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Massimo Modugno: «A mio padre sarebbe piaciuto Rosa Chemical»

«L’artista. Non il gesto che ha fatto a Sanremo», precisa. In occasione della messa in onda del documentario di Maite Carpio (questa sera su Rai 1), il figlio di Mr. Volare racconta il gigante della musica e se stesso. Tra luci, ombre e aneddoti

Foto. Archivi Parabola

Questa sera su Rai1, in prima serata, andrà in onda Modugno. L’italiano che incantò il mondo, documentario di Maite Carpio sulle gesta di Domenico Modugno, Mr. Volare. Ne parliamo con il figlio Massimo, molto legato al padre, anche se un po’ schivo. Ci racconta le vicende del genitore, ma pure la sua, di vita, stretta a quella di un gigante della musica che, al contempo, è stato sicuramente un personaggio pubblico (a volte) troppo ingombrante. Come vedremo nel film con le testimonianze, tra gli altri, di Adriano Aragozzini e Marinella Venegoni.

Qual è il primo ricordo nitido che ha di suo padre, Domenico Modugno?
Io in piscina attaccato alle spalle e lui che mi faceva affondare.

Che rapporto avevate?
Bellissimo.

Altre cose che ricorda del vostro rapporto padre-figlio?
Essere Domenico Modugno non è facile, nemmeno per il figlio. Mi ricordo che quando ero bambino ero grasso e lui mi portò in Perù, Venezuela e Argentina: mi fece dimagrire rendendomi un bambino felice.

Perché, era infelice?
Ero ingrassato mangiando gelati.

Ognuno è come è, non vorrei passasse il messaggio che la magrezza è sinonimo di felicità. C’entrano probabilmente anche i condizionamenti esterni. Lei perché non stava bene? La prendevano in giro?
Da bambino sì, ma ero molto tosto, reagivo. Poi quando andammo in America Latina mio padre mi dava una bistecca e mezza mela a pranzo e a cena. Sono tornato magrissimo e ho avuto un’adolescenza normale.

Massimo Modugno nel doc dedicato al padre

Torniamo a parlare di suo padre. Nel blu dipinto di blu la viveva come una benedizione o era un po’ la sua croce?
Era molto grato a Volare anche se doveva cantarla sempre come Frank Sinatra doveva sempre interpretare My Way. Papà diceva che Volare era l’araba fenice: risorge dalle ceneri. E mi raccontava pure com’era nata.

E come?
Mio padre aveva un appuntamento con Migliacci. Gli diede buca e andò al mare con mia mamma. Migliacci disse «Vabbè, questo è sempre il solito». A un certo punto, stanco di aspettare, si è bevuto una bottiglia di vino ed è andato a dormire. Il giorno dopo si incontrarono e gli disse: «Mimmo ho fatto il sogno di uno che si dipinge di blu e va nel cielo», e gli portò una melodia. A quel punto papà se ne uscì con «Questo te lo faccio diventare un successo».

Così fu.
Hanno lavorato al testo, ma non veniva il ritornello. Possedevo anche una cassetta in cui mio padre fa una sorta di rito sciamanico: stava arrivando un temporale e lui cantava «Vieni! Vieni! Vola! Vola! Vola! Volareee! Oh oh».

Che fine ha fatto quella cassetta?
Quella cassetta – che credo abbia ascoltato anche Gianna Nannini – è andata perduta.

Ma davvero?
Abbiamo preso un tizio a fare delle ricerche e nonostante il nostro archivio sia completo, quella cassetta è mancante, però abbiamo il quaderno in cui c’è la prima stesura di Volare.

