Peter Dinklage debutta nel western – e continua ad amare il finale di ‘Game of Thrones’ | Rolling Stone Italia
C’è vita oltre il trono

Peter Dinklage debutta nel western – e continua ad amare il finale di ‘Game of Thrones’

È uscito negli Stati Uniti ‘The Thicket’, in cui l’ex Tyrion Lannister si cimenta per la prima volta in uno dei generi cardine del cinema americano. Abbiamo parlato con lui di questo progetto (che voleva realizzare da dieci anni), dello stato di Hollywood e sì, anche di quell’ultima (criticatissima) stagione della serie HBO che l’ha consacrato

Peter Dinklage debutta nel western – e continua ad amare il finale di ‘Game of Thrones’

Peter Dinklage in ‘The Thicket’

Foto: Tubi Films

Nei panni di Tyrion Lannister di Game of Thrones, Peter Dinklage è sopravvissuto a varie esperienze di pre-morte quasi esclusivamente grazie al suo ingegno, ma nel suo nuovo film, il western The Thicket (appena uscito negli Stati Uniti e prossimamente in Italia, ndt), interpreta Reginald Jones, un cacciatore di taglie molto meno loquace e molto più a suo agio nel maneggiare un coltello. Juliette Lewis regala un’interpretazione altrettanto memorabile nei panni della cattiva del film, una criminale sfregiata e brutale originariamente descritta come un uomo nel romanzo del 2013 di Joe Lansdale. Anche James Hetfield dei Metallica appare in un ruolo minore, e sembra nato per recitare in queste atmosfere.

Abbiamo incontrato Dinklage per parlare del nuovo film, dello stato di Hollywood, dell’eredità di Game of Thrones e altro ancora.

The Thicket è stato definito un “passion project“, il che a volte implica che il film sarà un mezzo disastro perché risponde solo alla vanità di chi l’ha realizzato.
(Ride) Non so chi abbia inventato la definizione “passion project“, ma in questo caso si tratta di un attore, cioè io, che ha cercato per anni di fare questo film.

Ma in questo caso particolare siamo di fronte a un film eccellente, un film vecchio stile nel senso migliore del termine.
I western sono divertenti perché, soprattutto in America, abbiamo questa idea molto fissa a proposito dei generi cinematografici: horror, western, devono tutti essere una cosa certa. È come se ogni volta ci si chiedesse: stiamo seguendo la formula dei film western o cosa è realmente accaduto nel West? Clint Eastwood o John Wayne in Sentieri selvaggi, grandi film. Ma quanto hanno attinto dalla Storia di ciò che era realmente il West? È una cosa davvero affascinante. Quel tipo di frontiera, il clima di illegalità e tutto il resto, sono sicuro che esistessero. Ma i cliché forse no, sono stati i registi a crearli. E ora, come pubblico, ce li aspettiamo. Ciò che mi è piaciuto del libro di Joe Lansdale è che non avevo mai letto personaggi come questi prima, in questo genere.

Come ti sei imbattuto in questo romanzo che aveva questa parte perfetta per te, un fuorilegge affascinante che, per puro caso, è un tizio della tua stazza?
Qualcuno l’ha segnalato al mio socio produttore, David Ginsberg, e lui me l’ha mandato. È un bel libro, ed egoisticamente, come attore, ho subito pensato: “Voglio davvero interpretare quella parte. Quindi iniziamo a mettere insieme i pezzi per realizzare un grande adattamento cinematografico”. Non ho mai provato a fare un western, anche se l’ho sempre sognato. Li adoro. E ci è voluto parecchio tempo. Il Covid ci ha fermati per un po’. È difficile ottenere i finanziamenti se non indossi un costume da supereroe. Non è una cosa cinica, è solo la realtà del cinema oggi. È un tale azzardo, e il mercato sta cambiando, i cinema stanno chiudendo. È un ambiente più rischioso. Ma ho trovato questa compagnia, Tubi, e sono venuti in mio soccorso.

Hai detto che era l’idea della durezza che Jones doveva avere ad attrarti, immaginando come sarebbe stato recitare un personaggio come questo.
Da attori, abbiamo le nostre comodità. Abbiamo i nostri letti, le nostre cucine piene di cibo e i nostri dispositivi per guardare quello che vogliamo. Nessuno aveva queste cose nel vecchio West. Dovevano solo sopravvivere giorno per giorno. Le persone morivano giovani. Sembra strano, ma mi piace l’idea di chi sarei stato 150 anni fa. Qualcuno della mia taglia? Ho i miei modi moderni di sopravvivere, in termini di offese che mi vengono gettate addosso. Sembra che oggigiorno viviamo in un’epoca più illuminata, ma non è così: le persone hanno la stessa reazione di sempre, di fonte a qualcuno di diverso. E quello che ho trovato interessante è che 150 anni fa, prima del politicamente corretto, un tipo come Reginald Jones… be’, quanto sarebbe stata dura la sua pelle? Cosa avrebbe dovuto fare? Amo il fatto che non sia un maestro delle parole. Lui sa solo cosa bisogna fare.

