Ridley Scott ha le lacrime agli occhi. La rivelazione che sono un newyorkese ha spinto il leggendario regista a lanciarsi in un tortuoso racconto di quando, dopo essersi laureato al Royal College of Art di Londra, aveva ottenuto una borsa di studio itinerante.
«Mi chiesero: “Dove vuoi andare?”, e io, ventiduenne a Londra, risposi: “Voglio andare a New York”», ricorda.
Quando arrivò nella Grande Mela, a Scott fu detto che il posto più economico dove alloggiare durante il periodo di borsa di studio era l’YMCA. Era il 1960, dopotutto.
«Così alloggiai all’YMCA tra la Nona Avenue e la 34esima Strada… non ho intenzione di dire altro a riguardo», dice ridacchiando.
L’ottantacinquenne regista di classici come Alien, Blade Runner e Il gladiatore sembra essere di buon umore. È l’inizio del press tour per Napoleon, la sua imponente epopea sulle conquiste militari e sessuali di Napoleone Bonaparte, e ben prima che una serie di domande fastidiose sull’accuratezza storica del film spinga l’irascibile britannico a sparare controrepliche davvero esilaranti (tipo: «I francesi non si piacciono nemmeno» e «Mi scusi, amico, lei era lì? No? Be’, allora chiudi quella cazzo di bocca»).
Data la venerazione di Scott per il defunto Stanley Kubrick, suo idolo cinematografico, c’è qualcosa di poetico in questo film. Napoleon, come forse saprete, era il più grande progetto non realizzato di Kubrick, che lo aveva ampiamente studiato e indagato. Lo aveva immaginato con Jack Nicholson nel ruolo di Napoleone e Audrey Hepburn in quello di sua moglie Giuseppina, e aveva in qualche modo convinto l’Esercito Popolare Rumeno a impegnare 40mila uomini per le scene di battaglia, ma fu costretto ad abbandonarlo a causa dei costi e dei bassi incassi del film Waterloo di Sergej Bondarčuk del 1970.
Ma Scott è sempre efficiente, e il suo Napoleone è qui. Il film è interpretato da Joaquin Phoenix nel ruolo dell’imperatore francese e da Vanessa Kirby nel ruolo di Giuseppina, una cortigiana che è tanto prolifica in camera da letto quanto Napoleone lo è sul campo di battaglia. La loro è una storia d’amore perversa, al limite del BDSM. E questo è un film di Ridley Scott, quindi sapete che ci sono battaglie epiche a bizzeffe, compresa una in cui il piccolo francese spara palle di cannone contro le piramidi.
In una chiacchierata con Rolling Stone, Scott ha parlato di Napoleone, delle scene di sesso e del perché ci sarà un rinoceronte assassino nel Gladiatore 2, che sta attualmente girando.
Cosa l’ha spinta ad affrontare Napoleone Bonaparte?
Nessuno è più importante di Napoleone nella Storia. Ci pensi: è stato Alessandro Magno? Era più facile essere potenti nell’antichità? Non lo so. Napoleone ha letteralmente creato il suo Impero d’Europa. E credo che più avanti nella sua carriera abbia guardato agli Stati Uniti perché suo fratello, il colonnello Bonaparte, si era stanziato a New York.
In che modo il fatto che Napoleone sia stato la balena bianca di Kubrick ha influenzato il suo approccio?
Be’, Stanley è stato una delle maggiori influenze sul mio cinema. Metteva sempre sé stesso al centro dei suoi film. La storia era sempre la parte fondamentale. Credo che, quando stava girando Barry Lyndon, stesse pensando a Napoleone. Quel film è ambientato quasi in epoca napoleonica. Quando Kubrick è morto, sono riuscito ad arrivare alla [sua] sceneggiatura su Napoleone come soggetto, l’ho letta e ho pensato fosse nata per non diventare mai un film. Penso che Stanley avrebbe impiegato due anni per ridurre la sceneggiatura a ciò che poteva funzionare. Un po’ come Scorsese, in effetti. Non conosco Martin, ma ho sempre ammirato il modo in cui si prende il tempo necessario per arrivare al punto che desidera. Ci vuole coraggio quando si lavora con film ad altissimo budget. Ho iniziato a pensare di fare questo film solo tre o quattro anni fa, e mi sono detto: i campi di battaglia sono noiosi, le scene di sesso nei film sono noiose, e la caratterizzazione sessuale della relazione tra due persone è la cosa più interessante che quasi sempre guida la narrazione. È molto interessante il fatto che lui fosse un uomo così potente ma così vulnerabile con la donna della sua vita, Giuseppina.
