Questo articolo è stato pubblicato su Rolling Stone US il 29 aprile 2004.
Una sera di non molto tempo fa, Quentin Tarantino ha mangiato un’omelette greca in una tavola calda di Los Angeles e si è trovato improvvisamente a corto di parole e non disposto a spiegare il perché. È un fatto sorprendente, probabilmente non gli era mai successo prima. Di solito parla fino a far sanguinare le orecchie e a chiedere pietà, e stasera aveva già detto molto.
Ha detto che per colazione di solito alterna Special K e farina d’avena; che una delle prime cose che fa appena si alza dal letto è «pisciare» (e su questo, una donna anziana seduta lì vicino ha ringhiato: “Posso chiederle di abbassare la voce?”); che Kill Bill – Volume 2, il suo ultimo film e il seguito di Kill Bill – Volume 1 dell’anno scorso, è «molto più emotivo e più aggressivo, molto più tragico, più profondo»; che si è talmente «femminilizzato» durante la stesura della serie Kill Bill, con la sua protagonista donna-guerriera supersexy, che «ora posso comprare un vestito a una ragazza, e lei lo indosserà e le piacerà: non perché l’ho comprato io, ma perché ho sviluppato il buon gusto»; che una volta, in cerca di redenzione per una cattiva azione compiuta, ha seriamente pensato di tagliarsi un dito («ma sono riuscito a tirar fuori il coltello»); che «se qualcuno entrasse in casa mia, lo ucciderei senza fare domande, niente di niente»; e che «se andassi in prigione, non mi farei inculare. Diciamo che davanti mi trovo Mike Tyson. Ecco, potrei staccargli il labbro a morsi. Mordergli lo scroto. Potrei aprirlo in due. Queste sono le cose che potrei fare. E le farei».
Ha anche detto di avere un set di lenzuola color lavanda per il suo letto, ma che quelle che ha ora sono azzurre.
Insomma, ha detto molte cose diverse su molti argomenti senza farsi problemi. Eppure si è trovato in difficoltà quando si è trattato di parlare di Uma Thurman, la star dei due Kill Bill e di Pulp Fiction, e di rispondere alla domanda su come mai lei sia la sua musa, come lui la chiama spesso: «la mia musa».
«Non lo so», ha detto, con una mano tesa come a tirarsi il lungo mento. «È solo una bella connessione avvenuta mentre stavamo facendo Pulp Fiction. Voglio dire, von Sternberg aveva Marlene Dietrich, Hitchcock aveva Ingrid Bergman, André Téchiné aveva Catherine Deneuve. È un legame speciale che sono orgoglioso di avere e spero che un giorno la gente faccia riferimento a me e Uma come agli altri. Ma il fatto è che è così e basta, e ci sono certe cose che non voglio comprendere più a fondo. Voglio solo che così sia e così si faccia».
Sembra quindi che ci sia una ragione per la sua reticenza. Sono in gioco forze delicate che non devono essere disturbate. Si dà il caso, però, che noi non siamo Tarantino; di conseguenza, non condividiamo nessuna delle sue preoccupazioni. Inoltre, siamo affascinati da questa faccenda della musa, non avendone mai avuta una noialtri, e vorremmo tanto intravedere il suo funzionamento interno. Non sappiamo se questo sia possibile con Thurman. Ma ci auguriamo che lo sia e, se lo fosse, speriamo di non essere a corto di parole per spiegarlo.
