Questo articolo è stato pubblicato su Rolling Stone US l’8 luglio 1999.
Nicole Kidman piange. Mentre è in piedi sulla scogliera e guarda le onde che si infrangono la mattina presto sulla spiaggia australiana di Bondi, gli occhi azzurri di Kidman si riempiono di lacrime. Sta parlando della morte di Stanley Kubrick, il genio solitario che ha diretto lei e suo marito, Tom Cruise, nel thriller psycho-sexy da 65 milioni di dollari Eyes Wide Shut. Si dice che il tredicesimo e ultimo film di Kubrick contenga scene di intimità erotica senza precedenti, solo accennate nel tanto chiacchierato teaser trailer, che mostra una Kidman nuda, davanti a uno specchio, mentre viene appassionatamente baciata e accarezzata da Cruise. Nessuno parla. L’unico suono è quello di Chris Isaak che canta Baby Did a Bad, Bad Thing.
Quanto cattiva, però, è ancora da vedere. Nelle prossime ore, Kidman parlerà apertamente della sua infanzia da ragazzina con i capelli rossi e selvaggi a Sydney, del suo matrimonio con Tom Cruise, dei loro figli e della sua evoluzione sessuale. Ma è sulla perdita del caro amico e padre confessore che ha trovato in Kubrick – il regista settantenne è morto per un attacco di cuore il 7 marzo nella sua casa vicino a Londra, pochi giorni dopo che i Cruise avevano visto per la prima volta il film finito – che Kidman torna spesso. «Nic non ha mai perso una persona così vicina a lei», dice Cruise. «Ci sono passato anch’io con mio padre, e la cosa ti colpisce duramente, ti lascia senza parole».
Su suo suggerimento, il mio primo giorno con Nicole Kidman inizia davvero molto presto. Dobbiamo incontrarci all’alba sulla spiaggia di Bondi per vedere il sole sorgere sul Pacifico. Ed eccomi qui, alle 6 del mattino, in piedi nel parcheggio quasi deserto adiacente alla scuola di surf, a guardare alcune figure spettrali che corrono lungo la passerella di cemento. Come da istruzioni, sto cercando una BMW blu. Un quarto d’ora dopo si ferma ed emerge una rossa alta (un metro e settanta) e sorridente, la cui pelle bianca e luminescente praticamente brilla nella nebbia.
È vestita in modo casual: jeans, maglione nero e scarpe da corsa. Non ha nulla che possa far pensare alla femme fatale di film come Da morire, Batman Forever e Amori & incantesimi, e ancor meno alla bomba sexy la cui performance, che ha messo a nudo il suo corpo e la sua anima nel successo londinese e di Broadway The Blue Room, ha spinto un critico a definirla “il Viagra del teatro”.
«Ammetto che quella definizione non mi ha offeso», dice Kidman, che oggi arriva in veste meno seducente, con i suoi famosi boccoli rossi nascosti sotto un cappellino da baseball. È pronta a divertirsi, soprattutto a sue spese. «Guidando fino a qui, ho improvvisamente pensato che dire “Incontriamoci nel mezzo di un parcheggio all’alba” fosse forse troppo vago», spiega con un sorriso. «Dopotutto, siamo dall’altra parte del mondo».
Sydney è la città natale di Kidman, il posto dove è cresciuta e dove è tornata con il marito e i due figli adottivi, Isabella Jane, 6 anni, e Connor Anthony, 4 anni, per vivere un anno mentre lui gira il sequel di Mission: Impossible e lei recita in due film australiani: Birthday Girl di Jez Butterworth e il musical Moulin Rouge! di Baz Luhrmann.
Il signore e la signora Cruise vivono in una casa con vista sul porto, acquistata e arredata da Kidman. Nelle vicinanze vivono i genitori di lei: Janelle, infermiera ed educatrice, e Antony, psicologo-biochimico e professore universitario, nonché autore di diversi bestseller di self-help, tra cui Managing Love and Hate (Gestire l’amore e l’odio). L’unica sorella minore di Kidman, Antonia, vive anche lei a Sydney, dove è giornalista di spettacolo per l’emittente locale Fox. Antonia è sposata con un agente sportivo ed è madre di Lucia, una bambina di cinque mesi molto amata dalla zia.
«Non ho vissuto qui per nove anni», dice Kidman, che è molto legata alla sua famiglia. Aveva programmato di stare con Antonia durante la nascita di Lucia, ma la bambina è arrivata con una settimana di anticipo. Tuttavia, dice Kidman, «sono stata con Antonia al telefono da New York per tutto il tempo». Ora si sta godendo questo anno di vita a casa. «Sono tornata spesso a trovarla, ma stare qui, poter andare a casa di mia madre e bere una tazza di tè al gelsomino, cosa che facevo a diciott’anni… be’, è fantastico poterlo fare di nuovo a trentadue anni».
Tutti i Kidman condividono la sua gioia. «Domenica scorsa, Tom, Nicole, mio marito e io siamo andati in barca a pescare per un giorno», racconta Antonia. “Tom è un papà così bravo, così coinvolto, ha un grandissimo entusiasmo. Nicole ha vita fuori dal comune, ma per come la affronta non te ne accorgi affatto».
Anche se la vita di Kidman è cambiata radicalmente da quando ha lasciato questi lidi per l’America all’età di ventidue anni, alcune cose rimarranno sempre le stesse. Come la sua lotta per uno stile di vita semplice. Qualsiasi attenzione particolare la mette visibilmente a disagio. E poiché non si comporta da persona famosa, non viene trattata in questo modo, almeno in Australia. Mentre io e lei passeggiamo dal lungomare fino alle scogliere che dominano la spiaggia, nessuno ci dà fastidio. Chi fa jogging di tanto in tanto, riconoscendo quella star allampanata, si limita a fare un cenno e a proseguire.
Ma a Bondi Beach Kidman è di casa. «Sono venuta qui per tutta la mia vita», dice, osservando la spiaggia e i suoi caffè. «Ordinavo fish and chips, lo mangiavo con mamma e papà e andavo a fare una nuotata nel pomeriggio. A volte c’era l’allarme squali e dovevi correre fuori dall’acqua: un suono fortissimo, ancora così vivido».
Nicole Kidman nuota ancora in mezzo agli squali, quelli di Hollywood. Ma la formazione precoce della ragazza di Down Under le è stata utile. Ha debuttato al cinema a quattordici anni in Natale nel bosco (1983). Tre anni dopo, la miniserie Vietnam l’ha resa famosa in Australia e le ha fatto vincere diversi premi. Sebbene i suoi genitori abbiano permesso a Nicole di lasciare il liceo per intraprendere la sua carriera – «Mia madre mi disse: “Così poche persone sanno cosa vogliono fare, vai avanti”» – la sua infanzia è stata piena di letteratura, teatro, opera e spirito libero. Ci volle un altro dono del mare, un film del 1989 intitolato Ore 10: calma piatta, per portarla all’attenzione del pubblico americano e, soprattutto, di Tom Cruise, che le chiese di fare un provino per la sua epopea automobilistica Giorni di tuono. Kidman ottenne il ruolo e Cruise, il cui matrimonio con l’attrice Mimi Rogers stava vacillando. Un anno dopo, nel 1990, Cruise e Kidman si sposarono.
