Nel caso fosse già aperto un totoscommesse su dove sarà Maria Chiara Giannetta da qui a dieci anni, io punterei serenamente su: tappeti rossi, premi, Venezia, Berlino, Cannes, MUBI (questo solo perché so che lei ucciderebbe per MUBI). Ovvero la filiera che, per valore o per tradizione, notoriamente consacra l’interprete all’altare della qualità. Il riconoscimento, le porte che si spalancano, il cachet che si triplica, il numeretto per prenotarti un ruolo drammatico, la gente che inizia a chiamarti solo per cognome perché è il tuo cognome a definire il brand del film (e alla fine ti tocca pure rifiutare qualche ruolo). Insomma: il Cinema. Quello da cui il sogno parte e dove il compromesso s’arresta.
Ma anche quello che ci rende annoiati, a volte prevenuti e altre giustamente delusi, dall’altra cosa. Sì, dai… la Cosa. Quell’affare populista che invece s’accontenta sempre, che meglio se fai finta di non conoscerlo. La televisione, esatto. Anzi, peggio: la fiction. No, non ho detto serie tv: ho detto proprio fiction. La differenza qui è sostanziale, è una questione di etichetta, di gergo. Perché oggi, qui, se dici fiction vuoi intendere solo due cose: Rai o Mediaset. Sennò dici “una serie tv che va su piattaforma” (per un riscontro rapido valutare campioni a caso tra: recensioni, articoli, aperitivi, discorsi spiati sull’autobus).
Ecco, Maria Chiara Giannetta in questo momento, 29 anni, è uno dei volti femminili di punta della fiction Rai. Ovvero della fiction della tv generalista per eccellenza, dell’intrattenimento prêt-à-porter: prima serata Rai 1. Consegnata al grande pubblico con Don Matteo, riconfermata da Buongiorno mamma, protagonista assoluta in Blanca, il nuovo prodotto targato Lux Vide.
E qui il discorso si fa divertente, bisogna capire come metterlo: perché Blanca, giovane donna non vedente con l’ossessione di diventare poliziotta, ha il look e l’armatura dell’eroina da fumetto, balla sui Calibro 35, provoca chiunque, litiga parecchio, ed è così iperattiva (nonostante la sua disabilità o proprio grazie ad essa?) da farti sentire in difetto pure per essere lì a guardarla, pigra e stanca sul divano di casa tua, abbrutita dal traffico, dalla dichiarazione dei redditi, dai rapporti umani. Per capirci meglio: dopo aver visto i primi due episodi, ho cercato immediatamente il video dell’Halftime Show di Beyoncé al Super Bowl 2013. Così, giusto per cavalcare quella sensazione di sconfitta mista all’impeto di imparare insieme il twerk e il décodage.
Se sembra poco (e poco non è), proviamo a dirlo in modo diretto: Blanca spacca. Blanca è pop, punk, psichedelica, fighissima, sarcastica al limite dell’umorismo nero, ispirata e d’ispirazione. Di più? È la conferma che in Rai (Fiction) è in atto una rivoluzione, e di fronte a progetti come questo le battute alla Boris non valgono più. Soprattutto se, come nel caso di Scalera e Tataranni, anche con Blanca la scommessa sulla protagonista è stravinta. Allora esagero: sarebbe l’occasione giusta per iniziare a chiamarle serie tv anziché fiction. E anche per aprire un totoscommesse su dove sarà Maria Chiara Giannetta tra dieci anni.
Che Blanca sia una grande sfida non c’è neanche da sottolinearlo, ma non te la sei fatta un po’ sotto quando ti hanno proposto il ruolo?
La verità? No. Perché poter interpretare nel cinema o nella tv una donna cieca è davvero una rarità. Infatti ho trovato pochissimi precedenti a cui ispirarmi, tipo Audrey Hepburn nel 1967 (Gli occhi della notte di Terence Young, nda) o Valeria Golino nel Colore nascosto delle cose (di Silvio Soldini, 2017, nda). Questa adrenalina non lasciava spazio alla paura.