Hai vissuto qualche inaspettato “hangover emotivo” dopo il giorno di riprese in cui hai dovuto sostanzialmente torturare un altro attore? Ti ha toccato in qualche modo?
Il set è un posto tale per cui il tizio che stai torturando, tra una ripresa e l’altra, parla del meteo e fa battute. In una scena di tortura come quella, non puoi davvero usare il Metodo, perché allora sei fottuto. Non è un ambiente sano per seguire il Metodo. Sono stato accusato da persone a me vicine di “essere” troppo da Metodo. Ci entro un po’ dentro, ma quando fai qualcosa del genere devi assicurarti che tutti siano al sicuro e che il martello non colpisca niente (ride).

The Thicket | Official Trailer | A Tubi Original

Hai solo una scena con Juliette Lewis, che interpreta la cattiva, e mi ha quasi ricordato la scena di Heat tra Pacino e De Niro.
Grazie! È un bel parallelo. Sto lavorando con Pacino in questo momento, qui a Los Angeles. Non ne ho parlato con lui, ma ricordo che quando uscì quel film pensai: “Come hanno fatto a far entrare quei due in una stanza insieme?”. E poi ho sentito che avevano girato le loro scene separatamente: era troppo bello per essere vero. Ricordo che questa era la leggenda (ride). Penso che se fossi De Niro, vorrei lavorare con Pacino e viceversa. Non credo che ci siano vecchi rancori tra quei due ragazzi. Nel nostro film, quella sequenza è bella perché è una tempesta in un momento in cui tutto è davvero calmo. E sono le due forze centrali che si combattono a vicenda. In questo caso, lei non sa chi sono io, ma io so chi è lei. Ho questo vantaggio, ma non ho una pistola con me e non rappresento una minaccia per lei. Abbiamo qualcosa in comune, come tutti i grandi cattivi ed eroi. Se poi io sono un eroe, non lo so. È la sindrome di Batman.

Quando c’è un peso così importante su una singola scena, finisci per fare un milione di riprese? O devi semplicemente trattarla come qualsiasi altra scena?
Juliette è fenomenale. Quindi è molto più facile. Abbiamo fatto solo pochi ciak. Non abbiamo avuto tempo di farne di più: è un film indipendente! Adoro fare solo pochi ciak e poi andare avanti. Conosco alcuni grandi registi che fanno molti ciak di ogni singola scena. Il mio preferito, Stanley Kubrick, lavorava così. C’è un metodo anche in questo.

Mi hai appena ricordato di quando Harvey Keitel – o almeno è quel che si racconta – se ne andò dal set di Eyes Wide Shut perché Kubrick lo fece passare attraverso una porta un centinaio di volte o giù di lì.
(Ride) Lo so, amico. Harvey Keitel, è un grande attore. Non so cosa stesse passando, ma sarebbe dura per me lasciare un film di Stanley Kubrick! So che ci sono varie storie sul suo metodo, ma devi solo pensare: “Sono in un film di Kubrick, sono in un film di Kubrick. Andrà tutto bene”. E poi io adoro Eyes Wide Shut.

Come hai detto prima, James Hetfield ha davvero una faccia da western. Sembra così giusto vederlo con una pistola in mano in quell’ambientazione.
È grande, è alto. È una presenza. È una figura autorevole in termini di statura e di voce, oltre a tutto il resto. È uno che in scena porta tutta la sua esperienza di vita. È stato così gentile, e a volte è divertente condire il tutto con dei non attori.

Porti così tanta formazione ed esperienza in ogni film, e poi ti ritrovi accanto qualcuno che di solito fa un lavoro completamente diverso. Come funziona questa dinamica? Ti sei ritrovato a fargli da coach?
Non c’è stato nessun coaching! Probabilmente si annoiava sul set, perché si passa molto tempo seduti a non fare niente. Ecco perché siamo invidiosi di musicisti e pittori: possono semplicemente continuare a suonare da soli e non dipendere da tutta la troupe e dai preparativi del set e tutto il resto. Quindi sono sicuro che si annoiasse, ma coinvolgeva sempre tutti. Era super gentile, super gentile e super paziente. David Bowie e Tom Waits sono due dei miei attori-musicisti preferiti. Ho solo pensato che Hetfield sarebbe stato fantastico in questo mondo.

