Perché qui dentro di secoli se ne contano diversi, e ti attraversano quasi ci fosse un filo magico ad unirli: un gruppo di orfane di fine Settecento sperimenta un nuovo modo di comporre al pianoforte, e una sinfonia classica sfuma nel pop barocco di Margherita mentre Veronica attacca a cantare, regalandoci la fiaba di un cantautorato ante litteram.
Vicario alla regia, Lucchesi in scena: è un doppio esordio da copertina, ma in realtà è anche l’evoluzione naturale delle loro carriere. «Io sono convinta che cercherò sempre storie che abbiano a che fare con la musica, perché è il mio campo d’indagine», dice Margherita. E anche Veronica non ha mai avuto dubbi: «Nel cinema non è che io abbia tanta esperienza, ma il personaggio che mi ha dato Marghe mi ha travolta, non puoi capire quanto». La verità è che Gloria! – una produzione tempesta (che produce Alice Rohrwacher, per intenderci) con Rai Cinema, nelle sale dall’11 aprile con 01 Distribution – fa lo stesso effetto della loro musica. Vai al cinema e torni a casa come dopo essere stata a un loro concerto. No, di più. Mi ritrovo a camminare per ore in giro per Roma, ascoltando Pincio mentre si è fatta primavera, con in testa il ricordo dell’arrangiamento orchestrale riproposto nel film, con una voglia diversa di ballare, di commuovermi, di far musica anche se non sono musicista, e di parlare di sorellanza, ma mica come si fa su Instagram: come vorremmo farlo davvero. Con parole nuove – quelle che Vicario ha scritto insieme ad Anita Rivaroli alla sceneggiatura – ma anche senza troppe parole, o almeno senza stare a calcolarle – e questo ritrovato istinto di coesione animale, sono certa, è l’effetto della colonna sonora curata da Vicario insieme a Davide Pavanello, il suo Dade. In Gloria! tutto è musica, tutto soffia, sbatte, parla, canta, e rimane addosso qualcosa tipo: all’improvviso è partito ’sto tango, ho detto madonna Marghe, ma che film hai fatto.
Margherita Vicario e Veronica Lucchesi sulla cover di Rolling. Foto: Clara Novelli; Per Vicario Styling: Simone Furlan; Blusa e longuette: Moschino; Occhiali: Tod’s; Collant: Calzedonia; Scarpe: Roger Vivier; Gioielli: Tiffany&Co.; per Lucchesi Styling: Lorenzo Oddo; Abito: Moschino; Occhiali: Etro; Scarpe: Casadei; Gioielli Tiffany& Co.; Hair Styling: Cotril
Oltre l’entusiasmo, bisogna chiedersi perché un film che parla di musiciste dimenticate dalla Storia abbia “travolto” due dei nomi femminili più interessanti nel panorama discografico attuale. Ad accendere la miccia dell’immaginazione di Margherita (che girerà l’Italia con il Gloria! tour 2024 in partenza il 7 maggio da Matera – sold out – e suonerà per la prima volta dal vivo anche il nuovo brano Aria! tratto dalla colonna sonora) è stata quella che finiamo per chiamare “la questione Vivaldi”: «Centinaia di volte mi è stato chiesto: cosa ne pensi della situazione delle donne nella musica? E mi ero un po’ stancata di questa domanda, così ho iniziato una ricerca sulle compositrici del Cinquecento fino al Novecento. Vivaldi era un famosissimo compositore ma anche un maestro di cappella, un prete pagato dalla curia per educare alla musica un’orchestra tutta femminile, composta da orfane che suonavano per la gloria di Dio. Nel frattempo lui vendeva spartiti a destra e a manca in tutta Europa, e si dice che alcune di queste opere le abbia un po’ saccheggiate alle sue musiciste. Era comunque un genio, certo, ma c’erano tante donne nascoste dietro le grate».
Peccato e rivoluzione
Grate, cortili, corridoi. E poi camere con porte da blindare e altre da aprire, ma sempre di nascosto. Il Sant’Ignazio è un orfanotrofio in cui regna un clima da collegio femminile, un’atmosfera che evoca una cinematografia forte, quella delle ragazze in gabbia, delle ragazze interrotte, dei giardini delle vergini suicide. È un luogo dominato dagli uomini, di Chiesa e di musica, dove però esplode un universo femminile parallelo e sotterraneo, che palpita e bisbiglia. L’occasione è la visita imminente di Papa Pio VII, che coincide con la scoperta di uno strumento abbandonato in cantina. Nessuna delle ragazze lo ha mai visto prima. Le attrae e le spaventa come il peccato, o come la rivoluzione: è un pianoforte.