Tarantino: cinefilo nerd, chiacchierone da bar, liceale che ha abbandonato la scuola, affabulatore indefesso, apparentemente feticista dei piedi, genio-artigiano del caos cinematografico. Thurman: equilibrata, fredda, magra, terribilmente alta, discreta, figlia di intellettuali di Manhattan ramo spiritualità. Sono passati undici anni da quando i due opposti si sono guardati negli occhi per la prima volta, per girare Pulp Fiction, l’opera seconda che ha consacrato la carriera di lui (come se il primo, Le iene, non l’avesse già fatto) e che ha dato una svolta a quella di lei (dopo i fallimenti della Grande promessa e Gli occhi del delitto). In seguito, lui è sembrato scomparire, per poi riemergere solo per essere poco apprezzato, come attore in Dal tramonto all’alba e come regista del divertentissimo Jackie Brown. Thurman, nel frattempo, si è dedicata principalmente a film d’autore poco visti, con qualche sporadica puntatina in Serie A (The Avengers – Agenti speciali, Batman & Robin). Poi, durante un incontro casuale tra i due nel 2000, lui si appassionò all’idea di una saga di vendetta suggerita da lei per la prima volta durante il periodo Pulp, la chiamò Kill Bill, impiegò diciotto mesi per scriverla (con Thurman sempre in mente come protagonista, nel ruolo della Sposa in cerca di vendetta e spada con tuta gialla e spada), ha impiegato cinquanta settimane per girarlo, si è reso conto che non poteva essere contenuto in un solo film e lo ha diviso in due: il primo capitolo è un action senza sosta e pieno di sangue, un omaggio all’amore di Tarantino per i film di kung-fu, gli spaghetti western e simili; il secondo è molto di più.
Fuori dallo schermo, Tarantino fa quello che vuole, con poche conseguenze. Si presenta con un atteggiamento odioso al Tonight Show di Jay Leno, dopo quattro gustosi apple martini. Si fa di ecstasy a Pechino. Prende a pugni un tassista per qualche incomprensibile trasgressione. In giro per il mondo, rimorchia ragazze a destra e a manca, assaporando i vantaggi di essere un regista famoso. In alcuni ambienti tutto questo potrebbe essere disapprovato, ma a lui non importa. Tutto contribuisce alla sua gloria e alla sua reputazione.
Per Thurman, invece, non è stato così facile. La rottura con il marito, l’attore e scrittore Ethan Hawke, è avvenuta proprio in concomitanza con l’uscita nelle sale del primo Kill Bill e ha fornito molto materiale ai tabloid, poiché lui l’avrebbe tradita, ma solo perché pensava che lei l’avesse tradito con Tarantino. È stata una brutta faccenda, anche se in seguito Thurman ha cercato di tirare dritto senza pensarci, cosa che sembra essere il suo modo di fare. «Quest’anno la situazione è stata un po’ complessa, ma io, nei confronti della celebrità, sposo la una filosofia del “chi gioca, paga”», ha detto alla stampa. «Suppongo che sia il mio destino che i miei alti vengano oscurati dai bassi».
Per quanto riguarda l’eventuale storia d’amore tra Tarantino, 41 anni, e Thurman, 33 anni, entrambi dicono che non c’è mai stata. Secondo Tarantino, è vero che una volta ha detto a un giornalista: «Non sto dicendo che non c’è stata e non sto dicendo che c’è stata», ma il commento è stato preso totalmente fuori contesto. «Ne abbiamo parlato», ha detto di recente. «Lei sa che non direi mai una cosa del genere. Il modo più semplice per far arrabbiare Uma è parlare di lei con i giornalisti». E come tutti sappiamo, se hai una musa, l’ultima cosa che vorresti fare è farla arrabbiare.
Quando Thurman arriva alla Gramercy Tavern di Manhattan per la nostra cena, è quasi senza fiato, con i capelli biondi e lunghi che le ricadono sulle spalle. Indossa una giacca di jeans, una camicetta bianca molto scollata e dei pantaloni con un motivo a spina di pesce. Ordina un succo di mirtillo e una soda con un tocco di lime e, dopo alcuni convenevoli, si china in avanti, sorride e dice: «Ok, facciamo così, perché il tempo è così prezioso: quanto hai visto del film? Sei andato in sala di montaggio? Quali parti ti sono state mostrate?».
La prendiamo con filosofia, perché questa è la Uma Thurman che ci aspettiamo, la voce ferma e diretta, con due figli a casa (Levon Roan, 2 anni, e Maya Ray, 5) che aspettano di essere messi a letto. Si presenta come una donna molto concreta e un po’ fredda, e a quanto pare lo è anche con la maggior parte delle persone. «È una delle mie migliori amiche», dice Tarantino, «ma se non ti conosce è molto riservata. Con Uma la sensazione è che debba lasciarti entrare». Tutto questo è molto bello, ma dobbiamo entrare al più presto. Così, appoggiandoci allo schienale e girandoci di lato, guardiamo Thurman da lontano, la valutiamo e le diciamo: «Be’, sei proprio una piccola Signorina Efficienza».
