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Perché ‘SKAM Italia’ è una rivoluzione (anche musicale)

La quarta stagione è la più matura e complessa, anche perché parla di seconde generazioni. E lo fa meravigliosamente pure attraverso la colonna sonora, da sempre uno dei suoi pezzi fortissimi. Ecco tutti i segreti delle musiche della migliore serie teen italiana, raccontati dallo showrunner e regista Ludovico Bessegato

C’è una sequenza nella quarta stagione di SKAM Italia che è un piccolo capolavoro (in realtà più di una, ma questa mi è rimasta negli occhi): Sana torna a casa, vede che in soggiorno ci sono il fratello Rami e i suoi amici, compreso il ragazzo che le piace – Malik –, va nella sua stanza, prende dall’armadio una scatola piena di veli colorati e ne prova qualcuno per scegliere quello che le sta meglio. Il tutto sulle note di BagBak di Vince Staples. Ecco, SKAM Italia 4 (prodotta da Cross Productions e TimVision, uscita ieri su TimVision e Netflix e già al primo posto tra i titoli più visti) è tutta qui. Nella delicatezza realissima del gesto e nel commento musicale inaspettato.

«Dietro quella scena c’è una storia: prima di tutto non esiste nella versione originale», mi spiega Ludovico Bessegato, regista e showrunner della serie (che nasce da un format norvegese sì, ma è diventata cult nella declinazione italiana), su Google Meet, ormai il new normal delle interviste, tanto che ci passi anche più di un’ora a chiacchierare e manco te ne accorgi (ogni riferimento a fatti o persone reali è assolutamente casuale). Dicevamo. «Avevo provato a metterci sotto Stop The Rock degli Apollo 440, volevo riprodurre la stessa vertigine che ti dà in Marie Antoinette sentire il rock nella Francia di Versailles. Poi però ho pensato che fosse un brano troppo inflazionato (l’aveva usato anche Sydney Sibilia in Smetto quando voglio), e che parlasse alla mia generazione, ma non a quella dei ragazzi». Bessegato e i suoi hanno provato molti brani rock, fino a quando non ci ha pensato Vince Staples, nell’archivio dei pezzi da utilizzare fin dalla seconda stagione, a trovare l’equilibrio perfetto.

«È una sequenza che mostra la messa del velo in un modo completamente diverso da come la immaginiamo: noi pensiamo che sia un simbolo di oppressione e di castigo, invece qui c’è l’idea che per Sana sia qualcosa di colorato, gioioso, una forma di imbellettamento anche». Vengono in mente le immagini di Silvia Romano, arrivata in Italia dopo la liberazione vestita con abiti somali: «Nessuno sa che cosa abbia vissuto Silvia – o meglio, Aisha, come ora si fa chiamare (e noi rispettiamo la sua scelta) –, quindi non penso sia giusto esprimermi. È parte di ciò che SKAM prova a dire: che non si può giudicare qualcosa di cui si sa poco o niente. Soltanto entrando nello specifico di una persona puoi comprendere cosa vive: senza il focus su di lei, non avremmo mai capito davvero Sana; senza i rispettivi episodi avremmo continuato a pensare che Martino fosse uno stronzo manipolatore ed Edoardo un menefreghista maschilista».

Brevissima digressione per chi ancora fosse digiuno di SKAM Italia (vergogna!): è uno dei migliori teen drama in circolazione per come riesce a parlare di e con la Generazione Z attraverso un’autenticità e un realismo mai visti in prodotti italiani di questo tipo, senza cliché e senza sensazionalismi. Sembra una cosa da poco, e invece è stato uno sconvolgimento assoluto per il genere. Pur nella coralità, ogni stagione ha per protagonista uno dei personaggi: la quarta è la stagione più matura, più complessa, più ambiziosa. E – grazie anche alla collaborazione alla sceneggiatura della sociologa, scrittrice e attivista Sumaya Abdel Qader – ci fa entrare nel mondo di Sana (la bravissima Beatrice Bruschi), una ragazza italiana di seconda generazione e musulmana praticante che, dopo aver cercato di vivere in equilibrio tra i suoi valori e quelli delle amiche e della società italiana di cui si sente parte a tutti gli effetti, vedrà piano piano questa armonia andare in pezzi.

«Quello che mi ha colpito della vicenda di Aisha, e che trovo molto attuale rispetto alla nostra serie, è la violenza delle reazioni. Penso sia legittimo discutere di tutto, ma i toni usati e gli insulti che sta ricevendo sui social sono una cartina di tornasole dell’islamofobia e della diffidenza pazzesca che ancora c’è in Italia. Poi ovviamente le storie di Sana e Silvia sono molto diverse e assolutamente non paragonabili: la prima è cresciuta in una famiglia musulmana progressista, la seconda ha fatto questa scelta in un contesto particolare di cui sappiamo poco. Ma il giudizio frettoloso e il bullismo online sono sicuramente un punto di contatto: spero che questa coincidenza permetta a un po’ di persone di capire che, qualunque cosa sia successa a questa ragazza, anche la peggiore, l’Islam non è solo quello… Spero che SKAM Italia aiuti a realizzare che c’è normalità e tanto bisogno di capirsi».