«Durante le riprese alloggiavamo al Pellegrino, la locanda del signor Antonio», racconta Veronica. «C’erano solo cinque camere, erano tutte per noi, così era come passare da un istituto all’altro. È stata la condizione ideale per creare quel gruppo, per ragionare insieme sulle riprese della giornata, su cosa migliorare e come aiutarci. Andavamo in camera di Galatéa (Bellugi, che interpreta Teresa, nda) per cantare insieme la sua canzone, studiavamo l’assolo di violino per capire come mettere le mani nel modo giusto. Era un continuo starci dentro. Io ero la più grande, mi sembrava di essere la sorellona maggiore di tutte quante».
Per Margherita, invece, Veronica è stata molto di più: un’ispirazione e un gancio. «Il personaggio l’ho scritto su di lei. Sono partita da una sua canzone che amo ma che non svelerò, perché dovete vedere il film. In quella canzone c’era già un mondo, e non c’è niente di più bello per me che partire dalla musica. Questo è un film che parla di creatività, e di quello struggle che spesso invade chi scrive e cerca di tirare fuori la propria musica. Ero sicura che Veronica fosse la prima depositaria di questo concetto, che conoscesse l’esigenza e il motivo dietro questa storia. Quindi all’interno del gruppo ha rappresentato un gancio per me e una guida per loro. “Tu sai cosa penso”, a me bastava dirle questo. E pensavo: Vero questa cosa la conosce, l’ha capita, lei lo sa».
Margherita Vicario sul set di ‘Gloria!’. Foto: Mattia Comuzzi
Non è un caso – anzi, è la vera forza di questo esordio – che Gloria! lasci l’impressione d’essere un film diretto dalla musica. Perché è sempre la musica a scandire inquadrature e movimenti di macchina, battute, stacchi e raccordi di montaggio, azioni in campo e impercettibili gesti che diventano tutti, incessantemente, colonna sonora. Ognuna di queste donne – Teresa, Lucia, Bettina, Marietta, Prudenza – si muove dentro una partitura, e anche uno sguardo fa rumore. «Nella sala ho percepito una densità, un’attenzione particolare. C’era qualcosa che stava vibrando», racconta Veronica ricordando la prima a Berlino, dove il film è stato presentato in concorso. «In ascensore, prima di entrare in sala, quando ci siamo guardate in conferenza stampa: avevamo sempre la pelle d’oca. E mi sembra di capire che questa vibrazione stia attraversando tutte le sale in cui Margherita lo sta presentando. È come se questo film non potesse mentire. È onesto, diretto, intenso. È così vero che non può lasciarti a metà. Si legge tutto: il desiderio, la voglia, l’urgenza, il messaggio, la sorellanza».
Veronica Lucchesi nei panni di Bettina in ‘Gloria!’. Foto: 01 Distribution
Égalité fraternité de che?
Ecco, la sorellanza. Qui si trova nella coralità di un’ambizione storicamente impossibile, che fantastica sull’eco della Rivoluzione francese. Margherita dice che da sole non si fa niente, men che meno la musica: «Queste cinque ragazze vogliono arrivare tutte e cinque insieme, nonostante gli scazzi e le gelosie. Ma se una casca, io che ci vado a fare da sola? Sono stata a Sanremo con Vero (Vicario era una delle ospiti della cover di Be My Baby de La Rappresentante di Lista a Sanremo 2022, ndr), e sul palco con lei c’è una specie di aura che ti fa andare come una cometa. La Rivoluzione francese mi ha un po’ ossessionato, infatti l’ho usata spesso nel disco Bingo. Ma mi sono resa conto che, in quella che consideriamo la culla dei nuovi diritti dell’Occidente, in realtà le donne non avevano diritto di parola nell’assemblea cittadina. Se ci pensi, égalité fraternité de che? E invece la polis greca? Certo, funzionava se eri un ateniese cisgender bianco. La Storia, oltre ad essere ciclica, ci spiega sempre dove siamo». Ed è chiaro che se decidi di fare un film del genere, è perché senti il bisogno di parlare anche al presente: «C’è una componente di denuncia, nonostante sia un film fiabesco e d’intrattenimento. Ci sono dei punti più scuri e cupi, che riguardano ancora oggi la condizione di alcune musiciste che si sentono trascurate o sottovalutate, prese poco sul serio».