Lei ci guarda come se nessuno l’avesse mai chiamata così. «Sì», dice alla fine. «Non hai idea. Non hai idea!».
E poi, proprio in quel momento, inizia a ridere di quella sua risata gutturale, da torrente in piena. È quasi una melodia, sguaiata e intima allo stesso tempo, e tende a coprire tutti gli altri suoni in una stanza.
Noi sorridiamo.
Lei sorride.
Le chiediamo: «Cosa pensi del fatto di essere la musa di Quentin?».
Con un gesto arioso della mano, risponde: «In realtà, non so cosa ne penso. Voglio dire, cosa significa musa? Qualcuno che ispira [un artista]? Sono seria. Non so cosa significhi. Comunque, non credo di aver fatto alcuna riflessione al riguardo. Ho letto i copioni, ho condiviso con Quentin le mie idee e mi sono quasi ammazzata per aiutarlo a fare il film alla grande. Ma non ho passato molto tempo su un piedistallo a riflettere. È fantastico se mi trova una fonte di ispirazione. Ma non c’entra nulla con quello che ho fatto».
Senza ulteriori indugi, apre il menu. «Ti andrebbe un antipasto?», chiede. «Il cibo qui è molto buono, ma è un po’ particolare. Che ne dici di un’insalata di carciofi? Ne prenderò una anch’io e magari qualche ostrica, tanto per festeggiare, per assumere un po’ di metallo pesante e per eccitarmi un po’. Sì, ci vuole un po’ di mercurio velenoso».
Questo è stato il mio primo incontro con Uma, che a quanto pare è tanto restia a essere la musa di Tarantino quanto Tarantino è restio a dire che tipo di musa sia. Ci sentiamo un po’ persi, e non sappiamo cosa fare di lei e delle sue parole. Ostriche di metallo pesante? Un po’ di mercurio velenoso? È tutto piuttosto inquietante. Ma ci piace e decidiamo di seguire la corrente: forse alla lunga ci porterà da qualche parte.
Anche il primo incontro fra Tarantino a Thurman è avvenuto durante una cena, e anche questa è stata un’esperienza piuttosto inquietante. Era il 1993, e lui cercava un’attrice per interpretare Mia Wallace, la moglie del gangster in Pulp Fiction. Aveva visto di recente Thurman in Lo sbirro, il boss e la bionda e Analisi finale e non pensava che fosse adatta alla parte. In realtà, non aveva nemmeno intenzione di incontrarla. Ma il suo agente insistette, e una sera Tarantino la raggiunse a cena a Los Angeles.
«Tutte le altre persone con cui avevo parlato avevano le loro idee sulla sceneggiatura», ricorda Tarantino. «Forse a Uma non piaceva, o forse non l’aveva nemmeno letta, ma si era imposta di non parlarne molto». Parlava, invece, della sua vita e lui della sua, e nella mente di Tarantino sembrava improvvisamente che stessero recitando una delle scene più memorabili di Pulp Fiction, quella in cui Vincent, il sicario, deve portare Mia, la moglie del suo capo, fuori a cena, e finiscono in un juke joint rétro a ballare tutta la notte.
«Se ricordi quella scena», continua Tarantino, «quelle due persone non si conoscono veramente. È una situazione strana, un po’ insolita. Si trovano lì insieme, e nel corso di quella notta si crea un legame. Si immedesimano l’uno nell’altra e iniziano ad apprezzarsi a vicenda. E io e Uma stavamo facendo quella scena. Stavamo vivendo il film. Me ne sono andato pensando: “Wow, chi è quella ragazza? Dio, potrebbe proprio essere Mia!”».
Si sono poi incontrati a New York, hanno cenato di nuovo, hanno parlato a malapena del film e sono finiti di nuovo nell’appartamento di Thurman, dove Tarantino le ha chiesto di leggere una scena per lui. Lei si è scolata qualche bicchierino di vodka per sciogliersi, si è messa all’opera ed è stata bravissima.