Ma torniamo a noi, o meglio, alla musica ché, l’avrete capito, è la nostra preoccupazione principale; e pure quella del nostro interlocutore: «Mi ha sempre sorpreso che nessuno affrontasse il tema perché, diciamolo subito: magari poi mi smentiranno, ma secondo me in Italia non esiste un altro prodotto che abbia investito tanto sulla colonna sonora», va subito al punto Bessegato. Quanto nel dettaglio non è dato sapere, basti «una percentuale molto significativa del nostro budget», ma facendo fare un breve calcolo – parliamo di 200 canzoni spalmate su 4 stagioni – si capisce subito che è parecchio. E visto che SKAM non è una serie ad alto costo, questo significa dover rinunciare a qualcosa. «Ma va bene così perché, a partire da me, praticamente ogni persona che ci ha lavorato ha un’anima musicale e per noi la musica non è un dettaglio, è un altro personaggio. Se sbagli il brano in una scena, non arriva nulla. Abbiamo davvero sostenuto l’industria discografica, mettiamola così», ride Bessegato.

Ah, nella quarta stagione troverete musica araba in un’occasione soltanto: durante l’Eid, la festa di fine Ramadan a casa di Sana. E la ragione è molto semplice: «Ho parlato con le figlie di Sumaya, che hanno più o meno l’età della protagonista. Per loro le canzoni arabe tradizionali fanno matrimonio, si divertono e le cantano ma le collegano a momenti più istituzionali, per il resto ascoltano quello che ascoltiamo tutti. Poi c’era un’artista che mi piaceva un sacco, una rapper musulmana americana, Mona Haydar, che abbiamo provato ad inserire. Poi però ho fatto una scelta, anche perché raccontiamo una ragazza italiana immersa nella nostra cultura. Mi sembrava più giusto e realistico così».

L’idea di Ludovico è che la colonna sonora debba suscitare emozioni sì, ma possa pure creare altri livelli di significato: «Una scena triste con sotto un pezzo malinconico enfatizza qualcosa che c’è già, se invece usi un brano con un altro sapore la sequenza acquista in profondità, diventa meno prevedibile e trova un senso nuovo». Vedi Pem Pem di Elettra Lamborghini sulle immagini di Filippo che fa il test casalingo dell’HIV: «Subito avevo messo Doing It Right dei Daft Punk (che poi si sono rivelati inavvicinabili), però adesso sono felice di aver fatto questa scelta. È una sequenza pensata dall’inizio insieme all’attore, Pietro Turano, che è attivista e vicepresidente di Arcigay Roma. È stato lui a farmi conoscere l’esistenza di questa modalità di esame, abbiamo girato la scena quasi come fosse un messaggio sociale per dire: il test non è una cosa spaventosa, in farmacia costa 15-20 euro e ci sono pure strutture dove poterlo fare gratuitamente con tutto il supporto per non sentirsi soli, in 20 minuti ti dà il risultato e, anche se fosse spaventoso, può essere gestibile, meglio farlo e sapere. E, visto che il messaggio voleva essere questo, ragionando insieme abbiamo deciso di usare una canzone spensierata perché in fondo il test non deve diventare una cosa cupa, dev’essere quasi una routine, come fare le analisi del sangue una volta l’anno».

Parlando della colonna sonora di SKAM Italia c’è un ruolo chiave da considerare: quello dei consulenti musicali (Paola Sangiorno, Silvia Siano e Federico Diliberto Paulsen, per Bixio C.e.m.s.a.), «che leggono i copioni, vedono le puntate, ci mandano proposte e feedback, si occupano delle trattative con le etichette». E ci sono ben quattro livelli di cui tenere conto.

Il primo è quello dei brani famosi o famosissimi: «Su quelli ovviamente abbiamo un tetto massimo, non è che possiamo inserire 20 titoli super famosi a episodio… però poter usare praticamente ogni canzone che ti viene in mente è straordinario. Il mio montatore Federico Palmierini (grandissimo appassionato di musica) e io lavoriamo con a fianco un monitor separato che sta su Spotify o YouTube e di volta in volta diciamo: “Proviamo i Radiohead. No, qui meglio gli Arcade Fire. Anzi, gli Arctic Monkeys. Oppure i Blur?”». Episodio dopo episodio però, il team dietro a SKAM ha iniziato a fare un ragionamento diverso: «Se nella prima stagione abbiamo scelto pezzi più popolari (Britney Spears, Lady Gaga, Sia, Renato Zero), piano piano nella seconda ci siamo accorti che per noi era più gratificante inserire brani meno conosciuti che fossero legati per sempre alle nostre scene. In più c’è anche l’effetto radio: se io metto una canzona famosissima, il pubblico pensa: “Ti piace vincere facile”, se invece la canzone non la conosci lavora nell’inconscio e si fonde meglio con quello che vedi».