Con Nel blu dipinto di blu suo padre ha vinto il Festival di Sanremo nel 1958. Trionfò anche Johnny Dorelli – visto che, in quelle edizioni, si gareggiava in coppia – ma pochi se lo ricordano: il successo fu quasi completamente ad appannaggio di Modugno. Dorelli come prese questa cosa?
In realtà c’è un aneddoto: Dorelli non voleva uscire e mio padre gli diede uno schiaffo per farlo andare a cantare. Gli disse: «Adesso esci e canti». Erano entrambe matricole: papà veniva dalle canzoni siciliane, Dorelli era un giovane quasi sconosciuto. Ed era molto emozionato.

Ok, ma che mi dice del successo minore di Dorelli dopo quel Sanremo.
Anche Dorelli ha avuto successo.

Modugno a Sanremo 1958. dove vinse ‘Nel blu dipinto di blu’. Al pianoforte il Maestro Alberto Semprini. Foto: Archivi Farabola

Sì, certo, ma non legato a Nel blu dipinto di blu. Almeno, non nell’immaginario collettivo.
Papà aveva sempre questa cosa: chiunque lavorasse con lui aveva successo. È capitato con Pazzaglia, Migliacci, Dorelli, Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, Enrica Bonaccorti.

Suo padre voleva fare l’attore, ma dopo la vittoria del festival comprese che, forse, avrebbe dovuto mettere da parte quella carriera per dedicarsi al canto.
L’ha vissuta quasi male la vittoria. A mia madre confessò: «Non farò mai più l’attore». Era cosciente di aver scritto una canzone forte.

Qualche anno dopo, nel 1961, però tornò a recitare, ma a teatro, con la commedia musicale Rinaldo in campo. Fu un gran successo.
Incredibile. Lui ci teneva molto, perché all’epoca fare teatro era come qualificarsi. Ha scritto le musiche, lo portarono a Parigi, fu un trionfo ed Eduardo De Filippo si interessò a mio padre.

Insieme fecero il musical Tommaso D’Amalfi, nel 1962, ma non andò benissimo…
Era una cosa faraonica. Però secondo me dovrebbero rifarla. È un’opera con composizioni di mio padre e testi di Eduardo De Filippo. Ha un valore storico.

Si parla anche di rapporti non esattamente idilliaci tra suo padre ed Eduardo. Come andò?
Papà andò avanti da solo con la produzione, Eduardo ne uscì… andò così.

Ci rimise soldi?
Era produttore insieme a Eduardo. Diceva: «Tutte le cose che produco io vanno male, quelle che faccio prodotte dagli altri vanno bene».

Non mi ha detto del rapporto Eduardo-Modugno.
Era un rapporto di grande rispetto, ma dopo Tommaso D’Amalfi hanno litigato. Nonostante questo mio padre andò a vederlo in Natale in casa Cupiello. Ma si sa che con due caratteri forti poteva esserci un misunderstanding.

Pure con Renato Rascel, nel 1970, per Alleluja brava gente ebbe un “misunderstanding”?
Sì, ma devi considerare pure i successi che ha avuto. In Alleluja brava gente non aveva capito il personaggio e da lì è nato Gigi Proietti, che l’ha sostituito.

Suo padre ha vinto Sanremo per quattro volte. Un record.
Gli dicevano: «Ma chi te lo fa fare? Sei Domenico Modugno». Ci andò 14 volte. Aveva bisogno della competizione. Nel 1993 dovevamo partecipare alla kermesse con Delfini (Sai che c’è), ma per proteggerlo, visto che aveva avuto l’ictus, preferii rifiutare. Invece ce la faceva benissimo, avremmo vinto.

Modugno si esibisce a ‘Serata di Gala’ nel 1959. Foto: Archivi Farabola

Pensa che suo padre avrebbe potuto vincere il festival pure con altre canzoni?
Sì, con Meraviglioso e con Io che diede a Elvis Presley.

Scusi, ma perché non avete partecipato con Delfini (Sai che c’è)? Ricordo una vostra esibizione di Domenica in
Io avevo già fatto un Sanremo, nel 1992, con Uomo allo specchio, ma temevo che papà non riuscisse a cantare come una volta.

