Pierluigi Pardo: «Vorrei che Springsteen fosse mio zio» | Rolling Stone Italia
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Pierluigi Pardo: «Vorrei che Springsteen fosse mio zio»

Il successo, la musica indie, la passione per The Boss o per gli Oasis, l’amicizia con Tommaso Paradiso e Calcutta. Il mattatore di Tiki Taka e Pressing si racconta.

Pierluigi Pardo: «Vorrei che Springsteen fosse mio zio»

Pierluigi Pardo, Comi/Terenghi / IPA

Un uomo enorme, dal sorriso trascinante e la stretta di mano sincera. Pierluigi Pardo ha quell’ironia romanesca che mette subito a proprio agio. Sarà per questo che è amatissimo dai calciofili, soprattutto quelli giovani, che si sono appassionati al suo Tiki Taka. Il giornalista, però, ha un’altra grande dote: è riuscito ad avvicinare al mondo del pallone anche chi di portieri e fuorigioco non ci capisce una mazza. È un vero showman, capace di raccontare in maniera schietta e comunicativa lo sport più amato nel mondo. A questo si aggiunge che è parecchio ferrato in ambito musicale. Soprattutto per quel che riguarda il rock e l’indie italiano.

Sei diventato un conduttore di culto. Come ti spieghi tutta questa attenzione su di te?
Non lo so, mi fa anche un po’ paura l’eccessiva attenzione. Non ho tutto questo desiderio di essere al centro. Sicuramente non puoi fare questo mestiere se sei timido, se non hai un po’ di ego. Sarei ipocrita se dicessi che non ho ego, ma non ho tutta questa ambizione a condurre 157 programmi. In realtà le cose me le propongono. E poi, un po’ per senso di dovere e un po’ per piacere, le faccio.

Be’, però piace molto il tuo modo di condurre.
Mi fa piacere. C’è una certa velocità, una contaminazione, alla fine ci divertiamo sempre.

In che senso contaminazione?
Io non amo solo lo sport, tanto per esser chiari. Amo la musica, seguo la politica e questo probabilmente si riflette nel modo di condurre.

Quest’anno sei al timone di Tiki Taka e Pressing. Come ti giostri su programmi abbastanza diversi? Iniziamo da Pressing, tornato in onda dopo 19 anni e il cui ultimo conduttore fu Raimondo Vianello.
Paragonato alla grandezza di Vianello perde chiunque. Pier Silvio (Berlusconi, ndr) aveva il desiderio di chiamarlo in questo modo, quindi mi sembrava giusto – se l’editore ti da questa opportunità – assecondarlo.

Senti la concorrenza con La Domenica sportiva?
Quello è un programma più tradizionale, con un pubblico più adulto. Non sento alcun tipo di concorrenza con La Domenica Sportiva, Giorgia Cardinaletti è un’amica, però il format certamente è simile: le immagini delle partite con un commento e un po’ di dibattito.

E Tiki Taka come lo possiamo definire?
Un bel bar, che apre la porta a tantissimi personaggi di mondi diversi e distanti dal calcio, che comunque hanno un’idea sul calcio. E questo mi ha sempre colpito.

Due trasmissioni di successo, Pressing sta andando bene, oltre ogni previsione. Maurizio Pistocchi, che condusse il programma con Vianello, non ha avuto parole benevole. Ha detto che il programma è cambiato, ma non in meglio.
Non ho letto, ma non amo rispondere a nessuno.

Forse è rimasto un po’ deluso perché si aspettava di essere chiamato?
Non lo so, sono cose sue, in ogni caso, c’è massima libertà: ognuno può dire quello che vuole. E comunque, quando ci vediamo in redazione ci salutiamo tranquillamente.

I tuoi detrattori vedono la tua conduzione troppo ‘spettacolarizzante’.
Nel programma si parla di calcio in maniera informale. Così come nel tanto amato Controcampo degli anni ’90: le sparate di Mughini, le moviole, le polemiche. Da noi, e questo mi inorgoglisce, vengono i grandi personaggi del mondo del calcio, ma anche gli intellettuali, gli artisti, i rappresentanti del tifo delle principali squadre che si sfidano dialetticamente. Poi ovvio, se dovessi fare un programma per il canale della Federcalcio o su una pay tv di nicchia, avrei un approccio molto più tecnico. Tiki Taka è un programma da tv generalista che deve fare ascolti e che quando era nato, cinque anni fa, sembrava un esperimento con poche possibilità di riuscita.

Perché?
Era una formula televisiva morta dai tempi del Processo di Biscardi: una trasmissione di parola, del giorno dopo, sul pallone. E per di più su una tv generalista, dove se non fai un ascolto decente ti chiudono. E dico giustamente, visto che Mediaset vive di pubblicità. Quindi rivendico il fatto di aver fatto qualcosa con punti di vista diversi. Sono a favore della contaminazione, sono dell’idea che bisogna mischiare i piani, tra persone, stili, culture.

