ATTENZIONE: questo articolo contiene spoiler sul quinto episodio della settima stagione di Black Mirror, disponibile su Netflix dal 10 aprile.
In Eulogy, uno degli ultimi episodi della settima stagione di Black Mirror, un uomo solo di nome Phillip (Paul Giamatti) viene a sapere che una sua vecchia fiamma è morta e che gli è stato chiesto di contribuire a un tipo di elogio funebre unico nel suo genere, in cui una guida AI (Patsy Ferran) trascina la sua coscienza in vecchie foto per estrarre i ricordi. Phillip afferma di non ricordare molto della donna, ma nel corso dell’episodio i suoi ricordi sfocati si fanno più nitidi e ammette a sé stesso di non aver mai smesso di amarla, ma che la sua stessa arroganza li ha tenuti separati.
Il creatore di Black Mirror, Charlie Brooker, aveva appena terminato la produzione di Eulogy quando morì suo padre. I paralleli tra la vita reale e la finzione erano diventati una specie di ossessione. «Mi sono trovato in una posizione insolita», racconta. «Avevamo appena terminato la lavorazione di questo episodio quando mi sono trovato a dover leggere un elogio funebre alla veglia di mio padre. Mi ha colpito il modo in cui stavamo raccogliendo le foto per una presentazione. Eravamo sulla stessa frequenza di quell’episodio».
Nella tradizione di episodi come San Junipero del 2016 (in cui due donne in una casa di riposo si innamorano quando le loro menti vengono caricate in una città digitale degli anni ’80), Eulogy non è così cupo come gli incubi distopici per i quali Black Mirror è diventata un riferimento collettivo. Ma è una bella riflessione sulla perdita, sulla memoria e, per certi versi, su come la tecnologia come l’intelligenza artificiale possa non essere così nefasta come sembra. Brooker e la sua co-sceneggiatrice, la drammaturga Ella Road, hanno deciso che «c’era una storia che poteva essere straziante e dolceamara, senza un cattivo di mezzo», dice Brooker. «C’è un uomo che usa la tecnologia per rivisitare il passato e uscirne con una prospettiva leggermente diversa e mettere a tacere alcuni fantasmi».
«Avrebbero potuto mandarmi qualsiasi cosa e io avrei detto di sì, ma è capitato che mi mandassero questo grande copione», racconta Giamatti. «Alla fine mi sono commosso, cosa che non mi succede sempre, e ho pensato che fosse una visione interessante della tecnologia. Forse l’intelligenza artificiale è una cosa buona alla fine, e questo mi è sembrato interessante».
Sebbene la tecnologia AI sia diventata uno spauracchio per i creativi – portando a una miriade di cause legali per le grandi aziende che l’hanno utilizzata – Brooker e Giamatti non la scartano a priori. «Continuo a cambiare posizione sull’IA», dice Giamatti. «Una volta ho parlato con un paleo-antropologo e la sua opinione in merito è stata che ci siamo consegnati alle macchine quando abbiamo inventato la ruota. Ma il suo punto di vista positivo era che non abbiamo davvero idea di cosa diventerà questa roba. Potrebbe essere qualcosa che finirà per fare cose molto buone per noi, e quindi: chi lo sa? Il problema sono le persone che la usano, più che la tecnologia in sé. Dobbiamo essere più bravi a usarla». L’attore aggiunge che una volta gli è stato chiesto se una società poteva usare la sua voce e ha rifiutato. «Preferirei farlo di persona, almeno per ora», ha detto.
Brooker, da parte sua, si è ispirato a usi più creativi dell’IA: in particolare, il doc Get Back dei Beatles, che ha utilizzato la tecnologia per affinare filmati d’archivio e il “nuovo” brano dei Fab Four Now and Then, creato in modo simile. Un vecchio demo di John Lennon è stato trasformato in una canzone completa isolando la sua voce (e il suono della chitarra di George Harrison) e combinandola con nuove registrazioni del resto della band. In questi casi, quindi, l’IA non è stata utilizzata per creare un documentario o una canzone ex novo, ma come strumento per rendere nuovo qualcosa di vecchio. «Stavamo tutti guardando quel documentario in un momento piuttosto buio della pandemia, e sembrava una cosa arrivata dal futuro», racconta Brooker. «Volevo analizzare questa sorta di interazione tra la tecnologia analogica del passato, che è piuttosto fragile, evocativa e imperfetta, e trasformarla in un’esperienza immersiva molto attuale».
«“Per favore, non tagliate fuori l’uomo da questa equazione”: è questo il mio pensiero», aggiunge. «Non credo che [l’IA] sia un genio che si possa rimettere nella bottiglia. È ovvio che non si vuole una situazione in cui un dirigente si sieda e dica: “Cazzo, tirami fuori tre film, per favore”, ma stavo leggendo di The Brutalist, dove l’IA è stata utilizzata per migliore l’accento ungherese degli attori. Sono indignato per questo? Non credo. Voglio dire, è vero, non sono un doppiatore ungherese. Ma, ancora una volta, nessuno all’epoca si è scandalizzato quando un attore si è trasformato in Gollum…».
In effetti, sia Giamatti che Brooker affermano che, se avessero la possibilità di utilizzare la tecnologia rappresentata in Eulogy, la coglierebbero al volo. «Quando penso alle immagini di quando ero bambino, c’è un posto dove andavamo sempre: mio zio ha gestito un hotel nel Maine per molti anni», dice Giamatti. «Vorrei che non fosse morto».
Tuttavia, entrambi concordano sul fatto che c’è qualcosa di ineffabile nelle vecchie foto e nei ricordi sbiaditi che non possono essere catturati con la tecnologia. Come Brooker, anche il padre di Giamatti è morto molti anni fa, nel 1989. «È sempre bello vedere una foto di qualcuno, ma è un po’ strano», dice, aggiungendo che il ricordo non sempre corrisponde all’immagine. «Forse è più significativo che la memoria cambi qualcosa e che l’immaginazione funzioni più della cosa letterale. Voglio dire, è bello vedere le foto, ma quello non è mio padre. Qualunque cosa io stia ricordando in una parte sepolta di me stesso è lui».
Per quanto riguarda Brooker, «quando si guardano le vecchie foto, sono imperfette e un po’ sfocate, o qualcuno ha gli occhi rossi», dice. «Hanno una maggiore risonanza emotiva rispetto a oggi, quando basta scorrere il proprio feed fotografico. Ho trovato inquietante il fatto che non molto tempo dopo aver terminato quell’episodio, mi sono ritrovato a guardare foto che non vedevo da due o tre decenni… ed è come se mio padre fosse ritornato».