In effetti, il ritratto di Napoleone che emerge dal suo film è proprio questo.
Giuseppina era considerata una cortigiana d’alto bordo – una “donna libera”, o addirittura una prostituta – e queste cortigiane erano tradizionalmente mantenute dagli aristocratici francesi. Questo divenne l’obiettivo di Napoleone: che cosa c’era in lei che lo aveva convinto? E cosa c’era in lui che la coinvolgeva così tanto? Lei cominciò a capire che lui era una bestia rara, per via della sua ambizione e soprattutto del suo coraggio nel portare a termine ciò che diceva di voler fare. Arrivò ad ammirarlo prima di provare un reale affetto nei suoi confronti. Lo rispettava. Lui era generoso nel modo in cui difendeva i suoi diritti di ex moglie, pagando i suoi debiti e prendendosi cura di lei fino alla tarda età. Una delle parti più belle del film, per me, è quando lui prende il figlio che ha avuto dalla principessa d’Austria e permette a Giuseppina di tenerlo in braccio come se fosse suo.
Nel film c’è un elemento quasi sadomaso nella loro relazione.
Sì. Lei si pentì profondamente di aver perso il bambino. E lui rimpiangeva profondamente di aver perso lei. Anche durante il suo esilio, continuava ad andare a trovarla. E non credo che ci siano stati rapporti tra loro, in quel momento. Credo che fosse solo preoccupato per la sua salute.
Mi incuriosisce la sua crescente attrazione come regista, negli ultimi anni, per le dinamiche del potere tra i due sessi: The Counselor, The Last Duel, House of Gucci e ora Napoleon.
Le donne sono state figure forti della mia vita, a partire da mia madre, che diceva di essere alta un metro e cinquanta ma in realtà era alta un metro e settanta. Senza nulla togliere a mio padre, che descriverei come un uomo dolce. Mia madre era quasi l’uomo di casa perché dominava, e dominava tre ragazzi: me, Tony che ha girato Top Gun e un altro fratello che a 28 anni è diventato capitano di Marina, ha navigato nel Mar Cinese Meridionale fino a Shanghai ed è stato fatto a pezzi dai jet MiG. Quind ha fatto bene a essere dominante, ma quello che ci ha insegnato è stato l’essere ordinati. Siamo ancora tutti ordinati, con le scarpe sempre pulite. Ci ha anche insegnato la coerenza sopra ogni cosa, e a non arrenderci mai. Lei non si sarebbe mai arresa. Era una donna tostissima. È morta a 98 anni, e io ero convinto che sarebbe vissuta fino a 102 anni.
Pensa che il fatto di aver avuto una madre “dominante” abbia portato a una così alta presenza di protagoniste femminili forti nel suo cinema? Ripley, Thelma & Louise, soldato Jane e Patrizia Reggiani…
La mia società (la RSA Films, nda), che ha cinquant’anni, ha avuto probabilmente cinque o sei amministratori delegati, quattro dei quali erano donne. Perché il lavoro veniva semplicemente affidato alla persona migliore su piazza. Trovo che sotto molti aspetti le donne siano più forti degli uomini. Con Sigourney [Weaver] ho seguito un processo creativo particolare. Soldato Jane è poco considerato, l’ho guardato di recente e ho pensato: “Questo è un film davvero a favore delle donne”. Thelma & Louise è una scelta ovvia: ho letto la sceneggiatura e ho pensato che avrebbe dovuto essere più, oserei dire, divertente. Se lo avessi fatto diventare un docudrama serio, avrei fatto arrabbiare tutti gli uomini degli Stati Uniti, e io volevo che la gente vedesse il film. Ho chiesto a Callie [Khouri, la sceneggiatrice]: “Quello che racconti succede anche a te?”. E lei ha risposto: “Ogni giorno!”. Avevo così tanto rispetto per mia madre che ho sempre portato questa forma di rispetto nei confronti dell’altro sesso.