Hai paura che ti bollino come “poco serio”?
Io non sono serioso e nemmeno il programma lo è. Raccontiamo una cosa divertente, il pallone esiste e ci fa litigare, esultare, piangere, ma sempre in maniera serena, è un piacere della vita.

Resta che stai avendo un’ondata di popolarità mica da poco…
A me della popolarità non frega niente. Mi fa piacere fare cose che vanno bene, ma dell’essere oggetto di gossip non mi interessa. Fosse per me starei tutto l’anno in barca, al largo di Ponza, ascoltando musica indie.

E i programmi?
La mia passione è fare le telecronache, senza alcun dubbio. Quello che è arrivato in più mi è capitato.

Dite tutti così, che le cose vi capitano…
Ma davvero mi è capitato. Io a Mediaset dovevo fare il telecronista. Poi mi hanno proposto un piccolo programma, Premium Football Club su Mediaset Premium. È andato bene. Poi mi hanno affidato 11 su Italia 2 ed è andato bene anche quello. A quel punto mi hanno chiesto se volevo provare a fare Tiki Taka, visto che c’era un buco in palinsesto. Siamo al sesto anno e ne sono orgoglioso. Non ho l’ansia da prestazione di dover dimostrare chissà che cosa al mondo. Non ho l’obiettivo di condurre Sanremo, ecco.

E Sanremo, visto che l’hai tirato fuori, lo condurresti?
Beh, certo, ma non credo di essere all’altezza e se dovessi scegliere, preferirei sempre la telecronaca della finale di Champions League.

Passiamo alla musica. Hai ospitato Calcutta e Thegiornalisti a Tiki Taka, addirittura prima del boom. Ti piacciono i contautori indie, c’è poco da fare.
Mi piace il fatto che ci siano delle belle canzoni. L’ultimo album dei Thegiornalisti è molto onesto, molto vero, accattivante dal punto di vista musicale, le canzoni spaccano, ci sono cinque o sei hit, è suonato bene e c’è tutta la verità di Tommaso (Paradiso, ndr).

E qual è questa verità?
Parla della sua vita: del cane, dell’amico del cuore che si lascia con la fidanzata, cose così. Credo che sia proprio questo il segreto del suo successo.

E di Calcutta che mi dici?
È un ragazzo simpaticissimo, scrive delle cose piuttosto geniali con uno stile molto personale.

E poi?
E poi Niccolò Contessa per me è un genio, I Cani li amo alla follia e so che stanno tirando fuori qualcosa di nuovo. Sono in astinenza.

Altri nomi?
Le Luci della Centrale Elettrica a chi è che non piacciono? E poi, guarda, io sono un impressionista nella vita. Non è che mi metto lì e per i prossimi otto mesi mi ascolto tutte le canzoni perché voglio fare il critico musicale. Faccio come nel calcio: mi imbatto in delle cose, ho delle sensazioni e, magari, le racconto.

Prima della musica indie che ascoltavi?
Facciamo la marchetta al mio libro Lo stretto necessario. Il mio romanzo, ambientato nel 2006, con tutta una serie di limiti temporali legati al periodo, è zeppo di citazioni. Ci sono pezzi della narrazione che si confondono con momenti musicali. Da Springsteen, guru del protagonista e anche un po’ mio, ai Placebo e gli Oasis. Io ho fatto l’Erasmus a Londra nel 1995/1996 quando è uscito (What’s the story) Morning Glory?. Era l’anno della rivalità tra Blur e Oasis.

Tu da che parte stavi?
Ovviamente con gli Oasis. Ma mi piacciono anche i Pulp, i Placebo, i The Cure, i Pearl Jam, i Pink Floyd. E poi i cantautori italiani: De Gregori, Guccini, Dalla, De André, Fossati.

Va bene, ma adesso parliamo di Acqua Parda, il finto spot che ha preceduto i live di Calcutta a Latina e Verona. Com’è nata ‘sta cosa?
Calcutta mi ha mandato un vocale, non di dieci minuti, ma di 40 secondi, forse. La sera subito dopo Brasile-Belgio, io ero in aeroporto e stavo tornando verso Mosca. Mi fa (e qui imita Calcutta, ndr): «C’ho un’idea, vorremmo fare questa cosa. Vengo io a Sabaudia, andiamo a cena». È venuto e abbiamo registrato. Doveva essere uno spot, ne abbiamo fatti quattro in questo posto sul lungomare di Sabaudia. L’ambientazione era molto anni ’70, molto video di Paracetamolo.

Quindi sarai contento del seguito dei tuoi amichetti.
Mi fa piacere perché voglio bene a Calcutta e voglio bene a Tommaso. Sono due persone che mi piacciono, che cerco di frequentare, che mi stimolano e, quindi, faccio il tifo per loro.

Ma qual è la musica che ha segnato la tua vita?
Be’, gli Oasis. Wonderwall è una canzone alla quale sono legato tanto. Poi, da pischelletto progressista di Roma Nord, De Gregori e Guccini erano i miei cantautori del cuore. Anche Springsteen è molto importante per me, anche se legato a una fase più matura.

