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Oltre la bellezza e la normalità: la storia di Veronica Yoko Plebani nel docu-film ‘Corpo a corpo’

Presentato ad Alice nella Città 2021, il progetto di Maria Iovine segue la vita e l’esperienza paralimpica a Tokyo dell’atleta che ha vinto il bronzo nel Triathlon. Offrendo un punto di vista del tutto nuovo sul tema

Foto: press

Per due anni la regista Maria Iovine ha seguito Veronica Yoko Plebani nella preparazione alle Paralimpiadi di Tokyo 2020, dove l’atleta ha vinto la medaglia di bronzo nel Triathlon. Da questa avventura, complicata dalla pandemia e dal rinvio delle Paralimpiadi al 2021, è nato il documentario Corpo a corpo, in concorso per la sezione Panorama Italia ad Alice nella Città 2021. Dalla storia emerge uno sguardo laterale, che impone di guardare oltre i successi sportivi e le difficoltà personali dell’atleta bresciana, colpita da meningite fulminante a 15 anni. “Corpo a corpo” contiene anche quello che non si vede: il rapporto tra due donne che hanno deciso di raccontare e raccontarsi attraverso lo sport e il cinema, un tentativo di superare i concetti di normalità, bellezza e disabilità.

Il percorso di Iovine e Yoko Plebani inizia il 10 agosto 2019, a Livigno. «Al nord ho trovato tre gradi, e a Roma faceva caldissimo! Questo dimostra quanto ci tenessi a fare questo lavoro», racconta la regista. «Ho chiesto di conoscere prima Veronica perché la cosa fondamentale per me non era raccontare una sportiva o una ragazza della sua età. Veronica mi ha detto: “Dimmi solo che non facciamo il solito documentario sportivo in cui io vinco tutto”. Da lì ho capito che era la persona giusta e potevamo fare un percorso insieme». «Sì, infatti le ho detto da subito che volevo essere assegnata come co-regista», scherza l’atleta. Dal racconto comune emergono anche due personalità fortissime e una connessione mentale, che ha come campo comune il femminismo: «Abbiamo condiviso tutto. Alcune cose tecniche sono state “imposte” ma si trattava della sua vita, anche se il racconto è mio».

Perché Corpo a corpo è il titolo giusto per questo film?
Maria Iovine: All’inizio il documentario si chiamava Yoko e basta. Conoscendo Veronica mi sono resa conto che c’era quasi una dualità, non nel senso di un conflitto, ma di come Veronica fosse un’atleta una ragazza, una studentessa e altre mille cose. C’è sempre questo confronto con il paradigma del corpo, che con lei ho scoperto essere inesistente. Io mi sono messa lì in un angolo e questa cosa l’ho osservata.
Veronica Yoko Plebani: Questo titolo rappresenta il percorso di due anni, che Maria ha voluto riprendere. Il documentario parla tanto di quello che succede al mio corpo e di come occupo lo spazio come atleta ma non solo. È molto importante il discorso della diversità dei corpi e vedere, speriamo che faccia bene vederlo anche sul grande schermo.

Tokyo 2020 è stato il vostro momento per ragioni diverse: Veronica ha vinto il bronzo nel Triathlon alle Paralimpiadi, Maria ha concluso il primo lungometraggio. Come l’avete vissuto?
MI: Quando ho letto la notizia che le Olimpiadi sarebbero state posticipate al 2021 l’ho presa malissimo.
VYP: Maria mi ha scritto: “Come va?”. Nessuno aveva il coraggio di parlarmi. È stato complicato perché non ci stavamo allenando in quel momento, sapere di dover posticipare di un anno è stato un sollievo perché non eravamo nelle condizioni migliori.
MI: In quella telefonata eravamo abbastanza spaesate e ci siamo messe a chiacchierare di altro.
VYP: Quello che conta è come siamo arrivati a Tokyo nel 2021, sono stati due anni lunghi di riprese e allenamenti. La gara è durata un’ora e un quarto, il tempo passato a prepararla è stato più importante anche se la medaglia è il traguardo di una vita. Penso si veda tutto questo anche dal film, Tokyo è il punto finale di un percorso molto lungo che è cambiato strada facendo.
MI: Ho fatto un film su Veronica che passa la maggior parte del tempo ad allenarsi e io non ho mai messo piede in una palestra. Eppure quest’estate il 27 agosto ero davanti alla tv, a tifare con lei con il cuore in gola. Ho documentato questi due anni che hanno portato a Tokyo e questa fatica l’ho vissuta nel rapporto con Veronica. La cosa bella da raccontare era tutto quello che avrebbe portato a Tokyo.