«Dal primo momento in cui ho incontrato Nic, ho sentito questa libertà», spiega Cruise. «È così divertente, sempre pronta a tutto. Ha questo entusiasmo per la vita, e tutti questi interessi: bambini, arte, musica, sport, viaggi. Abbiamo avvertito molte pressioni all’inizio della nostra relazione. Anche se quando ci siamo conosciuti lei recitava da tanto tempo quanto me, e io ero abituato a un certo livello di riconoscimento, all’improvviso ci siamo ritrovati insieme e c’era questa attenzione. Nic ha gestito tutto questo con una grandissima grazia e generosità».
I primi anni di Nicole Kidman a Hollywood sono stati difficili. Nessuno dei suoi film rifletteva il talento che aveva dimostrato in gemme australiane come Flirting (1990) di John Duigan. «Dustin Hoffman mi chiamò dopo che lei aveva fatto una prova per Billy Bathgate – A scuola di gangster», ricorda Cruise. «E Hoffman ha un grande gusto per le interpretazioni. Mi disse: “Amico, da dove è venuta fuori?”». Ma le doti nascenti di Kidman sono perlopiù appassite sotto la patina hollywoodiana, come la sua seconda collaborazione con Cruise, in Cuori ribelli (1992), e in film trascurabili come My Life – Questa mia vita e Malice – Il sospetto.
«Il fatto è che Nic ha sempre avuto talento», dice Cruise. «Non ha mai avuto paura di rischiare. Alcune persone possono usare la vita per alimentare una performance: più diventano sofisticate, più lo diventano i loro i ruoli. Nic è sempre all’altezza della sfida».
Infine, in Da morire (1995) di Gus Van Sant, Kidman trova il ruolo della svolta, quello di una meteorologa televisiva che ucciderebbe per fare carriera. Per questo ruolo comico e tagliente ottenne un Golden Globe e, successivamente, il ruolo di protagonista in Ritratto di signora, diretto dall’australiana Jane Campion. Ma l’attesa nomination agli Oscar le è sfuggita. E quest’anno non ha ottenuto una nomination ai Tony per la sua acclamata interpretazione a Broadway in The Blue Room.
Se c’è una parola da usare per Nicole Kidman, quella parola è: sottovalutata. Molti la vedono come regale, glaciale, distaccata, un’idea sbagliata che lei attribuisce alla sua timidezza. «Anche se ora sono un po’ più fuori dal guscio, posso ancora diventare molto, molto timida», dice. «Questo faceva arrabbiare Tom. Andavamo a una cena e io non parlavo quasi mai. Lui non lo capiva». Forse perché in privato è così diversa: intelligente, divertente, calorosa, spontanea.
Kidman è “straordinaria” anche in Eyes Wide Shut, sostiene Cruise, che considera l’esperienza di condividere la masterclass di Kubrick con la moglie come uno dei momenti più belli della loro vita: «A ottant’anni ci siederemo l’uno accanto all’altra e diremo: “Ti ricordi il secolo scorso, quando abbiamo fatto quel film con Stanley Kubrick?”». Cruise afferma che Kidman è ugualmente creativa come madre e come moglie. «Sto con lei da dieci anni e non c’è mai un momento di noia, questo è certo», dice. «Mi sento molto fortunato ad avere la famiglia che ho».
Kidman è d’accordo, soprattutto ora che è tornata vicino alla sua famiglia a Sydney. «Quando ero piccola, si usciva presto a pescare», dice, ricordando le uscite con il nonno. «Non prendevo pesci grandi, ma solo tanti pesci piccoli che coprivano il fondo della barca. Mi arrabbiavo sempre molto per gli ami che uscivano dalla bocca dei pesci e piangevo». E il nonno li ributtava in mare?
«Non proprio», dice lei con un sorriso. «Era un duro australiano? No, ma mi avrebbe detto: “Datti una calmata. Tu li mangi, no?”». Fa una pausa. «Naturalmente non vedevo l’ora di lasciare l’Australia, ci ero legata solo per la mia famiglia. Ora, quando sono via, mi manca la mia città. Mi manca Bondi. Mi manca casa».
Questo è un momento difficile per te: l’uscita di Eyes Wide Shut è guastata dalla morte del tuo grande amico Stanley Kubrick. Cosa pensi che volesse dire con il suo film?
Voleva fare un film personale su una relazione, sulla gelosia, sull’ossessione sessuale e sul senso di colpa.
E ci è riuscito?
Stanley ha fatto un film molto, molto bello, e sono davvero orgogliosa di farne parte. Cercare di definirlo senza Stanley qui è… [la sua voce si interrompe]. Diciamo che tutto questo ha rovinato un po’ l’esperienza per me e Tom.
Ma è un onore recitare nell’ultimo film dell’uomo che ha diretto classici come Il dottor Stranamore e Lolita. E che dire di quel trailer così provocatorio?
Stanley ce l’ha mandato dicendo: “Ecco il trailer”. E io ho detto: “Stai scherzando! Non può essere questo il trailer”.
Perché ti ha scioccata?
Perché sono nuda, Nancy!
Ma sapevi che saresti stata nuda nel film.
Ma non nel trailer [ride]. L’ho fatto vedere a mia madre, che ha detto: “Wow, voglio vedere il film”.
Questo è lo scopo di un buon trailer, ma temo che la maggior parte delle persone ricorderà solo che Tom Cruise e Nicole Kidman sono nudi e fanno l’amore.
Me ne sono accorta quando è uscito il trailer. Anche se per me quelli sullo schermo sono due personaggi, per tutti gli altri sono Tom e Nicole. Ed è una cosa rivelatrice. Come persone, Tom e io non siamo esibizionisti, non lo siamo mai stati. Non fa parte della nostra personalità. Siamo molto più inibiti di così. E poi il film non parla solo di sesso.
Le scene di nudo sono state difficili da girare?
No, perché stavamo interpretando i nostri personaggi.
Quante persone c’erano sul set?
Stanley, Tom e io. Stanley ha girato da solo. La musica che si sente nel trailer suonava anche sul set. Abbiamo girato per un giorno, ma la scena era stata preparata nei dettagli.
È stato difficile essere così sessualmente espliciti, anche con tuo marito?
Difficile da vedere, più che da fare. Quando lo fai, ti perdi nel personaggio. Anche se all’inizio era come se fosse… normale. [Si guarda alle spalle, come se guardasse Tom, e la sua voce si fa sexy] “Baby. Oh, ciao. Come va?” [Ride]
Si dice che tu e Tom interpretiate degli psichiatri sposati tra loro.
No, non sono uno psichiatra. Siccome non abbiamo detto nulla, è iniziata a circolare la leggenda per cui interpretiamo due psicologi che hanno relazioni sessuali…
… con i loro pazienti. Ma almeno il personaggio di Tom è uno psichiatra?
No, non lo è. Non è vero neanche questo.