Vale lo stesso per Veronica: per lei è stato un sì assoluto, non è mai esistita l’opzione di rifiutare questo ruolo. Perché nel Settecento andava malissimo, certo, e oggi va indubbiamente meglio. Ma quanto va ancora male? E cosa va ancora male? «È prima di tutto un problema di valorizzazione e rappresentazione», continua lei. «Proprio perché risultiamo poche, sembra che dobbiamo impegnarci molto di più. Devi essere sempre eccellente e il margine di errore è poco tutelato. Sembra che dobbiamo sgomitare tra di noi per accaparrarci quelle tre o quattro caselle disponibili. Quindi sì, oggi va bene, ma non benissimo». «Ecco perché siamo tante e ci riguarda tutte: compositrici, cantautrici, produttrici, foniche», le fa eco Margherita. «Ho visto concerti strepitosi che mi hanno riempito il cuore, e poi ai ringraziamenti c’era una squadra di calcetto di undici musicisti. C’è dell’arte meravigliosa in tutti gli ambiti, ma perché le donne restano sempre tagliate fuori? Perché le scrittrici pubblicavano sotto pseudonimo? E perché tra le pittrici ricordiamo solo Artemisia Gentileschi e Frida Kahlo? Non è una polemica sterile, non è un’ideologia: è statistica. E come sa bene Veronica, la rappresentazione è fatta di liste». «Pensa che mia nonna è morta di infarto molti anni fa, e non glielo hanno riconosciuto perché era donna: la maggior parte delle statistiche riguarda gli infarti maschili».
Margherita Vicario. Foto: Clara Novelli; Styling: Simone Furlan; Abito: Vivetta; Guanti: Mario Portolano; Caposcala: Aspesi; Occhiali: Tod’s; Scarpe: Sergio Rossi; Borsa: Roger Vivier; Gioielli: Tiffany&Co; Hair Styling: Cotril
Passiamo diverse ore insieme e mi colpisce ogni volta come Margherita si rivolga a Veronica per trascinarla nel discorso sul suo film, e come Veronica parli di Gloria! con un trasporto che ha un che di personale, di urgente e appassionato. Mi raccontano che si cercavano da tempo, prima di questo film, con la testa ma soprattutto con la pancia. «Ho incontrato Margherita diverse volte. Capitava di essere nelle stesse line up e ricordo una volta a Firenze, con noi c’era anche Nada. Ho iniziato ad ascoltare Margherita perché è tra le artiste che amo di più, proprio come penna: è diretta, ironica, alle volte straziante nel suo gioco dolce e immaginifico, e tuttavia sa essere molto cruda nell’osservare il mondo. Oltre alla grandissima stima, c’è anche il gusto di ascoltare la sua musica nelle playlist delle mie giornate, durante le mie corse e nel momento dancing in salotto, per muovere il culo».
Margherita si accende: «Il progetto de La Rappresentante di Lista mi ha accompagnato in tantissimi viaggi in treno, guardando fuori dal finestrino e piangendo sotto gli occhialoni. Li ho sempre osservati». Poi si distoglie da me per rivolgersi a Veronica: «Ricordo un vostro concerto al Monk un sacco di tempo fa. Quello che mi ha sempre colpito della vostra musica è l’impianto teatrale: a me piace quando in un progetto si vede tutto il lavoro che c’è dietro. Per me la musica deve avere una dose di improvvisazione ma anche una grande dose di lavoro, di prove, di percezione di se stessi e creazione di uno spettacolo. Quindi ho sempre seguito con fomento i vostri live, oltre a piangere delle grandi lacrime in treno per delle canzoni che vogliono essere ascoltate, che dicono al mondo: “Oh, ci siamo. Esiste anche questo”».
Veronica Lucchesi. Foto: Clara Novelli; Styling: Lorenzo Oddo; Abito: Alessandro Vigilante; Scarpe: Le Silla; Gioielli: Tiffany&Co.; Hair Styling: Cotril
Comanda chi ha le chiavi
Il primo giorno di riprese Margherita ha perso la voce. Dopo due settimane ha avuto paura: non sapeva come arrivare alla fine, come prendersi quel nuovo ruolo. Lo racconta paragonando la sfida della regia a un affresco gigante in autostrada: lei era quella con il pennello in mano, quando una scena sembrava solo uno schizzo di colore lanciato su una tavolozza infinita. «Poi ricordo una telefonata con il mio fidanzato a Roma. Francesco mi ha detto in un napoletano veemente: “Amo’, il film sei tu insieme agli attori!”. È stato uno schiaffone, il classico consiglio di uno che ti vuole bene. Ed è vero, perché il set è una macchina gigante, però il film sono io con i miei attori. Ok, faccio la cantante e l’attrice, però in quel momento dovevo avere l’autorevolezza di chi dice agli altri: “Fidati, si fa così. Andrà tutto bene”».
