Prima di scrivere il libro Killers of the Flower Moon (Gli assassini della Terra Rossa), nel 2012 lo scrittore David Grann ha visitato l’Oklahoma e la Nazione Osage. Si è ritrovato nel museo locale davanti a una grande foto panoramica che ritraeva la tribù Osage insieme ad alcuni coloni bianchi. Ma alla foto mancava un pannello, per cui ne ha chiesto il motivo alla direttrice del museo, Kathryn Red Corn. «Non dimenticherò mai ciò che mi ha detto», ricorda oggi Grann. «Ha indicato la sezione mancante dicendo che proprio lì c’era il diavolo».
Grann racconta che Red Corn è scesa nel seminterrato e gli ha mostrato il pezzo mancante, dove si vedeva William K. Hale fare capolino da un angolo. Hale è stato uno dei responsabili di un capitolo brutale della Storia noto come il Regno del Terrore Osage (Robert De Niro recita nei panni di Hale nel nuovo film di Scorsese, con una performance raffinata, classica e davvero inquietante). Quei crimini hanno avuto luogo negli anni Venti quando la tribù, da poco arricchitasi con la scoperta del petrolio sul suo territorio, ha dovuto affrontare una terribile serie di omicidi, molti dei quali non sono mai stati risolti.
«Non è frequente che un libro abbia una backstory, ma questo sì», ricorda Grann. «Non riuscivo a smettere di pensare a quella foto e a come gli Osage siano perseguitati da quello che è accaduto. Eppure tante persone, me compreso, non hanno mai saputo nulla di questa faccenda. Non ci è mai stata raccontata. L’abbiamo cancellata. Così ho iniziato il libro per cercare di rimediare alla mia ignoranza».
La versione cinematografica di Killers è stata giustamente definita “un capolavoro”. È un mystery, un western, una storia di tradimento e un attacco frontale al mito americano. È anche una storia di avidità e razzismo radicato, racconta le sanguinose origini del business del petrolio e, indirettamente, della crisi climatica. Abbiamo incontrato Grann per conoscere le sue opinioni sull’adattamento.
Guardando il film, mi ha colpito il fatto che Killers of the Flower Moon sia in qualche modo una parabola sulla crisi climatica, o perlomeno un primo segnale d’allarme sui pericoli dell’industria petrolifera. Cosa ne pensi di questa teoria?
È una medaglia con due facce. Il fatto che gli Osage abbiano mantenuto il controllo di vasti giacimenti di petrolio ha portato nelle loro mani una ricchezza straordinaria. Quando oggi vengono intervistati, molti Osage parlano dei benefici di quella ricchezza, dell’istruzione a cui hanno potuto accedere e della possibilità di viaggiare. Ma, come disse un capo Osage all’epoca, “i soldi del petrolio sono stati una benedizione e una maledizione”. La maledizione consiste nell’arrivo di tutti questi coloni rapaci. Ha portato una corruzione enorme, che alla fine è culminata nell’uccisione sistematica di molti cittadini della Nazione Osage.
In parte è la storia di un’industria che ha contribuito a plasmare la nazione, ma non sembra che le grandi compagnie petrolifere abbiano cercato di porre fine alla violenza.
Sì. Nel caso degli Osage, è importante ricordare i tanti baroni del petrolio che si arricchivano enormemente grazie a questi contratti di trivellazione nel territorio Osage. Molti nomi a noi familiari hanno fatto fortuna in queste terre: ad esempio le famiglie Getty e Sinclair e i fratelli Phillips della Conoco. Non ho mai individuato alcuna prova che li coinvolgesse direttamente negli omicidi, ma ciò che mi ha colpito è che non sono riuscito a trovare neppure l’ombra di un loro commento sulla situazione, durante il Regno del Terrore Osage. Questi omicidi erano impossibili da ignorare. C’è stato persino un lancio di bombe in centro città. I baroni del petrolio continuavano a partecipare a queste aste per fare offerte di locazione. Quindi, come minimo, mentre si arricchivano straordinariamente erano complici col loro silenzio.