Puoi dire cosa interpreta?
No.
Ma nel film siete sposati?
Sì, sì.
Senza figli?
No, abbiamo un figlio.
E vivete a New York?
Sì. Bingo! Hai tirato fuori segreti da me più di chiunque altro.
Qual è, secondo te, il più grande equivoco su Eyes Wide Shut?
Le persone pensano che sia un enorme rompicapo sessuale, e si sbagliano.
Come definisci il concetto di “sesso sfrenato”?
Che sullo schermo io e Tom facciamo sesso per un’ora: così pensano. Invece il sesso è solo una piccola parte della storia.
Si dice che il tuo personaggio nel film si faccia di eroina.
Non è vero. È tutto sbagliato. In realtà non c’è sesso [ride]. No, sto scherzando. Ma non ci sono droghe, né psichiatri.
Ma il film è basato sul racconto Doppio sogno di Arthur Schnitzler, in cui l’uomo è uno psichiatra.
Il film è solo vagamente ispirato al libro. Stanley non ci ha nemmeno permesso di leggere il libro. Era meglio non farlo.
Parliamo di Kubrick uomo, allora. Come è arrivato a conoscerti e a proporti questo ruolo?
Nel corso degli anni, Tom aveva scambiato dei fax con Stanley. Poi lui ci ha inviato un fax e una sceneggiatura, ma separatamente. Io rimasi sbalordita. Mi disse: “Ti voglio nel mio film. Ti prego, interpreta Alice”, che è il nome del mio personaggio.
E tu cosa hai risposto?
Ho detto: “Non ho nemmeno bisogno di leggere il copione [ride]. Anche se il mio personaggio ha una sola battuta, o una sola parola, interpreterò Alice”. Sia io che Tom abbiamo accettato pensando: “Vogliamo dedicare la nostra vita alla realizzazione di questo film”.
Come reagì Kubrick?
Se lo aspettava! [Ride] Non si sarebbe accontentato di niente di meno. Si aspetta una dedizione totale, e noi eravamo disposti a dargliela.
Quando l’hai incontrato per la prima volta?
Nella sua cucina [fuori Londra]. Abbiamo cenato: Tom, io, Stanley e sua moglie Christiane. E ho pensato: “Quando mi vedrà recitare, penserà che sono terribile e vorrà sbarazzarsi di me”. Parte del processo di prova per me è superare la timidezza di avere tutta la troupe davanti. È una cosa strana, come attrice, da combattere.
Di cosa avete parlato alla cena?
Di tutto, tranne che di recitazione e di film: computer, politica, filosofia.
Com’è Christiane Kubrick?
Una delle persone più calorose che si possano incontrare. Mi ha mostrato tutti i suoi quadri. È un’artista di grande talento.
È difficile pensare al Kubrick padre di famiglia.
Una famiglia molto unita. Era un buon padre e un buon marito, oltre che un grande regista.
Hai lasciato quella cena con la sensazione di aver instaurato una certa intimità con lui?
No. Ho pensato: “Oddio, come faremo a conoscerci davvero?”. Ma io e Tom ce ne andammo comunque entusiasti della possibilità di lavorare con lui. Circa quattro mesi dopo ci siamo trasferiti in Inghilterra. Abbiamo girato per dieci mesi, ma siamo rimasti lì per tre anni [ride].
Kubrick era quel raro tipo di regista che poteva “bloccare” attori come te e Tom per tre anni.
Il tempo è ciò che Stanley ha comprato. Lavorava sempre e non sprecava mai denaro. Finì il film restando al di sotto del budget.
Kubrick aveva la reputazione di considerare gli attori come la parte meno importante del processo.
Io e Tom avevamo un rapporto diverso con lui rispetto alla maggior parte degli attori: di solito si trattava di attori che si opponevano a lui e al suo modo di lavorare. Ma noi non abbiamo opposto resistenza. Non credo che stesse cercando di danneggiarci psicologicamente. Nessuno veniva sfruttato: questo non è Stanley Kubrick.
Ma poteva essere molto esigente?
Era esigente. Molto esigente.
In che senso?
Voleva il tuo tempo, la tua concentrazione. Voleva… te. Voleva che tu gli rivelassi i tuoi pensieri, che fossi sempre presente per lui. Io ci sono solo per metà del film, quindi una volta sono andata per una settimana in Australia, e quando sono tornata mi ha guardato e ha detto, in modo molto ironico: “Donna infedele” [ride]. Aveva un grande senso dell’umorismo.
Sembra piuttosto dispotico.
Non era dispotico, voleva che tu ti dedicassi completamente a lui.
Si comportava allo stesso modo con Tom?
Dato che Tom è presente in ogni scena del film, avevano un rapporto diverso, molto privato. Stanley capiva davvero Tom. E me. Diceva che Tom era un ottovolante e io un purosangue. Quando non lavoravo, andavo a sedermi nell’ufficio di Stanley per ore: bussavo alla sua porta e passavo il tempo bevendo caffè, leggendo libri, parlando con lui. Gli piaceva molto. Sul set si indossa un accappatoio, e io andavo in giro con il mio. Anche quando non lavoravo, indossavo l’accappatoio e andavo a sedermi sul pavimento del suo ufficio. Mi piaceva stare con lui. Ci dirigeva anche in modo molto diverso. A me ha lasciato più libertà. Lui e Tom lavoravano a stretto contatto sul personaggio, mentre a me diceva: “Puoi improvvisare”. Amava vedere certi attori improvvisare, e poi andava a scrivere. Con Peter Sellers in Lolita aveva due macchina da presa accese, perché quelle scene le avrebbe girate solo un paio di volte. Era così anche con me. Diceva: “Ora puoi recitare”. E io lo facevo.
Kubrick era noto per le riprese infinite.
Stanley provava molto. L’illuminazione, l’inquadratura, la ricerca del punto d’incontro esatto tra gli attori erano tutte cose molto importanti per lui. A volte faceva dieci take, a volte molte di più. Ma io gliene chiedevo sempre un’altra. Mi diceva: “Nicole, sei l’unica attrice con cui ho lavorato che mi ha chiesto un’altra ripresa”.
Kubrick era una figura paterna o un amico?
Entrambe le cose. Stanley era così diverso da come tutti lo percepivano. Era così premuroso nei miei confronti. Delicato.
Perché Kubrick era così diverso dagli altri?
Amavo la sua fede profonda nel potere del cinema. È quello che ha fatto nella sua vita. Viveva nella sua casa, faceva i suoi film, non seguiva le regole. Aveva settant’anni e non era ancora diventato cinico nei confronti del processo [di realizzazione di un film], anche se il suo lavoro poteva avere un punto di vista cinico. La sua fiducia nell’umanità invece non era forte: pensava che ci stessimo distruggendo da soli.
Perché?
Semplicemente per la natura umana. Stanley era un uomo abbastanza morale, anche se non giudicante. Aveva un certo cinismo ma anche tanta speranza, un attaccamento emotivo, in particolare agli animali. Gatti e cani. Veniva sempre al lavoro con peli di gatto addosso [ride]. Uno dei suoi gatti è morto mentre stavamo girando, e lui ne è rimasto molto turbato.