Ma – attenzione – non si tratta di una scelta “al risparmio”, anzi: «Non è che costa di più mettere Britney Spears rispetto a una canzone indie». Argomentiamo, che ci interessa: «È complicato. In generale i prezzi delle canzoni sono totalmente imprevedibili, dipende tantissimo dall’etichetta, dall’autore. I Daft Punk, come dicevo, sono fuori da qualsiasi portata e invece ci sono artisti che vendono miliardi di copie e costano meno del musicista indie italiano. I Radiohead, per esempio, stanno all’interno del nostro range. Mi ha colpito che alcuni brani, forse proprio perché molto famosi e utilizzati, fossero più accessibili magari di un B-side di un gruppo non così gigantesco. Spaziamo da chi ha 2000 ascolti su Spotify a chi ne ha 2 miliardi, con un unico obiettivo: trovare la canzone giusta».

Se la musica è diegetica (e cioè la fonte sonora è dentro alla scena), la popolarità della canzone è quasi d’obbligo: «Quando i ragazzi vanno in una discoteca ci sta che il brano sia conosciuto, anche se cerchiamo sempre un remix, una versione un po’ particolare. Pensa a Somebody That I Used To Know in questa stagione. E se cantano una canzone ci sta che sia un classico, vedi Edoardo che suonava Creep dei Radiohead a Eleonora in quella precedente». Nella quarta ci sono almeno un paio di singalong: Non sei tu di Gazzelle, «che ho scelto insieme al cast», e 7 miliardi di Massimo Pericolo, «che mi era stato segnalato e spiegato. Quando c’è stato da scegliere il pezzo “peggiore” (c’è anche una bestemmia bippata) che Sana potesse sentir cantare in casa sua, ho capito che era perfetto. E poi è un brano bellissimo». Avendo la possibilità di passare virtualmente del tempo con il fautore della serie, escono anche delle belle chicche: «Non ho detto alle attrici che dovevano cantare il pezzo perché lo avrebbero memorizzato benissimo e sarebbe stato strano. Mi serviva che lo sapessero e non lo sapessero. Mezz’ora prima della scena le ho chiuse tutte in camera di Sana e ho detto loro che dovevano impararlo. E il risultato è più credibile».

Altro racconto di backstage con link musicale: a un certo punto Gio (Ludovico Tersigni), Elia (Francesco Centorame) e la band dei Contrabbandieri di Luchini cantano sul palco un brano scritto dallo stesso Bessegato: «Doveva essere una canzoncina sciocca e disimpegnata, però vedendo che mentre provavamo il motivetto rimaneva in testa a tutti, abbiamo pensato che forse dovremmo farla uscire: potrebbe chiamarsi Thai o Non sono qui per te, sto decidendo. Sto qui da un mese a provare a fare un master decente da mettere su Spotify ma non è il mio lavoro, vediamo se ci riesco» ride.

Oltre a viaggiare su una media di 30 brani portanti a stagione, SKAM ne ha altrettanti che sono sostanzialmente sconosciuti. Nella prima, seconda e quarta stagione (nella terza sono dei Prod by Enemies e del regista Ludovico Di Martino con lo pseudonimo di Vincent Vega) molti portano la firma di Ivan Silvestrini, regista, amico e coetaneo di Bessegato: «Qualche anno fa mi aveva fatto sentire alcune canzoni, così, semplicemente per scambiarci idee, e mi erano piaciute molto. Da un punto di vista tecnico non è sempre giusto mettere un pezzo cantato, a volte hai bisogno di brani di accompagnamento, senza parole. E non sapendo dove andare a parare, perché non avevamo un compositore, abbiamo iniziato a provare le tracce di Ivan: con quest’elettronica un po’ vintage, hanno dato a SKAM le atmosfere più indie e meno sdolcinate di cui sentivo tanto il bisogno».

Poi c’è un terzo livello, che ha sempre caratterizzato la serie: il talent scouting, «la ricerca di musicisti poco noti che abbiamo trovato su Spotify, o che magari ci hanno mandato del materiale. Ci è sempre piaciuta l’idea di mettere un artista emergente, se valido, nella stessa puntata di Thom Yorke e dei Radiohead. Per esempio: quella che ormai è diventata la sigla non ufficiale di SKAM, Hot Headache, è di questo duo che si chiama ISTAP, una ragazza romana e una danese che fanno musica insieme a distanza da anni e che a suo tempo mi avevano inviato la canzone». Nella quarta ci sono tantissimi nomi nuovi, o quasi: da Ginevra, che un’artista più strutturata, al rapper spagnolo Staazzz, dal gruppo di rapper italiani di 16 anni Deka a un altro giovanissimo davvero bravo e sempre italiano, Cri».