«Tuttavia, stavo ancora vedendo altre attrici, e non sapevo che Uma sarebbe stata Mia fino all’incontro successivo», racconta Tarantino. «Ero con un’attrice fantastica che aveva capito perfettamente la parte. Ma io ero seduto lì a dirle i miei pensieri privati su Mia – cose di cui io e Uma avevamo parlato e che non sono scritte nel copione – quando all’improvviso mi sono sentito come se stessi tradendo Uma. Mi sembrava di avere una relazione illecita. Come posso parlare di Mia a un’altra ragazza quando Uma è Mia? È stato allora che ho capito».
«E poi Uma ha rifiutato! Sono andato fuori di testa. Ma il suo agente mi disse: “Sai, Quentin, ha appena avuto una pessima esperienza con Stanley Kubrick, e ti sta dicendo di no prima che tu possa dire di no a lei. Chiamala e parlale”». Lui lo fece e il giorno dopo Thurman accettò: «Ci sto. Sono la tua Mia. Sono pronta a cominciare».
E così Tarantino trovò la sua musa.
Si sente un rumore, come lo spezzarsi di un ramo, venire dalle mani di Uma. «In realtà», dice Uma tra un’ostrica e l’altra, «avevo rifiutato perché non lo conoscevo e il copione mi spaventava. E poi abbiamo bevuto vino, non vodka, ne sono abbastanza sicura. È stato un provino molto strano. Non era normale. Io ero un po’ fragile in quel momento, ma Pulp Fiction ha finito per essere una grande esperienza per me. Intendo dire, lui l’ha resa una grande esperienza per me».
«Cos’è stato quel rumore?», le chiediamo. «Ti sei appena rotta le nocche?».
«Non lo so», risponde lei. «Forse stavo armeggiando nervosamente con le mani».
Noi la guardiamo, con la testa inclinata, riflettendo sullo spazio tra le parole e tra le azioni. Sappiamo una o due cose. Sappiamo, per esempio, che durante le riprese dei due Kill Bill, Tarantino amava far passare a Uma le pene dell’inferno sul set. David Carradine, che interpreta Bill, ci ha raccontato di una conversazione avuta con Uma, durante la quale l’attrice ha detto qualcosa del tipo: “Perché Quentin mi fa queste cose? Mi fa sempre a pezzi, mi ricopre di fango, mi fa legare e mi spara in faccia con un fucile. Che diavolo è questa merda? Voglio dire, dice di amarmi, ma che tipo di amore è questo?”. Potrebbe trattarsi solo di una battuta. Ma ora ci viene in mente che forse una sorta di strano psicodramma non dichiarato si sta svolgendo davvero, in questo rapporto regista-musa: lui la ama segretamente, lei prova segretamente il contrario? E improvvisamente ci ritroviamo a dire: «Ti piace stare con Quentin?».
Le prime parole che escono dalla bocca di Uma sono: «In passato mi è piaciuto», e sappiamo di essere sulla buona strada. Ma poi Uma le ritratta, più o meno. «Sì, certo che sì», dice. «Ho passato molto tempo con lui. Ogni tanto riesce a calmarsi, soprattutto quando è a tu per tu con te. A volte bisogna interromperlo e lui sbotta in qualcosa tipo: “Non ho finito il mio discorso!”, e si arrabbia. Ma va bene così. Vengo da una famiglia che si interrompe molto quando gli altri parlano, quindi le persone prepotenti, intense e verbose mi sono del tutto familiari. Posso sopportarlo».
«Ed è vero che ha un feticismo per i piedi?».
Uma ride. «Credo di sì. E anche che gli piaccia negarlo. Non ho avuto una conversazione approfondita con lui al riguardo. Quanto potrebbe essere lunga la conversazione, soprattutto se non si condivide il feticcio? Voglio dire, sono le dita dei piedi? O i tacchi? Ci sono delle scarpe coinvolte? Che cos’è esattamente? Ma ha fotografato i piedi di tutti, non solo i miei. Ogni scena aveva un’inquadratura sui piedi. L’idea era che si potesse realizzare un intero film con i dialoghi sovrapposti ai piedi, e probabilmente si sarebbe ottenuta una narrazione abbastanza completa».