Il film mette in discussione tutti gli approcci predefiniti al corpo. Questo periodo sembra il momento giusto per le donne, per riappropriarsi dei loro corpi. Il nuovo femminismo ha dato la scossa: cosa dobbiamo migliorare?
VYP: Eliminare il problema. La discussione sul corpo e sulla bellezza non dovrebbe esserci. Va bene parlarne ora, ma con l’obiettivo che non ci sia più bisogno di far girare tutto attorno a quello. Dovremmo avere una scala di valori diversa. Noi che abbiamo il privilegio di poterne parlare è bene che lo facciamo in modo inclusivo, ma penso anche che sarebbe più giusto non parlarne e portare il discorso da altre parti. C’è questo vuoto da riempire, non per la questione in sé ma per le altre persone che non la vivono bene.
MI: Conoscendo Veronica ho capito che c’era un livello superiore: non c’è bisogno di parlare di accettazione. Per gli uomini non parliamo di accettazione dei corpi: gli uomini stanno nel mondo e sono sé stessi e vivono i loro corpi in totale libertà. Noi stiamo comunque a parlare di standard cui aderire o distaccarci. Parlarne in questo momento è fondamentale – altrimenti non ci avremmo fatto su un film – ma spero che dal documentario si riesca a percepire il passo vero: riuscire a non pensarci più, e io con Veronica questa cosa l’ho sperimentata.

Nel 2020 Veronica si è laureata in Sociologia della comunicazione con una tesi sui diritti delle donne nello sport. Che cosa hai scoperto?
VYP: Grandi cose brutte. La situazione in Italia è ancora tristissima, sia dal punto di vista legislativo che mediatico. Non si possono fare i contratti allo stesso modo né avere le stesse opportunità nel mondo sportivo. E poi a livello di comunicazione, dei disastri terribili. Nel campo femminile abbiamo raggiunto grandissimi successi, la narrazione però è raccontata come qualcosa di “particolare”, riferendosi al fatto che si tratti di donne e non di atlete prima di tutto. Facendo una ricerca sui vari titoli di giornale, sulle vincite delle atlete donne, non c’è un articolo che si riferisca al merito sportivo, ci si riferisce sempre alla vita privata. Poi c’è il discorso sul mondo paralimpico: i disabili sono il 15% della popolazione mondiale, come si può non riuscire a raccontare la disabilità in modo normale?
MI: Per me è assurdo che le atlete non possono essere professioniste. È chiaro che parlare di parità al lavoro, perché lo sport è un lavoro e dedicano la vita a questo. Ho vissuto con Veronica e ho visto con quanto impegno, quanta dedizione e lei è una dilettante per lo Stato. Il non riconoscimento delle donne come professioniste, anche in questo caso pone le donne come oggetto. E’ un discorso che nella vita sembra collaterale ma il racconto parte anche da questo.
VYP: È problematico non solo dal punto di vista personale ed economico, alla fine vieni vista come l’eccezione. Senza contratto non c’è prevenzione: ti fai male, rimani incinta e rischi di essere licenziata. Se queste cose non sono previste dalla legge poi non c’è protezione.

Ci raccontate una scena del film a cui siete particolarmente affezionate?
MI: Da montatrice sono riuscita a stupirmi, perché questo documentario ho deciso di non montarlo io perché sapevo quanto fosse prezioso lo sguardo di qualcun altro sul mio lavoro. Quando ho visto il girato mi sono sorpresa su tantissime scene. Una scena a cui tengo tantissimo – ed è un regalo che mi ha fatto Veronica – è la scena con sua madre. Il rapporto con la madre porta sempre con sé molto di più rispetto a quello che si vede dall’esterno.
VYP: E siamo riuscite anche ad uccidere il fonico, perché stava svenendo. Maria non voleva assolutamente fermare il flusso che era partito. Ascoltando Maria sono diventata romantica: tra le mie scene preferite c’è la mia prima corsa con le lamine sul mare, ero felice di correre al passo di Antonio e Ivan, la guida del ragazzo non vedente che stava correndo con me.

I vostri progetti per il futuro?
VYP: Sto facendo la magistrale in Comunicazione per la politica. Non voglio diventare giornalista, ma voglio rompere le palle ai giornalisti diciamo. Sicuramente vorrei finire questo secondo esame di magistrale, continuare ad allenarmi, poi ho scoperto in questi mesi che è divertente allenarsi prima di affrontare gli anni paralimpici che sono una grande fatica.
MI: Il mio primo obiettivo è andare in vacanza dopo la Festa di Roma. Mi sono quasi ritrovata a girare il documentario su Veronica e mi sono chiesta spesso: voglio fare la regista o la montatrice? La cosa che mi interessa fare è raccontare le donne e raccontare un mondo diverso, che includa le donne non più come una minoranza.

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