Ma per Veronica la regia punk di Margherita non è stata mai davvero casuale, anzi: «Era la nostra capocoro. L’ho trovata sempre centrata, nonostante lei alle volte si sentisse in confusione e scombinata. Il suo era in realtà un caotico ordine che ci ha portato drittissime al punto. Margherita era la nostra fiamma accesa, bastava guardarla negli occhi per capire come fare le cose. Era una di noi, ma allo stesso tempo era molto risoluta dall’altra parte della telecamera. E noi decisamente pendevamo dalle sue labbra. Perché lei aveva quel ruolo, e quel ruolo si è presa». Margherita nel frattempo sorride, si mette le mani nei capelli al ricordo di sé come «regista pazza furiosa». «Per me la reference è stata sempre la creatività. In questo senso è un film molto autobiografico, anche se non lo diresti mai. La fantasia è qualcosa che nessuno vede finché non la tiri fuori, allora per me il gioco tra passato e presente era anche dire: io a queste donne posso far suonare qualsiasi cosa. Poi è chiaro che ci sono altri temi, ma sono anche quelli più scontati: è ovvio che le donne non contavano un cazzo. Ancora oggi, se pensi che le grandi star di Hollywood fanno le interviste sul gender gap e magari sono dei premi Oscar, ma ti pare che ancora ci pagate di meno?».
Veronica Lucchesi e Margherita Vicario. Foto: Clara Novelli; Per Lucchesi Styling: Lorenzo Oddo; Abito: Philosophy by Lorenzo Serafini; Occhiali: Etro; Gioielli: Tiffany&Co.; Per Vicario Styling: Simone Furlan; Abito (corsetto e culotte): Dolce & Gabbana; Occhiali: Pucci; Gioielli: Tiffany&Co.; Collant: archivio stylist; Hair Styling: Cotril
Nel film la legge degli uomini è mortificante e secolare: “Tu sei muta e devi restare muta”. Mentre quella delle donne improvvisa regole inedite, e si svela in uno scambio di battute perfetto: “Comanda chi sa suonare”, dirà Carlotta Gamba. “No. Comanda chi ha le chiavi”, risponderà Galatéa Bellugi. Stavolta è Veronica ad accendersi: «Hai centrato una frase importante, perché è quello che ci dicono spesso anche nel nostro mondo, quello della musica: “Te sei donna, devi farlo vedere dieci volte che sai suonare meglio, che sai cantare meglio”. Io non so suonare, eppure produco. Non ho studi accademici alle spalle, ma ho un sacco di chiavi che aprono un sacco di porte, di teste, di luoghi. Ovviamente c’è sempre l’idea che quello che facciamo possa aprire a tutte una possibilità diversa. Ecco perché ci mettiamo su quel palcoscenico in maniera incosciente, ma sempre responsabilmente. Nel film la porta di quello scantinato contiene tutte le meraviglie del mondo. Allora è giusto che là sotto le regole cambino: comanda chi ha le chiavi. Lì sotto buttiamo le regole all’aria, portiamo da bere, fumiamo, leggiamo i tarocchi, suoniamo in un modo diverso e strampalato, mettendo in discussione tutto quello che abbiamo scoperto fino a quel momento».
Viene spontaneo chiederci, in realtà tutte insieme, se questa lotta all’invisibilità strutturale, tanto nel lavoro quanto nel privato, ci faccia più male o ci faccia più incazzare. Per Veronica è un’altalena, «alle volte diventa deludente, ti impegni molto per raccontare qualcosa e ti ritrovi svilita». Per Margherita è «una rabbietta vitale che mi tengo stretta, perché mi è fonte d’ispirazione. Come quando ho scoperto che non esisteva il mestiere di musicista per professione: solo le sorelle o le mogli di altri compositori potevano pubblicare. Quelli erano istituti per sole donne, orfane, abbandonate, rifiutate dalla società, e penso che questo non cambi mai nei secoli. Ecco perché c’è una scena di un quartetto d’archi dove ho voluto far suonare alle ragazze una delle pochissime composizioni che ci sono arrivate dalla fine del Settecento, dell’orfana Maddalena Laura Sirmen. Il film è pieno di chicche filologiche per i barocchisti e per i più nerd».