Pensiamo che siano stati svelati dei segreti. Ma perché? Forse Uma si sta stancando del suo ruolo di musa e non vuole più contenere del tutto i suoi sentimenti. Dev’essere strano per lei essere la musa di un uomo. Anche se non è una cosa sessuale, è una cosa intima; e probabilmente è anche un po’ inquietante che lei sappia che, mentre dorme, Tarantino sta senza dubbio pensando a lei… e ai suoi piedi, più di ogni altra cosa. Ci giriamo di lato sulla sedia e la fissiamo di traverso.
«Cosa c’è? Cosa c’è?!». Uma quasi strilla. «Perché continui a guardarmi così?».
Siamo pronti a rispondere, ma prima che riusciamo a farlo lei manovra un limone sopra un’ostrica e un po’ del succo ci schizza in faccia, facendoci esclamare: «Un’iniezione di acido!».
«Oh, cazzo, ti ho preso? Mi dispiace tanto!», dice Uma, ridacchiando. «Ti è finito nell’occhio? No. Hai gli occhiali. Grazie a Dio. Altrimenti ora staresti piangendo… Cosa mi stavi chiedendo?».
«Ti manca Quentin quando è in sala di montaggio e non lo senti per settimane?».
«Ogni tanto ci parlo», risponde lei. «Ma io e lui abbiamo questa piccola battuta. In realtà, credo di avergliela detta io. “Quando il telefono non squilla, sono io che penso a te”».
E ancora una volta ride di quella sua risata squillante e melodiosa.
In realtà, Tarantino e Thurman sembrano persone così diverse che è difficile capire come possano tollerarsi a vicenda – o, piuttosto, come lei possa tollerare lui. Come lei stessa afferma, lui è prepotente, intenso, verboso e una mina vagante sul set, mentre lei è tutto il contrario. In effetti, durante la lavorazione di Kill Bill, i due hanno spesso litigato. «E quando succedeva», racconta Tarantino, «l’intera troupe rimaneva traumatizzata finché non finiva. Era una cosa del tipo: “Oh, merda, mamma e papà si sono arrabbiati, e non sarà mai tutto a posto finché non lo saranno più”».
A differenza di lei, lui è aperto a tutto e, per esempio, non ha problemi a parlare della sua “formazione” sessuale, per quanto a volte sia stata strana. Ha perso la verginità a sedici anni e dice: «Credo di essere venuto nel momento in cui il cazzo ha toccato la figa, voom» – cose normali. La seconda volta che ha fatto sesso aveva diciassette anni, ed è stato con una prostituta a pagamento. L’episodio è avvenuto nella casa di Harbor City, in California, dove viveva con la madre, che quel giorno non c’era. «Quella ragazza era molto gentile, molto carina, ma è stata un’esperienza piuttosto degradante e sento che mi ha tolto qualcosa. Comunque, l’abbiamo fatto nel letto di mia madre». Pausa. «Col senno di poi, quella è stata probabilmente la parte migliore».
Tarantino e Thurman sono due mondi a parte. Sulla perdita della verginità e su quando è avvenuta, Uma si limita a dire, malinconicamente: «Troppo giovane. Troppo giovane».
In effetti, passiamo molto tempo a guardare Uma, ma non c’è nulla di particolare; cerchiamo solo di guardare dietro gli angoli della sua pelle color marzapane per vedere di più di quello che potrebbe esserci dentro, perché le parole arrivano solo fino a un certo punto e lei sa essere molto discreta.
«Com’è essere single?», le chiediamo.
«È piuttosto strano», dice. «L’ultima volta da “non sposata” avevo venticinque anni e non avevo due figli. Quindi è una situazione completamente diversa. Non riesco proprio a relazionarmi con gli altri».
«Ha avuto diversi appuntamenti?».
«No. Ho conosciuto una persona e la sto frequentando».
Conosciamo già il suo nome: è il ricco albergatore André Balazs. Le chiediamo: «Ma fai sul serio con lui?».
«Smettila!».
«Ok, ma sei molto fortunata».