Non è così che funziona la storia della crisi climatica e dell’industria petrolifera? Far finta di nulla e incassare soldi ignorando le conseguenze dannose.
Chiaramente il mondo in cui viviamo oggi è un sottoprodotto dell’industria petrolifera e di tutte le sue ripercussioni sull’ambiente. Per tanto tempo è stato un po’ come per le sigarette: ci si poteva girare dall’altra parte e far finta che non ci fossero effetti negativi, ma poi a un certo punto i segnali sono diventati inequivocabili. Oggi viviamo in mezzo a questi segni inconfondibili.
De Niro dà un’interpretazione incredibile di King Hale. La sua manipolazione calcolata di tante persone mi è sembrata rappresentativa anche dell’industria petrolifera.
Be’, l’analogia è data da quell’ideologia che Hale incarnava e che è tipica di tante industrie rapaci, ovvero l’idea che si sta portando il progresso e che questo progresso non può essere fermato. Così il peccato si ammanta di bontà: questo era certamente il caso di Hale, che fingeva di essere amico di coloro contro cui tramava. Lui rappresentava la mentalità di frontiera del “destino manifesto”. Per quanto riguarda l’analogia con l’industria petrolifera a cui accennavi, il petrolio è il simbolo di questa società che porterà enormi ricchezze e progresso, ignorando le conseguenze devastanti che innescherà.
È una specie di Padrino dell’Oklahoma. Quei tizi sembrano davvero dei gangster.
Be’, era un’organizzazione criminale. L’aspetto interessante del film è che si concentra su Hale e i suoi scagnozzi. Lui per molti versi è come un boss della mafia, ma vestito da colono e con una teologia cristiana perversa che sposa mentre trama per uccidere. Una delle cose importanti da capire sul Regno del Terrore Osage, e che il film suggerisce, è che dietro c’era una cospirazione molto più profonda che l’FBI non ha mai svelato. Per sviscerare questi crimini è necessario comprendere che non si trattava tanto di chi ha fatto qualcosa, ma piuttosto di chi non ha fatto nulla. Perché imperava una cultura dell’omicidio a cui aderivano molte persone. C’erano tanti cittadini comuni che compivano questi omicidi: medici che somministravano veleni, uomini d’affari e di legge prezzolati e tanti altri che erano conniventi. Si trattava di un fenomeno sistemico e strutturale. Se si vuole comprendere il Regno del Terrore di Osage, questo è ciò su cui ci si deve concentrare.
Mi ha colpito molto, alla fine, la scena in cui il film passa alla dimensione del radiodramma: l’hanno fatto davvero, giusto?
Sì. Hanno proprio realizzato un radiodramma che l’FBI ha orchestrato per accrescere la propria reputazione.
Che pensi del fatto che Scorsese in persona abbia partecipato a quella scena? L’ho trovata una scelta molto potente.
Sì, anch’io. Non ne ho mai parlato con Scorsese, quindi questa è una mia interpretazione. Il motivo per cui è nel libro è che dà un’idea di come le storie vengono raccontate. Per molto tempo, l’FBI e J. Edgar Hoover hanno offerto una versione asettica di ciò che era accaduto, senza mai spiegare che in realtà esisteva una cospirazione molto più profonda e oscura che il Bureau non ha mai rivelato. Mostrando il radiodramma, con questi attori bianchi dall’accento fintissimo e razzista che fingono di essere dei nativi americani, si arriva al modo in cui questa storia non è stata solo raccontata, ma anche mistificata e falsificata. La mia interpretazione di Scorsese che rompe la quarta parete, alla fine, è che sta incarnando il suo senso di responsabilità morale nel cercare di raccontare questa storia.
Qual è stata la reazione degli Osage al film?
Non mi piace mai parlare per gli altri, e ognuno probabilmente ha reazioni diverse. Ma quello che ho visto non si può dire fosse positivo, perché è una storia davvero devastante. Ho assistito a una proiezione, a Tulsa, con molti membri della Nazione Osage, e sono stato ad altre in cui alcune persone possono aver riso in certi momenti. Ma durante la proiezione di Tulsa nessuno rideva. Quelli che guardavano il film stavano assistendo all’assassinio dei loro antenati.