Come ti è stata presentata la cecità di Blanca?
Ero sicura che trattandosi di una serie tv non avremmo lavorato in modo particolare sugli occhi o sulla fisionomia. Che non sarebbe stata una disabilità evidenziata da uno sguardo incrociato, da un occhio chiuso o magari dalla lentina a contatto bianca. Per questo ho iniziato a lavorare subito sulla perdita del fuoco e su un orecchio che funzionasse come occhio, che infatti si porge proprio al posto dell’occhio. Durante il provino mi preoccupavano di più le scene emotive che la disabilità del personaggio.
Perché quindi tu hai fatto un provino? Non era scontato, giocando già in casa Lux Vide…
Sì, e pensa che ho saputo di averlo passato proprio l’ultimo giorno di riprese di Buongiorno mamma. In casa Lux Blanca era già nell’aria da almeno due anni. So che Jan Michelini (lo showrunner e regista della serie, nda) mi voleva da subito per il ruolo, ma che non sono stata l’unica attrice provinata. Andava convinta anche la Rai.
Dopo il 26% di share al debutto e i 5.672.000 di spettatori, la Rai si è convinta?
(Ride) Mi ha telefonato Francesco Nardella della Rai dicendomi che alla fine Jan ha fatto bene a convincerli a puntare su di me. “Come io ho puntato su Vanessa Scalera per Imma Tataranni”, ha aggiunto anche – e non ti dico l’emozione. Insomma, io ero pronta da due anni per Blanca, ma me la sono guadagnata.
La dimensione sensoriale di Blanca raccontata attraverso l’espediente della “stanza nera” è uno degli aspetti più innovativi della serie, unito alla tecnica dell’olofonia. Il buio ha avuto un ruolo centrale anche nella tua preparazione?
Assolutamente. In realtà i non vedenti mi hanno insegnato che bisognerebbe immergersi nel buio con gli occhi aperti, ma io in quel periodo avevo casa vuota e mi bendavo. Cucinavo e ci mettevo anche tre ore. Allora ogni giorno iniziavo a cucinare un po’ prima. Ho capito subito che chi non vede non ha fretta, loro hanno una cadenza del tempo diversa dalla nostra. Dettano i loro ritmi. Quindi, se devo cucinare quanto ci metto? Tre ore. Ok, quando avrò imparato quanto ci metterò? Due ore. Quaranta minuti per tagliare una cipolla nel tentativo di non farmi male.
Oltre alla cucina, cos’altro?
Ballare, tantissimo. Perché Blanca balla, soprattutto sotto la pioggia. Ma anche qui è diverso: chi vede tende a ballare muovendosi nello spazio, mentre io mi bendavo cercando di ballare sul posto. Ho imparato a ballare con il corpo ma senza interagire con l’ambiente, così da non perdere la bussola. L’idea è quella di rimanere in un posto che puoi controllare per non perdere l’orientamento. Per esempio ho conosciuto Sara, che ha perso la vista in un incidente d’auto a vent’anni. Lei si muove ancora come se vedesse, infatti è piena di cicatrici.
Cicatrici?
Quello è un elemento che avevo proposto per la serie. Spesso le persone cieche sono piene di piccole cicatrici in faccia, perché il viso è la parte del corpo che proteggi meno. Quando hai il bastone o il cane riesci a proteggerti dalla vita in sotto. Ma se cammini e sul tragitto c’è un palo o un ramo, tu li prendi dritti in faccia. Per lo stesso motivo mi sarebbe piaciuto che Blanca avesse dei lividi, perché loro sbattono spesso. Ma sul set di una serie cicatrici e lividi diventerebbero un problema complesso di make-up e raccordi.
La difficoltà di un non vedente sta anche nella relazione con ambienti nuovi e spazi sconosciuti. Come si interpreta questo limite?