Sembrava malato durante le riprese?
No. Per questo la sua morte è stata uno shock terribile. La sera prima di morire ha lasciato un messaggio che diceva: “Nicole, chiamami. Non vedo l’ora di parlarti”. Avevamo visto il film sei giorni prima, e io ero rimasta seduta a bocca aperta. Ho voluto rivederlo subito. Era un’esperienza ipnotizzante. Ma avevo perso la voce e, sebbene avessi scritto a Stanley, non potevamo sentirci al telefono. Di solito gli parlavo tre o quattro volte alla settimana. Tom gli aveva parlato, e questo mi aveva colpito molto perché io non potevo farlo. Stanley era così felice che il film ci fosse piaciuto. Quando finalmente mi tornò la voce, lo chiamai. Avevo appena finito di cucinare per i bambini – croissant al cioccolato, che non farò mai più – e ho ricevuto una telefonata da Leon, l’assistente di Stanley, che mi diceva che era morto.
Tom era con te quando hai saputo della morte di Kubrick?
Lui era in Australia, io a New York. Lo chiamai immediatamente e continuammo a dire “No, no” e a piangere, piangere, piangere. Non riuscivo a smettere di piangere. Per giorni. Non mi era mai successo prima. L’immaginazione di Stanley è una tale perdita per il mondo. Ero così vicina a lui. Non posso credere che non ci sia più. Mi piaceva pensare a lui in Inghilterra, immaginare quello che stava facendo…
Come hai superato il primo giorno?
Quella sera sono andata alla Cattedrale di San Patrizio [a New York], da sola. Volevo accendere una candela per Stanley. Ho trascorso un po’ di tempo lì. Mi sono sentita confortata.
Quando hai visto Tom?
È arrivato il giorno dopo. Aveva preso un aereo dall’Australia a New York, il che significa ventiquattro ore, per venirmi a prendere e portarmi a Londra. Non sarei stata in grado di andarci da sola. Ero distrutta. Continuavo a piangere. Così abbiamo volato insieme. Stanley odiava i funerali [ride], sono sorpresa che non si sia tirato fuori dal suo. Ma l’hanno fatto per Christiane e le ragazze. Io l’ho trovato piuttosto traumatico. Sono andata al funerale della principessa Diana – Tom la conosceva, io l’avevo incontrata solo qualche volta – ma non ero mai stata a un funerale così intimo e privato.
Cosa ti ha insegnato Kubrick su te stessa?
È sempre stato incoraggiante nei miei confronti come attrice e come donna. Lo shock per me e Tom è che nessuno ci conosceva come Stanley. Nemmeno mia madre e mio padre. Nessuno. Siamo stati tre anni solo noi tre. Lui ci conosceva davvero.
Avete dovuto dirgli tutto della vostra relazione?
Sì, ma lui vedeva anche le macchinazioni, il modo in cui agivamo l’uno con l’altra. Mi aiutava. Mi diceva: “Vieni qui. Sono stato sposato per tutti questi anni e non puoi dire questo a un uomo”. Era nostro amico. Così profondo, intenso. Tom preparava pasta e insalata e Stanley pranzava con noi ogni giorno. Non era mai stato così vicino agli attori prima di allora. L’ha detto lui stesso. Mi ha scritto un bellissimo biglietto.
È la prima volta che affronti un lutto personale?
Quando mia madre ha avuto il cancro, avevo diciotto anni e ho provato quel dolore: “Sono sicura che non ce la farà”. Un peso costante sulle spalle. Con Stanley è stato così brusco. È stato come dire: “Ooh” [fa un sospiro profondo].
Di recente hai intentato una causa per diffamazione contro il tabloid Star per aver riportato che per Eyes Wide Shut è stato necessario assumere terapisti sessuali per insegnare a te e a Tom come fare l’amore davanti alla macchina da presa. Perché fare causa?
Perché non c’è un solo elemento di quella storia che sia vero. Non c’erano terapisti sessuali. Quello che è successo sullo schermo è accaduto perché noi tre abbiamo lavorato insieme, senza l’intervento di persone esterne. Abbiamo persino una dichiarazione legale dei due terapisti [citati], che affermano di non aver mai fatto nulla. D’ora in poi, Tom e io combatteremo. Andremo avanti con la causa.
Come pensi che la gente reagirà a Eyes Wide Shut?
Non mi interessa. Per noi si tratta di Stanley e di uno dei momenti più felici della nostra vita. Lui non c’è più ed era il nostro leader, sul set e fuori. In un certo senso, il film non è nostro: è suo, e non è più con noi. Per questo ci stiamo agitando.
Kidman e io sfrecciamo lungo un viale del centro di Sydney, smarrite e sorridenti. Abbiamo lasciato Bondi Beach per raggiungere il mio hotel in Kent Street, una destinazione che però non riusciamo a raggiungere. Prima di abbandonare la spiaggia ci siamo fermate all’Aquabar, un caffè grande come un francobollo che serve, probabilmente, il miglior porridge (con banane) esistente. Il proprietario, un amico dei Cruise, ospita spesso la coppia, che porta i figli a giocare sulla stessa sabbia dove è cresciuta la madre. Quando siamo entrati, gli altri aficionados della colazione hanno a malapena notato la presenza di una delle donne più riconoscibili al mondo. Dopo che Kidman si è abbuffata di porridge, toast e cappuccino, siamo salite sulla sua auto e ci siamo diretti verso la città.
Pochi minuti dopo aver raggiunto Kent Street, Kidman e io ci spostiamo nel bar dell’hotel, ormai deserto. Sono le 9:30 e stiamo già parlando da quasi quattro ore, il che ci fa sorridere. Il mondo si è appena svegliato e noi siamo pronte per la nostra terza colazione (anche lei ha fatto uno spuntino prima dell’alba) e per altre chiacchiere.
Sei nata alle Hawaii e sei tornata a Sydney all’età di quattro anni. Nel frattempo, la tua famiglia ha vissuto a Washington, dove tuo padre ha studiato presso il National Institute of Health. Ricordi di aver vissuto lì?
Sì, mi ricordo. Quando avevo due anni, i miei genitori mi portarono a una marcia di protesta contro la guerra in Vietnam. Erano coinvolti in molti movimenti alla fine degli anni Sessanta. Entrambi avevano una grande coscienza sociale. Mi portavano con loro alle manifestazioni.
Come si sono conosciuti?
Con un appuntamento al buio. Avevano entrambi ventun anni. Trentotto anni dopo sono ancora sposati. Quindi l’appuntamento al buio ha funzionato. È bello avere dei genitori ancora sposati, perché ti fa credere nell’istituzione del matrimonio. I miei genitori sono grandi amici e si divertono ancora moltissimo insieme. Il loro sense of humour è così vivo. Mia madre aveva la mia stessa età quando si è sposata.
Ma hanno avuto momenti difficili. Tua madre non se n’è andata una volta e poi è tornata?