«Ad aver conosciuto una persona? Molto».
«Quindi non c’è stata una serie di appuntamenti prima di incontrare quell’unica persona?».
«No».
«Ma mettiamo che qualcuno ti approcci, magari in un bar: quale frase potrebbe funzionare?».
«“Ehi, sei Uma Thurman? Pensavo fossi così figa al liceo!” (ride). Non proprio così. In realtà, gli uomini non mi approcciano», dice. «O almeno molto raramente, anche quando ero più giovane. La celebrità fa paura alla gente. La maggior parte delle persone non vorrebbe chiedere a una persona famosa di uscire, perché si sentirebbe stupida: quella persona ovviamente direbbe di no».
«E diresti di no se non fosse un’altra persona famosa? Pensa a Hugh Grant in Notting Hill».
«Vuoi dire se fosse un normale essere umano? Be’, ho frequentato persone che non hanno dovuto rinunciare alla loro privacy. Ma i loro amici commentano la cosa in modo strano. Non è come se avessero una nuova fidanzata. Si crea una sorta di imbarazzo sociale. Almeno, questo è quello che ricordo».
«Quando qualcuno ha Uma Thurman come fidanzata, cosa ottiene?». Uma ci guarda storto.
«No, no, non sessualmente», le diciamo. «Ho incontrato una ragazza a Los Angeles e…».
«Non dirmi che ti sei innamorato di un’attrice», dice Uma, avanzando sulla sedia e mostrando un interesse genuino.
«No, di una lesbica», rispondiamo all’improvviso e senza alcun motivo, se non quello di essere ancora mezzi affascinati anche dopo essere stati abbandonati per una ragazza di nome Kim.
«Non va bene per te», dice lei dolcemente, con una risatina divertita ancora più dolce.
E per il modo in cui ha pronunciato quelle cinque parole, ci sentiamo improvvisamente liberati dal fascino della lesbica. Nello stesso istante, per la prima volta, intravediamo anche, almeno in parte, come Uma debba operare in qualità di musa di Tarantino.
Ma su questo dovremo tornare più avanti, perché ora c’è poco tempo per soffermarsi su questo tema. Dobbiamo infliggere a Uma un’infelice tortura, che riguarda la fine del suo matrimonio con Hawke.
«Affrontiamo la questione in questo modo», cominciamo noi. «Una volta hai detto: “È meglio avere una relazione con qualcuno che ti tradisce che con qualcuno che non tira lo sciacquone”».
«Oh, è una vecchia citazione», dice lei, non infastidita. «Non so che senso abbia oggi. E non so cosa sia meglio, altrimenti sarei ancora sposata».
«E poi, da Howard Stern, sembra che tu abbia lasciato intendere che tutti gli uomini tradiscono…».
«Non ho detto proprio così. Ma credo che in un certo senso stessi cercando di difenderlo, dicendo: “Non facciamone un dramma”».
«Be’, tradire è orribile», diciamo noi, «ma ciò che potrebbe non essere così orribile sono i sentimenti su cui non si ha controllo».
«Sì», dice lei. «Questo è vero. Come per la maggior parte delle azioni, l’importante è l’intenzione».
«Sai qual era l’intento di Ethan?».
«È così ingiusto da parte mia parlarne», dice Uma, con le labbra e le palpebre che cominciano a gonfiarsi un po’. «Non è un bene per i miei figli. Il suo intento è quello di essere una persona felice. E spero che ci riesca. E mi dispiace se prima non era felice. Non so cos’altro dire».
Possiamo vedere le lacrime formarsi agli angoli dei suoi occhi, e su Hawke non dice altro. Ci siamo spinti abbastanza in là. Non bisogna mai far piangere una musa. Le muse devono stare al di sopra del frastuono della vita comune e quotidiana, guardandoci dall’alto in basso e continuando a fare le loro cose da muse.
Quando dà gli ultimi ritocchi a un film con Thurman, Tarantino non è mai lontano da lei, anche quando lei è lontana da lui. Di recente, lei era a New York e lui a Santa Monica, in una sala di missaggio, mentre su uno schermo di fronte a lui scorrevano immagini di Thurman nei panni della Sposa, mentre si faceva infliggere qualsiasi cosa. Si faceva torcere il braccio quasi fino a romperlo, colpiva un muro con un pugno fino a sanguinare e si ritrovava crudelmente colpita alla testa con un bastone.