Quando eri da Kimmel l’altro giorno, ti hanno presentato facendo un accenno a Game of Thrones. Ti senti a tuo agio con questo legame che resterà per tutta la vita?
Quando fai una copertina di Rolling Stone, è per sempre (ride, riferendosi alla cover uscita nel 2012). Sarebbe molto strano se non fossi orgoglioso di quella serie, ma a volte mi capita ancora di esserne follemente orgoglioso. Amo quel personaggio. E sono ancora un buon amico dei due creatori di GoT, David [Benioff] e Dan [Weiss]. Sono passati circa dieci anni dalla prima volta che me ne hanno parlato fino a quando abbiamo concluso l’ultima stagione. Ho cresciuto due bambini in Irlanda. Non c’è niente di cui vergognarsi. C’è solo orgoglio. E sono state otto stagioni. Quindi sono 80 ore di me! Tutti in tutto il mondo tutti hanno avuto 80 ore di Dinklage… È destinato a seguirmi ovunque.

Quanto è stato ansiogeno affrontare la fine di quella serie e iniziare a tracciare una carriera post-Game of Thrones?
È stato un po’ triste, ma non ho avuto molta ansia, perché a quel punto eravamo tutti pronti ad andare avanti. Qualsiasi tipo di artista a un certo punto vuole mescolare le cose. La cosa positiva di quella serie è che gli attori avevano un bel po’ di tempo libero tra le stagioni: metà anno con Thrones, metà anno libero. E in quella metà potevi fare altre cose, se eri fortunato, cosa che a me è successa. E poi quando la serie è finita, penso sia stato giusto così: era davvero arrivato il momento di chiudere. Ci sono alcune persone che probabilmente volevano continuare perché economicamente avrebbe potuto fruttare ancora parecchio. Ma, dal punto di vista creativo, è stato un buon momento per tutti per voltare pagina e andare avanti.

Sono passati cinque anni e sei stato molto impegnato. In che modo la tua carriera è andata avanti in questo periodo rispetto a ciò che ti aspettavi cinque anni fa? Cosa ti ha sorpreso, se c’è stato qualcosa che ti ha sorpreso?
Sono abbastanza fortunato da poter mandare la mia carriera nella direzione che voglio perché sto principalmente producendo tutto ciò in cui recito. E sto anche producendo cose in cui non recito. Sono abbastanza fortunato da poter dire di no a certe cose che semplicemente non mi piacciono. È una posizione privilegiata in cui trovarsi. So che ci sono molte persone che non sono così fortunate e devono pagare le bollette, e capisco e rispetto questo modo di vedere le cose. Ma, personalmente, è quello che sto cercando di fare dal punto di vista professionale. Ho dei figli e voglio che siano orgogliosi del lavoro che ho fatto e che non sentano che mi sono compromesso in alcun modo. Ed è questo che Game of Thrones, sia finanziariamente che artisticamente, mi ha permesso di ottenere. Quindi sono molto in debito con quella serie, perché ha raggiunto un pubblico così vasto e ha permesso a qualcuno come me di essere visto a un livello molto umano. Qualunque cosa abbia io dal punto di vista della performance, non posso giudicarlo da solo. Ma Dave e Dan mi hanno dato accesso a qualcosa a cui raramente avevo avuto accesso prima. E penso che forse, e dico forse, abbia cambiato il modo in cui le persone vedevano qualcuno come me.

Peter Dinklage alias Tyrion Lannister in una scena dell’ultima stagione di ‘Game of Thrones’. Foto: HBO

Per gli attori con cui ho parlato di recente, continua a essere un periodo strano per il settore. C’è molta ansia, anche tra i grandi nomi. Riuscire a realizzare un film come The Thicket ti dà un po’ più di ottimismo sullo stato delle cose?
Sì, spero di sì. Io sto invecchiando. Non riesco a guidare lo zeitgeist di ciò che piace alla gente. Penso che ci sia una parte del mondo dello spettacolo in cui la responsabilità è quella di orientare un po’ i gusti delle persone. E sì, sono nervoso, ma la mia professione è sempre stata [così]. Non so mai quando arriverà il mio prossimo lavoro o da dove arriverà. So che è spaventoso là fuori per tutti, in termini di mantenimento del proprio lavoro e dell’essere felici del proprio lavoro. A volte il lavoro arriva a ondate e sfortunatamente devi scegliere tra cose che ami allo stesso modo. Non cerco di essere troppo cinico sullo stato dell’industria perché le persone avranno sempre bisogno di intrattenimento. È così da centinaia di anni: vogliono andare in quelle sale con l’aria condizionata, divertirsi e dimenticare le loro vite per un momento. E ridere o soffermarsi sulla miseria degli altri (ride). Non mi spaventano la CGI o l’intelligenza artificiale o cose del genere. Sarà che ormai ragiono da vecchio, ma abbiamo creato noi queste cose. Proprio come abbiamo creato un martello. Puoi costruire una casa con un martello o uccidere qualcuno con un martello. È quello che scegli di fare con gli strumenti che conta. Non vedo nessun tipo di futuro alla Blade Runner o alla Terminator in cui le macchine prenderanno il sopravvento. Sono grandi strumenti. Dobbiamo solo usarli saggiamente.