Sì. Ma non c’era nessuna finzione. Non sorridevano davanti a noi per poi urlare dietro la porta chiusa della loro camera. Se litigavano, lo sapevi.
Qual è il ricordo più vivido che hai dei tuoi genitori quand’eri piccola?
Che avevano opinioni forti ed erano molto divertenti. Posso dire loro qualsiasi cosa. Da quando avevo undici anni li chiamo Janelle e Antony, non mamma e papà. A mia madre dava fastidio, ma le piaceva anche. Pensavo che fosse più figo andare a scuola e dire: “Janelle, hai rotto!” [ride]. Sto aspettando che succeda con Bella. La porto a scuola, cerco di darle un bacio sulla guancia e lei dice: “Mamma, è ora di andare”, e mi spinge fuori dall’aula. Ha solo sei anni e la metto già in imbarazzo.
Sei stata una bambina ribelle?
Sempre, anche se in realtà mi sedevo nella mia stanza e scrivevo un diario, pagine e pagine in cui mi lamentavo di tutto… che non mi adattavo alla cultura di qui, che non ero una tipa da spiaggia, che amavo leggere e recitare. Sentivo le risate dei vicini, che giocavano in piscina, e pensavo: “Vorrei che mi invitassero”, ma non lo facevano mai. Mi sono sempre sentita come se stesse succedendo qualcosa e io non ne facessi parte. La classica outsider.
Sentirsi rifiutati è stato doloroso?
Lo era, ma leggevo un libro e fuggivo dentro quelle storie. Oppure andavo alla scuola di teatro e interpretavo Gwendolyn in Spring Awakening.
Sei cresciuta andando a teatro?
Sì. È uno dei motivi per cui sono diventata un’attrice. Mia madre ci portava a vedere l’opera, ad ascoltare la musica classica. Faccio la stessa cosa con Bella. In Australia, all’età di quattro anni, mi portavano a vedere un sacco di spettacoli. Mi piaceva il suono del pubblico che rideva e batteva le mani. La partecipazione del pubblico mi entusiasmava.
E i ragazzi? Hai iniziato a frequentarti a quindici anni. Chi è stato il tuo primo ragazzo?
Douglas.
E com’era Doug?
Un surfista e un falegname. Uomini che lavorano con le mani. Le mani sono molto sexy. Mani forti. Braccia. Puoi innamorarti delle mani di un uomo.
Non mi sono mai concentrata sulle mani di Tom.
Faresti meglio a stare attenta [ride]. Ho un feticismo delle mani. Amo le mani forti che sanno essere gentili. Ooooooh. Le mani delle ragazze non mi interessano. Posso apprezzare la loro bellezza, ma non mi interessa. Le mani degli uomini che suonano la chitarra?
Eric Clapton che accarezza la sua chitarra.
Quella chitarra… oddio, che caldo!
Torniamo a Douglas. Quanto tempo è durata?
Circa sei mesi.
Uscivi da sola con lui o avevate una compagnia?
I miei genitori erano piuttosto aperti. A Douglas era permesso di stare a casa mia.
Anche a dormire?
Sì. Mia madre aveva paura dei giovani che bevono e guidano, preferiva di gran lunga che fossi al sicuro a casa.
Qual è stata la reazione di Doug?
Non dormiva nel mio letto: ne aveva uno separato nella mia stanza, come quando ospitavi un’amica. Ma io continuavo a sussurrare: “Vieni nel letto con me”.
Quindi dormivate insieme…
[Ride] Non entreremo nei dettagli!
Avrai una mentalità altrettanto aperta con Bella?
Considerate le motivazioni di mia madre, il pericolo del bere da giovani… penso di sì.
Chi è stato il tuo fidanzato dopo Doug?
Rick. L’ho incontrato quando avevo diciassette anni, ma ho avuto un altro ragazzo tra Doug e Rick.
Sembra che tu abbia avuto una vita sentimentale molto intensa.
Non proprio [ride]. Diciamo che non sono mai stata sola.
I tuoi genitori ti hanno dato molta responsabilità morale fin dall’inizio.
Sì. Mi hanno anche insegnato il rispetto per quello che ero, mi hanno detto di non mettermi mai in una posizione in cui mi sarei sentita compromessa come ragazza.
Dato che sei così bella, sono sicura che i ragazzi fossero molto interessati a te.
Non ero affatto bella. Ero ripugnante: goffa, puzzolente. Avevo le gambe molto, molto lunghe e poco altro. Mi stupivo se qualcuno mi guardava. Ricordo un ragazzo che disse: “Non voglio ballare con lei!”, perché ero l’ultima rimasta. È stato così umiliante!
L’immagine sessuale di una donna viene spesso plasmata dalla relazione con suo padre. La mia ipotesi è che tuo padre, un maratoneta alto un metro e ottanta che faceva fare flessioni a te e a tua sorella ogni mattina, ti adorasse davvero.
Sì, ma non in modo così tenero. Voglio molto bene a mio padre, ho sempre avuto un buon rapporto con lui: forse è per questo che mi piacciono gli uomini.
Tua madre invece ti faceva distribuire opuscoli alle manifestazioni femministe.
Volevo disperatamente compiacerla. Anche se mi faceva arrabbiare, la ammiravo.
Perché?
Si è sempre comportata con tanta dignità e grazia. È affettuosa, altruista.
Quindi eri più vicina a tua madre che a tuo padre?
Sì, ma solo perché lui lavorava. Basta un buon genitore che ti ami. Se ne ottieni due, sei fortunato. Puoi sopravvivere anche senza nulla di tutto ciò, ma è molto più difficile. Se tua madre o tuo padre ti danno amore incondizionato, anche se poi c’è qualche attrito sai di essere stato amato. Non esiste dono più grande per un bambino.
Hai detto che a tua madre è stato diagnosticato un cancro al seno quando avevi diciott’anni. Come ti ha influenzato?
È una cosa che fa crollare tutte le tue fondamenta. Ha trovato un nodulo al seno. Ricordo perfettamente quel giorno. Stavo lavorando a un film [Windrider] e lei mi ha chiamato dall’ospedale per darmi la notizia. Ho lasciato cadere il telefono e ho implorato i produttori di lasciarmi andare da lei. E loro hanno detto di no. Da lì è cominciato un anno d’inferno.
Era molto malata?
Sì. Ha subìto una lumpectomia, che all’epoca era una novità, poi la chemioterapia e le radiazioni. Pensavamo che sarebbe morta. Sono tornato a casa. Ricordo molto chiaramente tutto l’iter. Ti imbatti in qualcosa del genere e dici: “Ok, non andrà tutto come desideri”. Per questo ora è così importante esserci se i miei figli o mio marito hanno davvero bisogno di me. Tutto il resto impallidisce al confronto.
I tuoi genitori ti hanno anche trasmesso l’amore per lo studio, che non hai perso. Ad esempio, ora stai studiando il russo.