Studiando quest’ultima sequenza, Tarantino dice a un tecnico del suono: «Quando viene colpita in testa, voglio più un “ponk” in stile I tre marmittoni».
«Un “ponk” spiritoso?», chiede il tecnico.
«Sì», risponde Tarantino. «Un “ponk” spiritoso è esattamente quello che sto cercando».
E pochi minuti dopo, è esattamente quello che ottiene: una specie di “ponk” vuoto, divertente, proprio sulla testa di Thurman. A volte, lavorando in questo modo, Tarantino parla ad alta voce alla Uma che vede sullo schermo. Anche se lei non può sentirlo, lui dice cose come: “Brava, Uma”, o “Oh, mio Dio, ce l’hai fatta, è fantastico, grazie, fantastico!”, o, se è scontenta di qualche sua azione, “Maledizione! Oh, cazzo! Maledizione!”.
«Quando sono in post-produzione», dice una sera dopo il lavoro, «passo un sacco di tempo senza parlare con Uma. Ma, in realtà, lavoro con lei ogni giorno. La vedo ogni singolo giorno. Non mi viene mai in mente di non averle parlato nella vita reale o di non averla vista, perché sto lavorando con lei proprio come sul set. Sono con lei ogni singolo giorno».
Questa può essere un’esperienza comune tra registi e attori, ma nel caso di Tarantino e Thurman è particolarmente interessante da studiare, soprattutto alla luce di ciò che anche David Carradine ha avuto da dire su di loro: «Non credo che siano mai stati amanti o che lui sia innamorato di lei. Lui dice: “Voglio dirigerla per il resto della mia vita”, ma non ha bisogno di essere innamorato di Uma. Ha sempre queste bellissime ragazze attorno. In altre parole, il suo attaccamento emotivo a lei deve restare una cosa leggera. Il cinema è la cosa più seria per lui».
Ma in larga misura, Thurman è i suoi film – solo lei poteva essere Mia in Pulp Fiction, solo lei poteva essere la Sposa in Kill Bill – quindi se è seriamente legato emotivamente a un aspetto, dev’essere seriamente legato anche all’altro. Potrebbe non essere innamorato di Thurman. Ma potrebbe essere ossessionato da lei. Infatti, prima di separarsi da Thurman, Ethan Hawke una volta si è lamentato del fatto che probabilmente non avrebbe mai avuto la possibilità di lavorare con Tarantino, se non altro perché, ha detto, «penso che sia così ossessionato da mia moglie che non credo che lo farò mai». Alla luce di questo, si comincia a capire quanto psicodramma possa esserci nella relazione Thurman-Tarantino e perché Tarantino potrebbe non voler indagare troppo a fondo o, almeno, non volerlo analizzare se non nella sua testa.
Più parliamo con Uma durante la nostra serata a base di ostriche, più scopriamo le qualità esteriori di una musa raffinata e deliziosa. A colazione mangia crusca con uva passa. È pessima a raccontare le bugie e quasi sempre viene scoperta («Credo che derivi da un profondo senso di colpa. Non ho un buon rapporto con l’inganno»). Quando è profondamente imbarazzata, le sue guance e le sue orecchie tendono ad arrossarsi. Il suo unico vero vizio è fumare Marlboro Light di tanto in tanto. Ha una parolaccia preferita ma preferisce non rivelarla, perché «gli adulti non dovrebbero dire parolacce». Su quel ragazzo di diciassette anni che si scopava una prostituta nel letto della madre, dice: «Be’, aveva una marcia in più!». In passato è stata soprannominata Schmoo, Ooms, Oom e Booma. Soffre di vertigini ed è un po’ claustrofobica, ma, dice, «devo essere messa in una bara per uscirne fuori». Preferisce non raccontare storie imbarazzanti su di sé al liceo, credendo che non interessino a nessuno, ma se dici qualcosa del tipo: «A noi interessa. Ci interessa profondamente. Non sai quanto ci teniamo», si metterà a ridere.