Vedo che gli Oasis e i brani di (What’s the story) Morning Glory? tornano spesso…
Lo ricollego ai miei 20 anni, l’Erasmus, la Student Union, una certa Rebecca di Leeds. Sono gli anni in cui si è sospesi in quella dimensione in cui tutto è ancora possibile. In cui non si fanno calcoli sul futuro, in cui non c’è nulla da difendere, ma tutto da conquistare. Si è completamente aperti nei confronti del mondo. Durante quell’Erasmus a Londra ho saputo che Tele+ cercava telecronisti. C’ho avuto una botta di culo, mandai la cassetta e poco dopo iniziai a collaborare con loro. Inizialmente mi fecero fare solo tre partite, una gavetta infinita.

E degli altri artisti che ti piacciono cosa mi dici?
I cantautori italiani, secondo me, sono straordinari. Sono stato a cena con De Gregori ed è stato uno dei massimi momenti di emozione della mia vita.

Come ti è sembrato?
Sorprendentemente simpatico. Anche lui è appassionato di calcio e di portieri. Davvero grandioso.

E Guccini, mai incontrato?
Sono stato in gita a Bologna, quando andavo al liceo. Bussammo a casa di Guccini, ci aprì la porta e ci fece sentire le canzoni dell’album Quello che non….

Arriviamo a Springsteen. Mai conosciuto?
No, l’ho visto una decina di volte ai concerti. Non gioco a fare lo springsteeniano, perché c’è chi ne sa cento volte più di me, ma Springsteen è lo zio che vorrei avere. È un esempio di vita per quello che è, per quello che rappresenta, per l’energia che ha e perché non si è mai sputtanato. Ha raccontato l’America in una maniera incredibile e fa politica senza farla, senza dover fare la dichiarazioncina tutte le volte. Fa politica con le sue canzoni, nel senso più bello e più alto del termine. Quindi è sicuramente una figura chiave.

Passiamo alla tv. Da conduttore, cosa guardi?
Tanto calcio giocato, poi Le Iene quando ho possibilità di vederle, guardo tanta La7, Floris, Formigli. Sono molto curioso sulla nuova Rete 4. E poi scanalo, come tutti.

C’è un programma non sportivo che senti nelle tue corde?
Uno show tipo quelli di Fazio o di Cattelan. Anche i quiz mi piacciono, c’è una componente di gioco che mi diverte. Credo di essere adatto ai game show dove c’è il rapporto umano con il pubblico, dove si può interagire con la gente.

Be’, visto che si parla di un ritorno della Ruota della Fortuna potresti proporti.
La Ruota della Fortuna è divertente, c’è andato pure Renzi, se non sbaglio.

Già, mentre Salvini partecipò a Il pranzo è servito.
Evidentemente (ride, ndr) in Italia per diventare premier o vice premier devi passare dai quiz. Una sfida Renzi-Salvini in un gioco non sarebbe male.

Quali conduttori tv ti piacciono e quali no?
Qui è delicata eh! Comunque a me Floris piace molto, ha una leggerezza che è veramente il segreto del suo successo. È rassicurante anche quando si esprime politicamente. Ha un’aria che lo rende pop, che lo fa risultare simpatico. E Bonolis è una forza della natura.

Chi non ti piace?
Bah, non c’è nessuno che non mi piace. Vale come per i calciatori, come per i cantanti: c’è il fuoriclasse, quelli molto bravi e quelli normali.

Qual è il ricordo più bello di questo mestiere?
Nel ’96 stavo andando in agenzia di viaggio per prenotare una vacanza vicino ad Alicante, a Santa Pola. E mia madre, da casa, riuscì a recuperare il numero dell’agenzia per dirmi che il sabato successivo sarei dovuto partire perché quelli di Tele+ mi avevano ascoltato. E mi volevano affidare quella che sarebbe stata la mia prima telecronaca. Me lo ricorderò sempre.

Le cose più rock che hai fatto nel tuo lavoro?
Suonare in diretta perché sono una pippa. E poi fare i collegamenti in giacca, cravatta e costume perché ero in Brasile e facevano 30°.

Solo?
In effetti ho anche intervistato David Luiz abbastanza alticcio dopo una finale di Champions.

Sembri sempre così pacato. Non ti incazzi mai?
Sulle imperfezioni, quando ho l’adrenalina della puntata. È piano di cose che non mi piacciono e che, in video, farei in maniera diversa. Non sono mai soddisfatto al 100%, sono un perfezionista.

Solo quello?
Le critiche preconcette mi danno fastidio, perché non si basano sulla sostanza delle cose, ma sulle etichette. Le bordate di quello che ti dà contro perché gli stai sulle palle e poi, magari, neanche ti conosce. Sono il piccolo rovescio della medaglia di un lavoro bellissimo.

Ma che canzone potrebbe descrivere questo periodo?
Forse Champagne supernova degli Oasis, “The world’s still spinning ‘round, we don’t know why“.

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