Mi perdoni, ma Delfini (Sai che c’è), l’avevano presa al festival?
C’era stata una proposta, ci volevano. Figurati se non facevano rientrare Domenico Modugno. È stata un’occasione persa.

Restiamo a Sanremo. Fu celebre la vittoria di suo padre con il brano Addio… addio… in coppia con il rivale Claudio Villa.
Non erano rivali. Villa frequentava casa nostra, ricordo che una volta si presentò con una Ferrari giallo banana. Dopo l’ictus continuò a venirci a trovare per un saluto a papà: arrivava in moto, pure se c’era la pioggia. Facevano i rivali per finta.

Come si convive con un ego strabordante come quello di suo padre?
Si vive bene. Papà era molto affettuoso e poi l’ictus ci ha avvicinato molto.

Vorrei farle una domanda. Dal punto di vista artistico, lei andò a Sanremo nel 1992 e nel 2004, insieme ai Gipsy Kings ha portato Quando l’aria mi sfiora. Pensa di aver vissuto all’ombra di suo padre?
No, e non mi sono mai messo in competizione con lui. Anzi, papà mi consigliava. Io ero in competizione con me stesso, come tutti gli artisti.

Suo padre ha mai fatto, a suo avviso, un passo falso?
Forse, nel 1975, non doveva fare Piange… il telefono, anche se ha venduto milioni di dischi.

Motivo?
Non era nelle sue corde, ma tratta il tema dei padri soli che è ancora attuale. Poi lui sapeva che sarebbe stato un successo. Ha fatto canzoni bellissime come L’anniversario, Un calcio alla città, tutto il lavoro con Iaia Fiastri… però lui voleva registrare Piange… il telefono.

È una canzone feuilleton celebre negli anni ’70. Probabilmente lo ha fatto per rimanere sotto i riflettori. In quel periodo spopolava la British invasion: i Beatles, i Rolling Stones…
Certo. Quando sono arrivati gli Stones si è capovolta la musica mondiale: molti artisti entrarono in crisi, ma papà Piange… il telefono l’ha voluta fare perché ci credeva.

Modugno alla trasmissione ‘La luna nel pozzo’ (1984). Foto: 
AG ALDO LIVERANI SAS



Come dicevamo, Piange… il telefono parla di padri soli, Libero, nel 1960, racconta di un uomo che non non vuole tornare al nido. Insomma Modugno è stato di rottura.
Assolutamente! Non a caso Bob Dylan nel suo libro The Philosophy of Modern Song ha fatto una menzione a Volare. Mio padre era più avanti degli americani in quel periodo.

Così di rottura che a un certo punto entrò in politica. E diventò addirittura senatore nel 1987.
Papà diceva che essere nel Partito Radicale era come giocare a morra con due dita. Si è battuto per i diritti dei più deboli, per i paraplegici, e ha fatto irruzione nel manicomio di Agrigento. Si è speso perché fossero abbattute le barriere architettoniche. I radicali hanno lottato per temi come divorzio e aborto, rappresentavano l’unico partito che gli si confaceva.

Senza fare distinzioni di casacca, cosa pensi direbbe della classe politica di oggi?
Avrebbe tentato di intervenire. Ma sarebbe stato troppo vecchio.

La più grande delusione professionale di suo padre?
Ha avuto screzi, ma a casa mia c’erano sempre tante persone come Pasolini e Tina Turner.

Tina Turner?
Sì, ricordo che mi diede un bacio sulla guancia e mi disse «Adesso non lavartela per un po’».

Ma che ci faceva in Italia?
La produceva Aragozzini, la voleva ritirare su.

Torniamo a suo padre. Nessuna delusione?
Meraviglioso che non andò a Sanremo. Lui voleva portarla, ma fu scartata.

Come reagì alla vita dopo l’ictus?
È stato molto caparbio. Ha avuto un periodo di depressione in Svizzera, quando stava sulla sedia a rotelle, ma poi si è ripreso ed è andato in politica con Pannella, un altro politico che ci manca.