Sì, e io e Tom abbiamo studiato arte greca insieme. L’ho sicuramente preso dai miei genitori. Quando i miei genitori seppero, ad esempio, che avrei girato il film di Kubrick, si iscrissero a un seminario cinematografico di due giorni su di lui. Trenta persone in classe. Studiavano Kubrick per dodici ore al giorno. Hanno visto tutti i suoi film. Ogni giorno si portavano pranzo al sacco. Mi dissero: “Hai visto il primo film che Stanley ha girato? Quello che non gli piaceva?” E io: “Il bacio dell’assassino?” E loro: “No, Paura e desiderio”. E poi lo hanno incontrato. Siamo andati tutti da Stanley.
Pensi che il matrimonio tuo e di Tom potrà durare trentotto anni, come quello dei tuoi genitori?
Sarei devastata se non succedesse.
Cosa tiene insieme te e Tom?
Ci piace la compagnia reciproca. Abbiamo i nostri tempi, ma resteremo insieme. Lo adoro.
Più di quando lo hai sposato?
Oh, sì. Perché adesso lo conosco. Quando l’ho sposato non lo conoscevo così bene. Ma la felicità non è una costante. Va e viene. È qualcosa su cui lavori. Siamo persone normali in una relazione, che cercano di farla funzionare. Il fatto che alcune persone dubitino che sia così ti fa semplicemente incazzare.
L’anno scorso avete fatto causa al Daily Express per un articolo secondo cui Tom era gay. Perché questa scelta?
Per anni abbiamo fatto come dice la Bibbia e abbiamo porto l’altra guancia. Ma con i bambini che devono rispondere alle domande dei compagni nel cortile della scuola, devi prendere una posizione. Abbiamo detto: “Basta”. Tutti dicevano: “Perché non fate causa? Deve essere vero, altrimenti la fareste”. Quindi alla fine abbiamo fatto causa e abbiamo vinto. Tutto torna a ciò che mi ha insegnato mio padre: di’ sempre quello che pensi.
Tu e Tom avete dieci anni di storia in comune: è tanto.
Oh, è così tanto! Tom e io abbiamo un grande bisogno l’uno dell’altra. È bello avere bisogno di qualcuno, anche se può renderti più vulnerabile. Ora c’è abbiamo un senso di noi come coppia e come individui. Tom ama pilotare gli aerei; a me piace studiare l’italiano. Lui ama scendere da una montagna con gli sci a 200 chilometri all’ora; anche a me piace sciare, ma non è la mia passione. Abbiamo cose diverse che amiamo e poi ci riuniamo su cose che entrambi amiamo fare. Ad esempio, ci piace fare escursioni insieme. Escursioni selvagge e pericolose.
Perché vi attira?
Perché è allora che parliamo. Hai uno zaino addosso e ti metti a parlare. Abbiamo fatto trekking in tutto il mondo. Trascorri del tempo faccia a faccia con qualcuno che ti piace davvero e quell’esperienza ti avvicina molto, perché non fai altro che camminare tutto il giorno. E parlare – o non parlare. E mangiare e dormire. Adoro le montagne, i prati, le nuvole e gli odori della natura: l’aria salata, guardare il sole sorgere sull’oceano. Mi cambia l’umore. Se sono depressa, mi calma, perché ti fa sentire molto piccola in un mondo molto grande. Ti dà prospettiva, ti fa capire che non sei il centro dell’universo.
Cosa pensi di aver portato nella vita di Tom?
Lui dirà che l’ho complicata [ride]. Mi chiama l’australiana selvaggia. Mi imbarazza dirlo, ma sono una specie di terremoto. E poi spero di aver portato il mio umorismo.
In che modo la realizzazione di Eyes Wide Shut ha cambiato il vostro rapporto?
C’è un atteggiamento molto “c’est la vie” nella nostra relazione, adesso: “Questa è la vita. Ce la faremo.” E anche più pragmatismo.
Prima non c’era?
Diciamo che si è sviluppato. Non so se è a causa del film o se siamo invecchiati o se abbiamo passato così tante cose insieme: morti, persone che registrano conversazioni telefoniche di noi che presumibilmente litigavamo… Prendere una frase da una conversazione e una frase da un’altra e metterle insieme: Dio, è così invasivo. Ci sono altre cose che non ti dirò, ma che ci portano a dire: “Siamo ancora qui, e ancora insieme”. Tom è un uomo molto gentile, e la gentilezza è una cosa molto importante. Non ha un osso cattivo nel suo corpo. Puoi sempre fare appello al suo cuore.
La maggior parte delle ragazze poco più che ventenni non avrebbe apprezzato l’importanza della gentilezza. A quell’età la maggior parte delle ragazze adora ancora gli uomini pericolosi.
Be’, Tom era pericoloso per quello che era. Se litigassimo potrebbe dirmi qualcosa, ma non ha questo…
… istinto omicida?
No. Il che è molto insolito per un uomo in quella posizione. Ha desiderio, ambizione, ma per la vita privata farà sempre un passo indietro.
Penso che le differenze culturali che hai portato tu nella coppia possano aiutare.
Be’, penso che lui sarebbe adattissimo a una ragazza americana, atletica. Gli nomino continuamente certe ragazze americane e gli dico: “Ragazzi, stareste benissimo insieme”. E lui risponde: “Tranquilla, è con te che voglio stare”.
A Tom sembra piacere essere sposato.
Ama essere sposato. Gli piace il suo rifugio, il suo nido, come lo chiamo io. Ma Tom ama tutte le donne. Ci apprezza molto [ride]. Gli dico sempre: “Quanto ti piace flirtare”. Ma è una cosa importante da coltivare. Devi incoraggiare la sessualità nel tuo partner. Finché ti fidi della persona, non c’è bisogno di sentirti minacciata. Tom una volta ha detto che prima si è innamorato di me, e poi si è fidato di me. Prima la lussuria, poi la fiducia! [Ride]
Mi sembra un tipo molto protettivo.
Tom è molto mascolino in questo senso. Si prendeva cura di sua madre e delle sue tre sorelle: avrebbe litigato, se qualcuno avesse detto qualcosa su di loro.
La gente dimentica che Tom ha avuto un’infanzia così difficile.
È vero. Erano quattro figli con un padre che li ha abbandonati, Tom l’unico maschio della famiglia, senza soldi. Ce l’ha fatta davvero da solo. Hanno lottato per anni, anche per portare il cibo in tavola. È stato orribile. Aveva una madre che lottava per tenerli insieme, facendo due o tre lavori. È una donna speciale, molto affettuosa, religiosa, cattolica, con un grande senso di sé. Lo stesso le sue sorelle. Le dico sempre: “Mary Lee, non so come hai fatto”. A volte, quando sono con lui, mi sento ancora una outsider, perché Tom e sue sorelle ne hanno passate così tante. Puoi sentire il loro legame così forte. Spero che Tom, Connor, Bella e io avremo la stessa intensità di amore.
I tuoi figli però sono nati nel privilegio.
Sì, ma dovranno comunque fare dei lavoretti per guadagnare dei soldi. Vedono un giocattolo e noi diciamo: “Costa molto. Hai abbastanza soldi?”
Sanno cosa fate?