Perpetrato anche nel modo più insidioso. La cosa terribile in tutto questo è che non si tratta di ladri che vengono a rubare le tue cose, ma di gente che ti sposa e si intrufola nella tua famiglia per poi ucciderti. È un crimine molto intimo.
È la cosa più profondamente inquietante di questi crimini, perché c’erano in ballo schemi di eredità che implicavano il ricorso a questo livello molto intimo di tradimento. C’erano persone che si sposavano ed entravano nelle famiglie fingendo di amarti, ma contemporaneamente complottavano sistematicamente per uccidere te e, a volte, anche i figli che avevi avuto con loro. Non sono mai riuscito a capire fino in fondo cosa deve aver provato Mollie Burkhart (il personaggio interpretato nel film da Lily Gladstone, ndt) quando si è resa conto che l’uomo che pensava di aver amato, che pensava l’avesse amata, stava tramando per ucciderla.
L’ultima volta che abbiamo parlato di Killers of the Flower Moon mi hai detto che, per molti versi, siamo tutti complici. Questo mi ha fatto pensare alla crisi climatica, perché ovviamente siamo tutti complici anche in questo frangente. È un tema che attraversa tutta questa storia.
Succede spesso, sia nel passato che nel presente: lo si vede anche nel mio ultimo libro, The Wager, dove esploro temi simili legati a come la Storia viene scritta e cancellata, a questi sistemi di complicità e a come, perché avvengano crimini su così larga scala, sia necessario che molte persone aderiscano volontariamente a questi sistemi, a volte diventandone complici anche senza esserne consapevoli. È così anche per la crisi climatica, per cui ci stiamo godendo dei lussi che derivano dalla produzione di petrolio, ma senza pensare al futuro.
Il film traccia un parallelismo con il massacro di Tulsa e sottolinea in modo molto efficace il ruolo dei suprematisti bianchi. Quando la gente del Ku Klux Klan sfila per strada, a volto scoperto, uno di loro è un maggiorente della città e il personaggio di Leonardo DiCaprio lo saluta con disinvoltura.
Sì. È vero, quel personaggio è un esponente di spicco della città ed era un leader del KKK all’epoca. I crimini raccontati nel film sono stati perpetrati negli anni Venti e, nello stesso periodo, a soli 95 chilometri da lì, c’è stato il massacro di Tulsa. Questi atti criminali avevano entrambi componenti di invidia e avidità, ma alla fine ciò che li accomunava era che entrambi comportavano la disumanizzazione sistematica di un altro popolo: senza questo passaggio non si possono verificare crimini del genere, su larga scala. L’atteggiamento dell’epoca si coglie perfettamente nella testimonianza di uno degli assassini degli Osage, che ha detto, cito parafrasando: “Per noi uccidere un indiano d’America oggi non è diverso da come lo era nel 1700”. Una delle cose importanti da capire, a proposito della natura rapace di questi crimini e di certi parallelismi, è che stiamo parlando di tempi moderni. Non stiamo parlando dell’epoca coloniale, ma del XX secolo. Quando stavo facendo le ricerche per Killers of the Flower Moon, ho indagato su cose accadute meno di un secolo fa.
Quelle persone non sono perfetti estranei. A seconda dell’età, potrebbero essere stati i nonni o i bisnonni di qualcuno. Non è roba tanto lontana nel tempo.
Nel caso del Regno del Terrore Osage, ci sono discendenti degli assassini che ancora oggi detengono i diritti di sfruttamento delle terre e ricevono tuttora fondi di sovvenzione. Quando ho incontrato la nipote di Mollie Burkhart, che è una figura chiave nel film e nel libro, mi ha portato al cimitero dove sono sepolti molti dei suoi parenti, parecchi dei quali sono stati assassinati. Ricordo che mi ha detto qualcosa tipo: “Sono cresciuta senza cugini”. Parlando con lei si ha la percezione di come questa storia si riverberi ancora oggi. È una storia ancora viva.