A proposito, ecco un altro aneddoto che dice molto dell’apertura di SKAM: «Stavamo finendo di montare l’ultimo episodio della stagione due, quando mi scrive su Facebook un musicista tedesco, Wirefoxterrier, spiegando che aveva scritto delle canzoni ispirate alle scene di Martino e Niccolò: erano davvero belle e ne abbiamo messa una in una scena in cui inizialmente non c’era musica. Poi in questa stagione, sul finale della puntata nove (la scena in cui Malik porta Sana alle terme, una delle più importanti), avevamo provato diversi brani famosi, che però ci sembravano un po’ tutti retorici. Ho aperto la cartella in cui raccogliamo tutto quello che ci piace, abbiamo appoggiato sotto la sequenza un altro brano di Wirefoxterrier ed era quello giusto!».

L’ultima parte del discorso riguarda Flippermusic, un catalogo di production music che comprende brani usati in genere per gli spot, o comunque spesso per prodotti non filmici: «Hanno licenze molto abbordabili: parliamo come minimo di due o tre zeri in meno rispetto al costo di sincronizzazione di altri casi. E devo dire che, nonostante venga spesso sottostimato, noi con grande libertà e laicità abbiamo sempre trovato tante cose belle: sono musicisti bravissimi che hanno tutte le carte in regola e mi fa piacere dare spazio anche a loro, perché quando una musica è bella è bella, e non è importante quante visualizzazioni hai e quanto sei famoso. Il brano rap che torna spesso perché è la suoneria del cellulare di Sana viene da Flipper, idem quel pezzo tensivo e riuscitissimo quando Sana riceve la telefonata di Federico Canegallo mentre sta sulla terrazza con Martino e Filippo. Il pezzo a cappella che parte quando Martino raggiunge Niccolò sul terrazzo di notte e poi si baciano nella seconda stagione è di Flipper, ed è amatissimo dai fan».

L’unico criterio che guida la scelta delle musiche in SKAM è: funziona? È compatibile con il mondo che racconta? «Abbiamo sempre cercato una mediazione tra il nostro gusto di figli degli anni ’80 e quello dei ragazzi dei 2000. So benissimo che se avessi voluto strizzare l’occhio alla mia generazione target avrei dovuto usare più trap e più Tiziano Ferro», sorride Bessegato. «È bello perché nello scambio con gli attori, ormai amici, io ho trovato un sacco di cose che non conoscevo e magari pure loro hanno scoperto canzoni più vecchie. Per esempio Federico Cesari, che interpreta Martino, mi aveva introdotto a Billie Eilish quando ancora non era nessuno. Avevamo provato a inserirla nella seconda stagione ma non ci eravamo riusciti. Per fortuna ci ha pensato Ludovico Di Martino ad inserirla nel finale della terza, con il brano When the Party’s Over: per me è una delle sequenze più belle di tutta SKAM».

Sulla sua scena musicale preferita della quarta stagione, Bessegato non ha dubbi: «Il nascondino sulle note di Sleepwalker di Julie Byrne perché racconta la purezza. Per me è quasi il vero finale, quello che rispecchia chi sono questi ragazzi. La libertà a 18 anni di dire: chissenefrega se non siamo a chissà quale festa, siamo in 10 in casa e, senza fare tanto i fighi, giochiamo a nascondino perché è divertente». Menzione speciale anche per una sequenza della seconda: quella in piscina, in cui Martino e Niccolò (Rocco Fasano) si baciano. «Ti posso garantire che quella scena mi terrorizzava perché senza musica non era molto emozionante. Mi dicevo: “Cazzo, ho sbagliato la parte più importate”, poi abbiamo trovato il brano di Jon Hopkins e ancora oggi mi commuovo… è quel match magico, inspiegabile che si crea tra le immagini e le note».

Siamo già oltre l’ora di intervista fittissima su Google Meet, ma c’è un altro aneddoto che non può mancare in questa discussione serial-musicale: «Sul trailer della prima stagione volevamo usare Scream & Shout di Will.I.Am feat. Britney Spears, che avevamo già concordato per una scena, si trattava semplicemente di estendere la licenza, compensando economicamente. Will.I.Am aveva detto sì, ma non siamo mai riusciti a metterci in contatto con l’entourage della Spears. Quindi se il trailer ha sette canzoni diverse anziché una unica, beh, è colpa di Britney».

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