Pensa che, in quanto a scene di sesso, riuscirebbe mai a superare Cameron Diaz che fa l’amore con una Ferrari in The Counselor?
Probabilmente no. Ho mandato il copione a Cameron e le ho detto: “Allora… che ne pensi?”. E lei ha risposto: “Allora cosa?”. E io: “Ok!” (ride). Cormac McCarthy, a mio avviso, è probabilmente il miglior scrittore di dialoghi di sempre. The Counselor è uno dei miei film preferiti, ma ha un sottotesto molto dark, che si percepisce fin dal primo minuto. È così cupo perché si basa su una buona dose di verità. Sono rimasto molto deluso [dal risultato al box office], e non so a chi dare la colpa perché penso che il film sia davvero bello. È così divertente, così cinico. La gente invece lo prende così sul serio! Forse solo ora lo stanno capendo davvero. Mi dà fastidio il fatto che i miei film tendono ad essere capiti più tardi. Il più famoso è Blade Runner, che è rimasto a dormire per vent’anni e poi è stato riscoperto per caso al Santa Monica Film Festival.
Qual è il miglior consiglio che ha ricevuto?
A scuola non andavo bene, ho cambiato dieci istituti diversi. In America li chiamano esami di ammissione, ma in Inghilterra ti valutano su otto o nove materie, e io sono stato promosso in una sola materia – storia dell’arte, perché ero bravo a disegnare – mentre in tutte le altre sono stato un disastro. Mia zia mi disse: “Voglio che tu vada alla scuola d’arte”. E io l’ho fatto. Andai alla scuola d’arte e per me fu l’alba di un nuovo giorno: passai i sette anni successivi a studiare per diventare pittore, designer e fotografo.
A che punto è Il gladiatore 2?
Ho appena guardato il primo montaggio. L’ho già tagliato un po’. Ho girato per nove settimane, poi è arrivato lo sciopero e mi sono dovuto fermare. Dopo nove settimane siamo a un’ora e 45 minuti. Ci saranno tanti effetti visivi. C’è anche un rinoceronte che piomba in un’arena e cerca di uccidere tutti i presenti.
Cosa l’ha spinta a rivisitare il mondo del Gladiatore?
Amo i film storici. Per molti versi, le mie esperienze migliori sono state I duellanti, Le crociate – Kingdom of Heaven e Il gladiatore. Il gladiatore ha avuto un grande successo, e il successo fa sempre bene. Ho quasi sempre un film d’epoca nel cassetto, perché la Storia mi affascina moltissimo. Anche se con la Storia non impariamo nessuna lezione, non è vero? Continuiamo a ripetere gli stessi errori, Dio santissimo…
In America lo facciamo spesso.
Sì, ma l’America io l’ho sempre vista come l’epitome della democrazia. E amico, al momento lo è ancora… Siete davvero gli unici al mondo rimasti a quel livello. Non dovete cedere su questo punto.
Cosa l’ha convinta a scegliere Paul Mescal come protagonista del Gladiatore 2?
Mi serve sempre una storia della buonanotte, quindi ogni sera guardo qualcosa. Sono un grande appassionato di notizie, dunque prima di tutto guardo il telegiornale: quello della CNN, che è la mia rete preferita. Penso che si attengano più o meno alla verità. Molti dicono che non lo fanno, ma in realtà è così. Poi ho trovato Normal People e ho pensato: “È interessante”. Sia la ragazza che lui erano molto reali. E già pensavo: “Tra un anno potrebbe essere il protagonista che prenderà il posto di Russell Crowe”. Ho contattato Paul Mescal e lui mi ha risposto: “Sì, assolutamente”. Commodo è il fratello di Lucilla. Lucilla ha un figlio, Lucio, nato dall’unione tra lei e Massimo, che lei ha tenuto segreto. In realtà è la storia di “Che fine ha fatto Lucio?”. C’erano molti dettagli imprecisi nel Gladiatore, ma credo che sia venuto dannatamente bene. Non era certo una lezione di Storia, abbiamo barato molto lungo il racconto, ma ci siamo basati molto sugli ultimi giorni di Marco Aurelio, il cui figlio era appunto Commodo e la cui figlia era Lucilla.