Credo di aver capito che è impossibile. Il mio coach mi ha spiegato una cosa essenziale: “Tu ci vedi, Maria Chiara. Quindi se entri in un ambiente nuovo, ad esempio la location in cui giriamo il ritrovamento di un cadavere, tu registri subito gli elementi nello spazio e i tragitti che farai. Decidi cosa fare, decidi perfino dove andare a sbattere”.
Parentesi: il cane di Blanca è davvero un cane guida?
No, di solito la razza per ciechi è quella dei labrador. Sono spesso cani educati in Germania, con comandi in tedesco.
Non parlerei di messaggio ma di obiettivo: cosa volevate che arrivasse al pubblico?
Un approccio ampio, fruibile, autentico. Se ci pensi, la disabilità veicola la storia di una ragazza che cerca lavoro e sogna l’amore. Credo che la serie stia già stia ottenendo l’effetto sperato. Il mood è un po’: “Cazzo, Blanca si mangia il mondo con la sua disabilità e io sto qui a lamentarmi”. È questa la sua forza, no?
Sai che su Twitter alcuni utenti ciechi hanno promosso Blanca a pieni voti? Per credibilità e fedeltà ai dettagli, tipo il fatto che usi il navigatore dello smartphone per camminare.
Pazzesco, che bello! Se sono stata davvero credibile, allora sento di aver fatto bene il mio lavoro. Io ci ho provato ad orientarmi con lo smartphone. Puoi impostare una modalità voice over ideale per ciechi, ma il telefono parla in continuazione e con una velocità di suono estrema: “Vai avanti. Gira a destra. Invia messaggio. Messaggio inviato. Gira a sinistra”. È da impazzirci, ma come fate? Siete fortissimi.
Tutto questo l’hai imparato proprio frequentando delle persone cieche e ipovedenti, ma come sei entrata in contatto con loro?
Grazie alla produzione. Hanno scelto persone che avessero un carattere simile a Blanca, tra loro ci sono anche due sportive. Maria Ligorio, pugliese, è nata cieca. A 18 anni ha preso un treno, senza cane e senza bastone, per trasferirsi a Roma. Lavorando in un call center si è pagata l’affitto e dei corsi di atletica leggera, era il suo sogno. È diventata una grande velocista, campionessa paralimpica di corsa. Veronica Tartaglia invece è campionessa nazionale di scherma.
A proposito, perché il cane anziché il bastone?
Ho capito che è una scelta del tutto personale. Per esempio Veronica si affida da sempre a Ulma, il suo cane. Con lei va ovunque, viaggi, treni. La gestisce in tedesco e mi ha spiegato che un cane per ciechi, di base, riconosce circa trenta comandi. Poi tu gliene puoi insegnare altri. Ora se lei scende per andare a comprare il pane o un caffè, Ulma sa esattamente in quale forno e in quale bar accompagnarla. Poi c’è Marco, che invece preferisce non affidarsi a un cane, e infatti mi ha insegnato a usare il bastone. Un giorno mi ha presentato Sara, ma prima di salire a casa sua mi ha bendata: così ho scoperto l’appartamento senza vederlo. La sensazione che ho avuto è che gli spazi fossero più piccoli, perché toccavo e sbattevo ovunque. Tolta la benda era tutto molto più grande.
L’indipendenza di Blanca forse è l’unico elemento su cui il pubblico mantiene un po’ di scetticismo. Lo diciamo forte e chiaro che non è fantascienza?
Assolutamente! Questi amici ciechi mi hanno insegnato che si può essere indipendenti anche chiedendo aiuto. Vivono tutti da soli, viaggiano e cucinano molto, a differenza di Blanca. Lei non cucinerebbe neanche se vedesse, preferisce ordinare e poi fare recensioni seriali. Infatti così incontra Nanni…
Sì, ma io già tifo Giuseppe Zeno/Michele Liguori, non c’è niente da fare…
(c) Guarda, poi vedrai. Sappi solo che la storia di Blanca sarà un’altalena. Ve l’abbiamo presentata come una persona risolta, ma ovviamente la sua disabilità si scontrerà con il mondo che c’è fuori. Dovrà affrontare seriamente alcuni drammi.