C’è anche questa tendenza per cui i film non vengono distribuiti per motivi di detrazione fiscale. Hai recitato in un remake di The Toxic Avenger che sembra essere in sospeso dopo aver ricevuto un’ottima accoglienza ai festival: non finirà per non essere distribuito, vero?
Oddio, spero di sì. È un film fantastico. Ne ho visto una prima versione e mi è piaciuto tantissimo. È così originale, anche se è una rivisitazione di un vecchio film cult degli anni Ottanta. È divertentissimo, e ha una violenza esagerata. Tutti quelli che l’hanno visto, come gli spettatori e i critici al Festival di Austin, in Texas, sono impazziti. L’hanno adorato. Ma la sua distribuzione è fuori dal mio controllo. Dipende dalle aziende e da cosa decidono di farne. Lavori così duramente su qualcosa, insieme a buoni amici, e non sai quale sarà il destino del tuo film. Io spero che venga distribuito perché è davvero divertente, al pubblico è piaciuto molto. Parlando di IA, la cosa più difficile è se inizia a lasciare le persone senza lavoro, penso ai truccatori e ai parrucchieri. Perché quella è la mia cosa preferita, sedermi sulla sedia e trasformarmi in qualcun altro. In The Toxic Avenger c’è molto di questo. Anzi, è principalmente questo.

In The Thicket, girare in esterni invece di usare effetti digitali significava che faceva così freddo che dovevi spalmare il tuo corpo di vaselina, giusto?
Sì, amico, dovevi ricoprirti con una specie di strana versione canadese di vaselina. Il tuo corpo alla fine si acclimata, ma sì, hai bisogno di quella roba o ti si spacca tutta la faccia. È pazzesco. Adoro questi sistemi prostetici più di qualsiasi altra cosa. La CGI è fantastica per fondali e draghi, ma è difficile usare la CGI per realizzare un cane. Sai che aspetto ha un cane. Sembra finto.

Hai scherzato sul fatto che i fan di Game of Thrones debbano voltare pagina dopo il finale, ma nel 2021 sei riuscito a farli arrabbiare di nuovo dicendo che ti è piaciuta l’ultima stagione e il finale in particolare.
Di nuovo, è solo la mia opinione. Mi piace il finale! Non devi essere per forza d’accordo con me. Dovrei dire: “Sì, sono d’accordo. Ho odiato il finale. Tutta l’ultima stagione è stata orribile”? Sarebbe molto peggio che se dicessi che l’ho amato, cosa che ho fatto. Non posso parlare a nome di nessun altro, ed è questo che rende divertente ciò che facciamo, perché tutti hanno opinioni diverse e tutti possono scriverne, chiacchierarne, bere e discuterne. È fantastico. Penso che, se succede questo, allora stai facendo qualcosa di giusto. È come quel vecchio modo irlandese di guardare il mondo: c’è qualcosa di sbagliato se tutto va bene (ride).

Be’, per quel che vale, Taylor Swift era una grande fan della serie e mi ha detto che le era piaciuta la stagione finale.
Ecco. Sapevo di amarla!

C’è stato quel momento alla fine, in cui tu e il resto del consiglio direttivo ridete dell’idea di democrazia: più di una persona ha pensato che quello fosse il punto di vista dell’autore, che gli showrunner stessero prendendo in giro la democrazia. Non potevo credere a quella reazione.
Davvero, è assurdo. Tra l’altro è stato tutto girato dopo l’elezione di Trump. Eravamo sul set in Spagna quando Trump è stato eletto. Stavamo dicendo quelle battute e io ero tipo: “Santo cielo. Accidenti”.

In ogni caso, immagino che ti piacerebbe esprimere il tuo sostegno alla democrazia.
(Ride) Sì, grazie. Che funzioni o meno, è un’idea ancora molto forte, e dovrebbe essere rispettata.

Da Rolling Stone US