Dal nostro punto di vista, tutto questo è molto divertente. Ma è anche un po’ più di questo, perché, proprio come Tarantino e Uma una volta hanno avuto la loro cena con scena “meta” direttamente da Pulp Fiction, ora ci sembra che noi stiamo avendo la nostra.
«Ti faccio una domanda», dice verso la fine. «Perché mi guardi di traverso dal momento in cui ci siamo seduti?».
«Solo perché anche tu mi guardi di traverso».
«Ma io lo faccio solo perché sono seduta accanto a te. Credo che tu mi stia guardando di traverso di proposito».
«No, no. È solo l’angolazione».
«Forse è così», dice lei, sapendo che è meglio così.
«Forse lo è», diciamo anche noi, guardandola negli occhi. «Hai mai dato un nome al pene di un uomo?».
Lei arriccia il naso. «No, non l’ho mai fatto. Non mi sembra molto sexy dare un nome ai peni. Ma forse in futuro lo farò, e se lo farò, darò un nome a ciascuno di loro…». E qui pronuncia il nostro nome quattro volte.
Da un lato siamo lusingati. Tuttavia, riflettendoci, potrebbe anche voler dire: “Sei uno stronzo, sei uno stronzo, sei uno stronzo, sei uno stronzo”. Ma se fosse così, sarebbe la musa più ironica che ci sia mai stata, e anche la più intelligente.
La vediamo ancora una volta, il giorno dopo, in un edificio del Lower East Side di Manhattan. Anche Tarantino è lì. Non li vediamo parlare molto tra loro. Lui è in una cucina e racconta quello che ha sentito dire sull’Islanda, che le ragazze lì sono bellissime, che lo amano e che sarebbe un pazzo a non andarci. Uma, nel frattempo, è dietro una parete, temporaneamente fuori dalla nostra visuale. Da ieri sera, abbiamo riflettuto a lungo sui suoi possibili modi di essere una musa, e ora pensiamo di aver capito meglio perché Tarantino dice che preferisce non parlarne, perché anche noi la pensiamo così. È una cosa delicata, resa ancora più delicata perché ne sembra inconsapevole. «Non va bene per te», aveva detto a proposito della nostra relazione lesbica a Los Angeles e, per quell’istante, era stata la nostra musa. Faceva tutto quello che fanno tutte le brave muse: ispirare, correggere e istruire con parole così pure e semplici che ti insegnano a fare meglio la prossima volta. Ricordiamo di aver sentito che a volte opera in modo simile con Tarantino. Mentre scriveva Kill Bill, lui le leggeva spesso parti della sceneggiatura. Lei non aveva mai molto da dire, costringendolo a chiederle: “Quindi non ti piace davvero?”. E poi lei borbottava qualcosa, e lui tornava al suo taccuino, per sistemare quello che c’era da sistemare, anche se lei non aveva detto che c’era qualcosa da sistemare. Forse è questo che intende quando dice che lei è la sua musa: che tira fuori il meglio di lui senza nemmeno provarci. Forse è una cosa così semplice e rara e un motivo sufficiente per volerla dirigere per il resto della sua vita.
Ci spostiamo alla finestra di una stanza interna e guardiamo il piano sottostante, Uma e Tarantino sono in piedi. Dopo un attimo, Uma alza lo sguardo, ci sorride e ci saluta. Poi, qualche ora dopo, ci rivede e ci dice: «È tutto il giorno che penso a voi». E poi aggiunge, ridendo: «O non proprio…». Ride di nuovo e comincia a punzecchiarci sul petto, facendoci indietreggiare lungo un corridoio. «Tu e le tue indagini sul pene, e i tuoi sguardi di traverso. Che cos’hai in mente? Qual è il tuo piano? A cosa diavolo stai pensando? E perché ti sei appostato lassù? Caro, non sono cieca. Ma fai pure: impiccami, linciami, piantami dei chiodi…».
In un certo senso, non vorremmo niente di meglio, ovviamente. Ma lei ha già Tarantino nella sua vita, e lui si sta già occupando di tutto questo.