I compagni si avvicinano a Bella a scuola e dicono: “Tuo papà è Tom Cruise”, ed è così strano quando lei parla di noi in terza persona. E io dico: “No, siamo mamma e papà e guarda caso siamo attori”. Lei, ovviamente, vuole già diventare un’attrice.
Hanno visto i vostri film?
No. Ci vedono sulle riviste e dicono: “Guardate come siete belli”, e basta.
Com’è Bella?
Per me è la bambina più bella che tu abbia mai visto. Non riesco a capire perché le persone non svengono per strada [ride]. Di recente ha detto una cosa così imbarazzante, così scortese. Eravamo in una macchina a Vienna per un tour promozionale. E lei dice all’autista: “La mia mamma ha una vagina”. Io dico: “Sì, va bene, ma non ne parliamo adesso”. E lei aggiunge: “C’è del pelo sopra. Alcune vagine non hanno i peli, altre sì”. L’autista cominciò a ridere. Io volevo solo morire. Un’altra volta con la mamma di un loro amichetto stavamo parlando dell’attrazione dei bambini per i genitali. Connor era seduto con noi. Ha sempre delle femmine intorno a lui – mia sorella, sua sorella, la tata – e fa: “Be’, sono l’unico pene a questo tavolo”. Per lui era semplicemente così: sei vagine e un pene a tavola.
Descrivi Connor.
È irresistibile. Può battere le palpebre e ottenere ciò che vuole da chiunque. E lo sa. Fa quasi paura.
Entrambi i tuoi figli sono adottati. In che modo ciò influisce su di loro e su di te?
Con l’adozione noi puoi dire: “Vedo i miei tratti in te”. È più la scoperta di quali sono le loro personalità. Ne parliamo con loro tutto il tempo, e loro dicono: “Sono adottato, quindi sono speciale”. L’adozione è una costante nella nostra famiglia. La sorella di mia madre è stata adottata.
Connor è mulatto, ed è stata una tua scelta specifica.
Non posso parlarne, perché non voglio che lui ne legga un giorno. Ma sarà interessante sentirlo parlare di com’è stato essere cresciuto da noi. Abbiamo visto questo bambino che, date le circostanze, era destinato a noi. Non potevo immaginare che Connor fosse di qualcun altro. Lui è Connor. Il Connor che conosco e che amo perché gli cambio i pannolini ogni giorno.
La maternità ti ha trasformata?
Enormemente. Per un po’ sei totalmente ossessionata da tuo figlio, ed escludi tutto il resto. Ricordo che Tom venne da me e mi disse: “E io? E noi?”. Devi trovare un modo per prenderti cura in qualche modo del tuo bambino e di tuo marito.
Come si fa?
Sto ancora capendo [ride]. Adoro recitare, ma è molto più divertente portare i bambini in spiaggia o allo zoo.
Tom la vive nello stesso modo?
Sì. Credimi, tra volare sugli aerei e prendersi cura dei suoi figli e della nostra famiglia insieme, sceglierebbe di sicuro la seconda. E anche la recitazione gli mancherebbe, ma è una cosa che fa da molto tempo.
Avrai altri figli?
Non lo so. Due sono tanti. Ti danno già tante preoccupazioni. Adesso sono a scuola e sto pensando: “Ho messo una mela nello zaino di Connor stamattina?”. Voglio che pranzino come si deve perché io non lo facevo mai. Mio padre preparava dei panini e non li farciva mai bene: solo pezzi di burro e vegemite. E io speravo sempre in qualcosa di più. Mi piace che i miei figli mangino qualcosa a pranzo e dicano: “Qualcuno ha pensato a cosa avrei mangiato oggi”.
Ripensandoci oggi, quando hai sposato Tom Cruise hai capito che avresti rinunciato al tuo anonimato?
No. Non avevo realizzato la portata della sua fama. Mi sono innamorata di quell’uomo, stop. Tom veniva a prendermi con la sua macchina e facevamo dei giri, ascoltavamo musica e parlavamo. Era davvero il ragazzo della porta accanto. Ho pensato: “Posso farcela”. Poi, un anno dopo, ho pensato: “Accidenti, è dura”. Ho rinunciato al mio Paese, mi sono trasferita negli Stati Uniti, non potevo vedere i miei amici perché eravamo sempre in viaggio. Ho rinunciato a molto di quello che avevo per stare con lui, ma perché volevo stare con lui.
Cos’è successo quando hai incontrato Tom per la prima volta?
Mi ha tolto il fiato. Non so cosa fosse: reazione chimica? Difficile da definire, difficile resistere.
Ma era sposato con Mimi Rogers.
Sì, quindi ho detto: “È off limits“. E anch’io avevo una relazione.
Quindi è stato complicato?
Be’, non proprio, perché si separò poche settimane dopo. Il loro matrimonio non stava funzionando.
Hai mai incontrato Mimi [Rogers, la prima moglie di Cruise, ndt]?
L’ho incontrata circa quattro volte, ma non allora, perché si stavano separando. Volevo davvero che si prendesse cura di Mimi, e lui era molto riservato al riguardo. Si sono dati molto a vicenda. So che lei non ha rimpianti. Adesso è molto felice, ha una relazione e un bambino.
Qual è stata la reazione dei tuoi genitori nei confronti di Tom?
Sono rimasti con i piedi per terra, anche se erano un po’ sospettosi. Ma poi mia madre venne e rimase con noi a New York per due settimane. E quando ha visto me e Tom insieme, ha detto che eravamo fatti l’uno per l’altra. Ha detto: “Avete trovato l’uno il migliore amico dell’altra”. Ma ho avuto la fortuna di essere anche attratta dal mio migliore amico. Non vorrei sposare il mio migliore amico se ne non fossi attratta. Ci vuole un po’ di chimica…
La fama di Tom è stata un problema la prima volta che lo hai portato a casa?
È stato spaventoso. Avevo ceduto il mio appartamento a mia sorella, quindi dovevamo alloggiare in un hotel. Gli avevo detto: “Non ci sono paparazzi in Australia, andrà tutto bene”. Invece eravamo seguiti ovunque. Mi sono seduta nella nostra camera d’albergo piangendo: “Questa non è la mia vita, vero? Non poter camminare per strada, mostrarti la mia città e non vederla dalla finestra di una camera d’albergo?”
Qual è stata la reazione di Tom?
Era leggermente imbarazzato. Mi diceva: “Usciamo, va bene”. Ma io rispondevo: “No, non possiamo, perché tutti ti seguiranno”. Ma ora io e Tom possiamo passeggiare per Bondi Beach senza che nessuno ci disturbi.
Perché? Ora sei famosissima anche tu.
Ma non ha più quel tipo di fama adesso. Tom ancora molto famoso, ma è in giro da molto tempo, e si è molto rilassato. Sabato andremo a un grande barbecue a scuola. Ci sarà lo spiedo, l’albero della cuccagna. Bella vuole davvero andare, quindi lo faremo. Ci siederemo con gli altri genitori e per nessuno sarà un problema. È quando sei scortese o pensi di essere migliore di chiunque altro che ti metti nei guai.
Sei chiaramente maturata nel corso degli anni.