Quando Teresa si arrabbiò con Dio
Tra le cose che vanno taciute qui per essere viste al cinema, ce n’è una in particolare: “la scena”. Dentro quello scantinato qualcuna tocca il fondo, e allora qualcun’altra decide di scrivere e cantare per lei. Significa che quello che non ti ammazza puoi trasformarlo in musica. Ma che se stai troppo male per farlo, lo suoniamo noi al posto tuo. È la sublimazione di cui parla Margherita: «Penso a un documentario su Billie Eilish: lei piange durante un concerto e allora il pubblico canta per lei. Non so com’è per Vero, ma io in tutte le canzoni che ho scritto ho versato delle lacrime. E anche se erano lacrime di gioia, di stanchezza o di frustrazione, si mischiavano sempre a lacrime di emozione perché stava nascendo qualcosa. Si tratta di sublimare quello che poi ci accomuna tutti: quest’unica vita che abbiamo a disposizione». Ma dopotutto è anche quello che lega Veronica Lucchesi a Margherita Vicario: «Mi ricorda l’inizio di quel libro incredibile di Jodorowsky, Quando Teresa si arrabbiò con Dio. Ha trasformato i personaggi della sua famiglia in personaggi epici per elevarli fino a perdonarli, fino a perdonarsi. Il punto è che se tu hai la chiave, allora sei la mano che ti salva. E se hai una voce per farlo, in qualche modo diventi anche una portavoce per gli altri». «Diventi La Rappresentante di Lista», chiosa Margherita, e guarda sempre Veronica.
Foto: Clara Novelli; Total look: Gucci; Gioielli: Tiffany&Co.; Hair Styling: Cotril
Questo film e questa cover potrebbero essere l’inizio di qualcos’altro? Quando glielo chiedo ridono e si parlano in codice, questa se la sono preparata, infatti rispondono insieme: Veronica e Dario hanno un nuovo disco quasi pronto, mentre Margherita ripartirà presto con il tour. «Ma sul palco ci possiamo ritrovare. Vieni? Per quanto riguarda questo incontro tra noi, tra il cinema e la musica, chissà. Nel momento in cui ci si trova e si apre una porta, le possibilità di fare cose insieme diventano infinite». È chiaramente uno dei momenti più felici delle loro carriere, oggi esce Gloria! al cinema e il loro presente è fatto di chiavi e porte. Non potrebbero essere più lontane dall’anonimato e dall’invisibilità, ma allora la paura di essere dimenticate esiste ancora? «Credo che faccia paura a tutte e tutti», riflette Veronica. «Non siamo, in fin dei conti, degli esseri carichissimi di memoria, di storia e di ricordi? Ma tutto questo sapere, tutto quello che abbiamo visto e imparato, a chi lo lasciamo? Si tratta del bisogno di tramandare, di lasciare un segno. E noi musiciste ci raccontiamo un sacco di fantasie, siamo delle romanticone, delle menzognere di prima categoria. Siamo delle cantastorie che si danno delle illusioni per campare». Margherita, invece, deve averlo capito realizzando questo film: «Io forse non ho paura di essere dimenticata, perché vivo troppo appieno il tempo che ho da vivere. Gloria! ci racconta che tantissime artiste non sono mai passate alla storia, ma in quel momento, per la vita di altre persone, sono state fondamentali. E allora, pure se mi dimenticheranno, io so che nel mio tempo sulla terra qualcosa è stato fatto. Ed è stato bello».
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Credits
Foto: Clara Novelli
Producer: Maria Rosaria Cautilli
Art Director: Alex Calcatelli per Leftloft
Fashion Editor: Francesca Piovano
Hair Styling: Cotril
Styling Margherita Vicario: Simone Furlan
Styling Veronica Lucchesi: Lorenzo Oddo
Photographer Assistant: Andrea Biagioni
M.V. Stylist Assistants: Beatrice Melandri, Gaia Bonfiglio, Marta Solari
V.L. Stylist Assistant: Paolo Sbaraglia
Video Maker & Editor: Maurizio Valentini
Video Operator: Simone Durante
Location: Hotel Vilòn
Hotel Vilòn
Feeling fuori dagli standard nell’Hotel VILÒN, una delle location più iconiche della capitale.
Atmosfera cosmopolita e fascino charmant in un’ala di Palazzo Borghese a Roma. Quasi un secret restaurant ADELAIDE, al suo interno, il ristorante gastronomico indirizzo cult per gourmet appassionati.