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Regina King, se la vita potesse parlare

Dopo il suicidio del figlio Ian, l’attrice premio Oscar torna su Netflix con ‘Shirley’, storia della prima donna nera candidata alla Casa Bianca. Una parabola di lotta e coraggio che le è servita per andare avanti. «Anche se il mio processo di guarigione non finirà mai, devo solo accettare la mia nuova vita. Ma sarò sempre la sua mamma»

Tutti abbiamo una cosa che ci irrita particolarmente, ma per Regina King il suo ultimo progetto è un tentativo di risolvere la sua personale idiosincrasia. E si tratta di una soluzione così necessaria che ha richiesto quasi 15 anni di lavoro.

Dal 22 marzo su Netflix, il nuovo biopic Shirley vede King nei panni dell’indomita Shirley Chisholm, la politica di Brooklyn che nel 1972 è passata alla Storia per essere stata la prima donna nera a candidarsi alla Presidenza degli Stati Uniti. King interpreta il ruolo principale, ma ha anche contribuito allo sviluppo del film insieme a sua sorella Reina, avendo condiviso per anni la frustrazione data dal fatto di entrare in stanze dove la gente non sapeva proprio chi fosse, Shirley. «In molti non conoscono la storia di Chisholm», dice King. «Per questo io e Reina abbiamo deciso che doveva essere raccontata».

Nota per i suoi ruoli in Boyz n the Hood, Jerry Maguire, The Leftovers – Svaniti nel nulla, Watchmen e Se la strada potesse parlare, per il quale ha ricevuto l’Oscar come miglior attrice non protagonista, King ha trascorso quasi quattro decenni a Hollywood definendosi sia come attrice che ruba la scena anche quando interpreta ruoli secondari che come intrepida regista (il film Quella notte a Miami… ed episodi di serie come Scandal e This Is Us), ed è stata premiata con quattro Emmy, il suddetto Academy Award e molti altri riconoscimenti da parte della critica. Ma Shirley non è solo il sogno di una vita finalmente realizzato: è anche il suo primo ruolo dopo la perdita del figlio Ian Alexander Jr., morto suicida nel 2022.

«Shirley è l’unico progetto in cui ho recitato [da allora]», dice King. «Dovevo portarlo a termine perché ho sempre detto a Ian: “Finisci quello che hai iniziato”. E perché Ian era così… perché è parte integrante di Shirley. È stato al mio fianco in tutto questo».

Mentre passeggia in una piovosa Los Angeles insieme a Earl, il suo Labrakita di tre anni, King parla con Rolling Stone della riscoperta della persona dietro la carriera politica di Chisholm, del gioco alla base del lavoro da regista e di come imparare ad abbracciare questa sua nuova normalità.

In questo film interpreti Shirley Chisholm, la prima donna nera a candidarsi alla Presidenza. Pensi che quando parliamo di figure della Storia capaci di raggiungere proporzioni così mitiche, i loro successi possano superare i fatti più concreti che le riguardano?
Penso che questo sia vero per qualsiasi grande figura. Che si tratti di uno spaccato di vita o di una biografia dalla nascita alla morte, non m’interessa dedicare due ore alla visione [di un film] e andarmene senza sentirmi diversa.

Che cosa è stato più importante per te nell’approccio a questo ritratto?
La somiglianza emotiva e l’interiorità di Shirley. L’imitazione diventa spesso una caricatura. La cosa che più mi preoccupava [era che] la mia rappresentazione o incarnazione di Shirley fosse vista come un’imitazione invece che come la celebrazione di un essere umano. Spero che gli spettatori escano da questa visione più interessati nei confronti di qualcuno che ha lottato così tanto. Non voglio entrare nel dibattito politico di oggi, perché è troppo deprimente. Vorrei solo avere un po’ dell’energia di Shirley, del suo spirito combattivo.

Dopo il successo di critica di Quella notte a Miami…, di cui hai firmato la regia, ti sei stupita che non ti siano piovute addosso altre opportunità dietro la macchina da presa?
Ne sono arrivate, ma erano progetti che non mi interessavano. Sfortunatamente, questo è un settore in cui le persone vogliono essere le prime ad essere… le seconde: all’improvviso, c’è quest’esplosione di sceneggiature sui diritti civili, o ambientate in un hotel, o addirittura in una stanza.

Cosa ti attira dell’esperienza della regia?
Mi piace essere la persona da cui parte l’idea. E poi condividi queste idee con i tuoi capi reparto, e loro si entusiasmano e le portano avanti, e poi ti suggeriscono cose a cui tu non avevi pensato. È davvero divertente. Adoro questo processo, è come risolvere un rompicapo. Trovo questa modalità di lavoro davvero eccitante.

So che tu e il tuo cane state facendo una passeggiata in questo momento. Qual è la cosa che preferisci dell’avere un animale domestico?
Earl era il cane di [mio figlio] Ian, e quando Ian ha deciso di compiere quel passo ho sentito che… sono una persona molto spirituale, e ho sentito che Ian stava mettendo in atto delle cose per prendersi cura di me. L’amore di Earl è incondizionato. Non c’è giudizio. Quando sono triste, corre da me anche se è dall’altra parte della stanza. Pensa di essere un cane piccolo – pesa 40 chili – e cerca letteralmente di abbracciarmi.

Regina King è Shirley Chisholm in ‘Shirley’. Foto: Netflix

Mi è dispiaciuto molto sapere della scomparsa di tuo figlio Ian. Com’è stato per te il processo di guarigione?
Solo chi ha subìto una perdita che ti ha cambiato la vita, una perdita traumatica, capisce che ci si trova sempre in un luogo di guarigione. Quando parlo con altre persone che hanno perso i figli, anche dopo 16 o 18 anni sembrano essere distrutte quanto me. Quindi non è tanto la guarigione, quanto l’accettazione del fatto che il rapporto con la persona che rappresentava tutta la tua vita è cambiato. So che mio figlio era esausto, logorato dalla vita, perché lui stesso me lo diceva. Ed è egoistico dire che vorrei che fosse ancora qui, perché non vorrei che fosse qui a soffrire. Si tratta solo di accettazione. Accettare che l’universo ha scelto questo viaggio per Ian. Non avrei voluto che andasse diversamente. Rifarei tutto allo stesso modo solo per essere sua madre. La gioia più grande che ho ricevuto nei miei 53 anni di vita su questa Terra è essere stata la mamma di Ian. E sarò sempre la sua mamma.

Ci sono altre cose che portano pace e gioia nella tua vita in questo momento?
Sto cercando di capirlo. È una cosa devastante, non la augurerei a nessuno. Ma quando si vive pubblicamente, le cose cambiano. Dovendo intraprendere il tour promozionale dei progetti che erano già stati avviati, ho dovuto parlare con il mio team su come muovermi, perché non so come non parlare di Ian. Come faccio a non crollare e a non perdere il controllo? C’è un’ansia costante. E poi Ian è sempre presente, mi manda dei segni. A volte un’alba, a volte un tramonto: il colore preferito di Ian è l’arancione. Questi momenti mi aiutano a superare il dolore. È come se mi abbracciasse.

Da Rolling Stone US

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