Sì. Siamo cresciuti entrambi, siamo cambiati nelle nostre idee, in ciò in cui crediamo. Abbiamo opinioni opposte, ma ci concediamo reciprocamente spazio e tempo per noi stessi. Ma voglio ancora partire da sola con lui. Adoro stare da sola con lui. Mia mamma ci chiama cuccioli [ride]. Giochiamo e lottiamo, giochiamo e mangiamo. Poi dormiamo, mangiamo e giochiamo ancora. Siamo come cuccioli. Mi ucciderà per aver detto questo!
A Tom è sempre piaciuto che tu sia una tipa atletica.
Oh, sì. Prima che stessimo insieme, Tom mi ha visto giocare a tennis e, vedendo il mio servizio, ha detto: “Wow, mi piace questa ragazza!” [ride]. Non poteva credere con quanta forza potessi servire la palla. Ne vado fiera.
E il paracadutismo: quante donne lo farebbero, persino per Tom Cruise?
Tom ama gli aerei. Per rilassarsi, fa l’otto cubano [volando dritto verso terra e tirandosi su all’ultimo minuto]. A volte gli dico: “Sembri un po’ stressato. Vai a volare con il tuo aereo”. Quando facevamo paracadutismo, facevo delle giravolte sull’ala e saltavo giù.
Ti sei buttata dall’ala dell’aereo?
Sì. Stai sull’ala, ti tieni forte, e poi salti all’indietro. L’aereo continua ad andare e tu rimani nella tua “coreografia”, dritta nel tuo lancio in paracadute.
Non ti spaventa?
Certo, e questo è il punto. Ho paura di morire, ma fa parte della scarica di adrenalina. Tutto il tuo corpo resiste, dicendo: “No, no, no, non è giusto”, ma lo fai comunque. Sembra una roba da pazzi. Da quando abbiamo figli non lo faccio più.
Corri sempre rischi del genere?
No. Ma anche quando Tom guida a tutta velocità le sua auto da corsa e io sono sul sedile del passeggero, la cosa non mi spaventa. Strano.
Cosa ti spaventa?
Perdere qualcuno che amo. Il dolore emotivo. E di essere dipendente, di non avere una vita mia, anche se c’è qualcosa di così meraviglioso nell’abbandonarti a qualcun altro.
Cosa ti preoccupa della tua vita in famiglia?
Be’, io e Tom ci muoviamo spesso, ma ogni sera ci sediamo insieme allo stesso tavolo per cena. E la domenica facciamo sempre una grande cena con la nostra famiglia allargata. Amo cucinare e amo mangiare. Sono una persona diversa quando sono in cucina. Serena. Cucinare mi motiva. Ho un forte istinto materno, come mia madre. Da bambina, quando ero malata, lei era una specie di divinità, seduta accanto al letto, e mi portava un bellissimo porridge caldo con panna e zucchero di canna. E poi mi massaggiava. Adesso massaggio i miei figli con l’olio mentre guardano la Tv. Lo adorano.
La tua vita familiare sembra appagante. Ma nel tuo lavoro sembra che tu stia esplorando il lato più estremo della sessualità femminile.
A trent’anni hai la sensazione di chi sei. Sei più libera. Parli di più della tua sessualità con le tue amiche.
Come mai?
Perché non si tratta più di “andiamo in macchina e pomiciamo”. In una relazione a lungo termine, inizi ad affrontare le cose insieme e può far male, soprattutto quando dici: “Preferisco sapere tutto e fare questo viaggio insieme”. L’amore è complicato, affascinante, crea dipendenza.
Cos’è successo quando hai compiuto trent’anni?
Ho detto: ok, ho due figli e ho un marito. Ma ho ancora voglia di lavorare, ho ancora questo desiderio di esplorare altre personalità. Ed è proprio questo: esplorare le altre personalità, la mente umana.
L’esplorazione creativa della tua sessualità è sufficiente?
Per me lo è. Lo trovo davvero interessante, proprio come trovo il mio matrimonio interessante.
Un elemento convincente, almeno per il mondo esterno, è stato il tuo coinvolgimento in Scientology. Sei devota?
Ho ricevuto un’educazione cattolica. Quindi prego ancora. Mio padre ci portava a messa ogni domenica. Mia madre è diventata cattolica per sposarlo, ma ora è agnostica. Mio padre divenne ateo e mia sorella frequentò la scuola delle suore. La nostra famiglia è un miscuglio. Sono un sacco di religioni. Non è una cosa determinante. Quindi c’è un po’ di Scientology, di cattolicesimo, ebraismo e filosofie orientali. Prendo un po’ ciascuno: sono un ibrido.
Hai dovuto abbracciare Scientology per sposare Tom?
No. Non lo avrei mai sposato se fosse stato così. Ciò mi avrebbe costretto a fare qualcosa che non volevo fare. Lui e io ci permettiamo l’un l’altra di essere quello che siamo. Sono qualcuno che segue una filosofia? No, ma ci sono parti di Scientology che sono fantastiche.
Come gestisci la tua celebrità?
Mi vergogno di essere famosa. Sul set di un film odio l’ostentazione: non voglio la roulotte più grande. Odio se qualcuno dice: “Passa davanti alla fila”. Penso che tutti diranno: “Chi pensa di essere?”. Perché a meno che tu non sia Nelson Mandela, a meno che tu non abbia fatto qualcosa di attivo nel mondo per cambiarlo, non meriti un’attenzione speciale.
Si potrebbe sostenere che la tua arte cambia il mondo.
Non le do tutto questo peso. La sminuisco in un certo senso, mentre Stanley non l’avrebbe – e io non dovrei – mai fatto. Ma siamo onesti, non so scrivere come George Eliot o Dylan Thomas o Coleridge. So recitare, e. non devi avere del genio per questo.
Dove ti vedi fra molti anni?
[Sorride] A vivere in Toscana in una fattoria, con tanti figli e nipoti che corrono in giro. Una grande cucina. Vicino a Firenze. [Pausa] Ma poi mi piace anche la vita di città. Poter uscire a mezzanotte, bere margarita, ballare un po’ di salsa.
Tu e Tom potete farlo senza essere disturbati?
Sì. Ieri abbiamo fatto una lezione di ballo: jive, stile anni Cinquanta. Piroette e cose del genere. E anche un po’ di mambo. È un’ottima terapia. Impara a ballare il mambo. È sexy e divertente. Prendi qualche lezione di ballo, ascolta musica, muovi il tuo corpo insieme al partner. Questo è il mio consiglio per un matrimonio felice [ride]. Tornare alle cose semplici. Tenersi per mano camminando per strada. O mettersi “a cucchiaio” quando sei a letto [ride]. Il cucchiaio può renderti molto felice.
Sembra che tu e Tom abbiate un grande progetto di vita insieme.
Lo abbiamo. Ho sposato un uomo che amo e sono riamata. Allora qual è la tua previsione: io e Tom diventeremo due maratoneti dell’amore?
Ci scommetterei.
[Si avvicina e mi prende la mano] Spero che tu abbia ragione. Spero che tu sia una veggente.