Marco Pannella e Domenico Modugno nel 1978. Foto: AG ALDO LIVERANI SAS



L’ultima frase che le ha detto papà?
«Massimo, ci vediamo a Palermo per andare in tournée insieme».

Quando è morto lei era presente?
No, purtroppo. Stavo a Roma. Ricordo che al telefono gridavo a mia mamma di chiamare l’elicottero. Ma mi dissero che papà era morto. Il periodo più brutto della mia vita.

E poi?
Sono andato avanti lo stesso, ma a un certo punto mi sono fermato.

Mi può dire il motivo?
Preferirei non entrare in questo argomento.

Ma è rimasto nel mondo musicale?
Ho prodotto dischi, ma adesso ne sono fuori. Gestisco i beni di famiglia e cerco di fare promozione all’immagine di Domenico Modugno.

Cosa mi dice dei Sanremo ai quali ha partecipato nel 1992 e nel 2004?
La prima partecipazione ero un po’ acerbo, mentre nella seconda ero molto sicuro di me e sono arrivato dal 12 al sesto posto dopo che, nella serata delle cover, ho interpretato Se stiamo insieme di Cocciante. Ho dimostrato quello che dovevo dimostrare e ho detto: «Arrivederci a tutti».

Ah, proprio così?
Sì.

Non le piaceva il brano portato in gara?
Non lo amo particolarmente. Ma, anche se all’epoca non c’erano vincitori per la serata delle cover, è come se avessi trionfato.

Ha fatto anche tv. Ricordo una Domenica in
Qualche passaggio tv, ma forse non lo rifarei.

Be’ però le diede popolarità.
Ricordo Fiordaliso, nel cast di Domenica in l’edizione precedente alla mia, prendere un applauso sconfinato durante un concerto. Ho pensato che, forse, avrei dovuto farla e infatti ho fatto un fracco di serate.

È uscito dal mondo dello spettacolo per sua scelta?
Sì, per mia scelta, ma vivo bene lo stesso. È spietato il mondo della canzonetta.

Chi le piace tra i nuovi cantanti?
Ascolto tutte le playlist di mia figlia e gli artisti di adesso mi piacciono. Rosa Chemical lo trovo forte. Così come i Måneskin.

A suo papà sarebbe piaciuto Rosa Chemical?
Gli sarebbe piaciuto l’artista. Non il gesto che ha fatto a Sanremo (il bacio con Fedez, nda).

Senta, si sa che suo padre non era indifferente al fascino femminile. E infatti nel 2019 l’attore Fabio Camilli, dopo una lunga battaglia in tribunale, è stato riconosciuto come figlio di Domenico Modugno, frutto della relazione che suo padre ha avuto con Maurizia Calì. Che mi dice a riguardo?
Fabio lo vorrei frequentare, non avrei nessun problema, ma ognuno ha la propria vita. Non ho nulla contro di lui. Eravamo amici prima della causa, poi ci siamo persi di vista.

La causa vi ha fatto rompere l’amicizia?
La causa non è mai cosa buona. Io avrei voluto patteggiare nel 2005. Ma mi hanno detto che non si poteva e siamo andati avanti. Forse nel 2005 sarebbe stato più facile.

Chi è, oggi, Massimo Modugno?
Un uomo senza vizi, pacato, papà, che fa una vita semplice, non più quella frenetica di prima. Spero di passare il testimone a mia figlia che studia canto, musica e ha un gruppo. Lei è catapultata nel mondo della musica.

I talent li vede?
Sono un bene necessario, secondo me. Prima c’era la gavetta, ora si fa nel talent. Gli artisti oggi sfondano perché trovati online per caso o perché concorrenti dei talent.

Ultima domanda. Onestamente, le piacerebbe ritornare a Sanremo?
No, assolutamente.

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