Credo tu sia riuscita a fare un gran lavoro sul corpo. Non abbandoni mai l’intenzione di cecità. La tensione nelle mani non è solo un tic, gli occhi non ti tradiscono mai, la camminata tiene sempre in allerta lo spettatore: aiuto, cadrà?
La mano è una richiesta di Jan, mi fa impazzire perché mi ricorda Carey Mulligan in Una donna promettente. Ho davvero cercato di automatizzare questi movimenti, di mantenere la tensione anche fuori ciak. Poi per me la camminata è la ricerca più figa da fare su un personaggio.
E Blanca praticamente pattina.
Sì! Bendandomi mi sono accorta di tastare il terreno con i piedi, come se avessi delle pattine. Perché al buio stai esplorando un terreno ad ostacoli.
Banalmente, come quando di notte devi raggiungere il bagno a tentoni?
Esatto! Ma di notte non ti vede nessuno. Invece quello che mi ha insegnato Andrea Bocelli è che i non vedenti non si muovono da zombie, con le mani protese in avanti: “Perché abbiamo una dignità. Non andiamo in giro come lo stereotipo del cieco”. Per questo lascio che le mani di Blanca tastino l’ambiente con discrezione, quasi nuotando, toccando sempre qualcosa nei limiti dei cinque centimetri dal corpo.
Bocelli è la persona che chiamavi per qualsiasi consiglio?
(Ride) No no, non volevo disturbarlo nonostante la sua disponibilità. Chiamavo soprattutto Veronica, che come Blanca si affida a un cane.
Ma mi spieghi il video che gira sul web della telefonata tra te e i tuoi genitori, in cui parlate di Blanca?
(Ride) Non dirmi niente, ti prego, è una storia di parenti e amici di famiglia che per qualche motivo è finita in rete. Mio padre con i capelli stravolti e mia madre in tuta… erano elettrizzati per il debutto!
Però che tenerezza quando ti dicono che hanno l’ansia per “i risultati” della serie. Cioè per l’audience e lo share.
Loro, capito? I risultati! Mia mamma sa tutto perché guarda tutto, ormai anche sulle piattaforme. Il suo range di giudizio si è ingigantito, ora li fa eccome i paragoni. Infatti quando sono usciti “i risultati” si preoccupava più di Imma Tataranni che di me! (Ride)
E la tua, di ansia per i risultati?
Noi abbiamo visto la puntata tutti insieme, cast e crew. Su Don Matteo facciamo sempre il totoshare, mentre qui c’era un terrore… scaramanzia, silenzio. Si mantenevano tutti bassi, ipotizzavano un 21%, io puntavo sul 23. Dopo la puntata abbiamo ballato i Calibro 35 (colonna sonora della serie, nda) per non pensarci troppo. Ce ne siamo andati dicendo: “Dai, comunque vada abbiamo fatto un bel lavoro”. E invece il giorno dopo… boom.
Boom. Scontro tra palinsesti e rieducazione culturale: da una parte scivoloni anacronistici sull’aborto, dall’altra nuovi modelli sociali (e femminili): la Rai sta offrendo una chiara alternativa, no?
Caspita! Se leggi gli ascolti, a un certo punto vedi la gente che dal Grande Fratello Vip si sposta su di noi. Ma rimane il fatto che un reality del genere ancora ce l’ha un pubblico, lo share lo tiene benissimo: milioni di spettatori non si sono spostati da quel canale.
E invece, a proposito dell’influenza di cinema e serie tv su costumi e modelli sociali (quindi, a lungo termine, anche sul voto di una persona): oggi pesa di più il cambiamento della tv generalista o quello di un film da festival?
Guarda, io vincerei volentieri pure un Oscar (ride). Però aiutare a cambiare un meccanismo dall’interno… ti confesso che mi fa sentire un moto d’orgoglio attivista. È una battaglia silenziosa, la nostra, che si insinua senza fare rumore. La gente vorrà vedere sempre di più questo tipo di prodotti. E questo dovrà pur significare qualcosa, no?