Molti dei suoi film hanno indagato l’intelligenza artificiale. È un tema che la preoccupa?
Ho sempre pensato che il mondo sarebbe stato gestito da due corporazioni, e credo che stiamo andando in quella direzione. La Tyrell Corp in Blade Runner possedeva probabilmente il 45-50% del mondo, e uno dei suoi giochi preferiti era creare la replicazione attraverso il Dna. Tyrell si crede un dio, e nel primo Blade Runner crea una femmina Nexus. E la femmina Nexus avrà una durata di vita limitata perché l’IA diventerà pericolosa. Dobbiamo bloccare l’intelligenza artificiale. E non so come fare per bloccarla. Nel governo si discute di come bloccare l’IA. State scherzando, cazzo? Non riuscirete mai a bloccarla. Una volta che è fuori, è fuori. Se sto progettando un’intelligenza artificiale, progetterò un computer il cui primo compito è quello di progettare un altro computer più intelligente del primo. E quando quei due computer si mettono insieme, allora sei nei guai, perché possono prendere il controllo dell’intero sistema elettrico-monetario del mondo e spegnerlo. Questo è il primo disastro. È una bomba atomica tecnologica. Pensate a cosa significherebbe per tutti noi.
Volevo chiederle quale effetto pensa che l’IA avrà su Hollywood, visto che è stato un punto fondamentale dello sciopero, in particolare quello degli sceneggiatori. Uno dei timori è che gli Studios inseriscano un libro nell’IA, ne facciano uscire un “adattamento” e poi paghino gli sceneggiatori veri e propri a tariffa giornaliera solo per rielaborarlo.
Già. Devono assolutamente impedirlo, e non so come si possa controllare. Un altro esperto di IA ha detto: “Stiamo esagerando con il panico. Certo, ho un computer che può sconfiggere un maestro di scacchi in un’ora perché possiamo dargli in pasto ogni mossa immaginabile attraverso i dati, e lui elabora in pochi secondi 1.900 mosse prevedendo ciò che lo sfidante dopo…”. C’è qualcosa di non creativo nei dati. Si può ottenere un dipinto creato da un computer, ma mi piace credere – e lo dico senza alcuna certezza – che non funzionerà con ciò che richiede emozioni e anima. Detto questo, la cosa mi preoccupa comunque.
Può parlarmi del suo adattamento di Dune, che è stato interrotto? È interessante che Denis Villeneuve abbia diretto sia il nuovo Dune che Blade Runner 2049.
Stavo per fare Dune con Dino De Laurentiis. Stavo girando Legend quando ho chiamato un tizio di nome Rudy Wurlitzer, che aveva scritto Strada a doppia corsia e Pat Garrett e Billy Kid. Ci siamo messi lì insieme e abbiamo iniziato a lavorare sull’adattamento di Dune. Lui ha scritto un’ottima sceneggiatura, avevamo tutti i set pronti, e Dino ha detto: “Con quello che costerà, dovremo girarlo a Città del Messico”. Ci andai, e non mi piacque l’idea di passare un anno a Città del Messico. I pavimenti dello studio erano di terra! Così mi sono tirato indietro. Dino non è mai riuscito a realizzarlo, è rimasto in sospeso. Peccato, era un buon copione scritto da uno sceneggiatore davvero bravo.
Ho avuto il piacere di intervistare il suo defunto fratello Tony. Come ha affrontato la sua perdita e cosa le manca di più di lui?
Bere vodka martini. All’epoca riuscivo a farmene tre, ora non ci riesco più, ne bevo solo uno. Quando avevo vent’anni e frequentavo la scuola d’arte, c’era una macchina da presa Bolex nuova di zecca nell’armadio. Ho detto al direttore del dipartimento: “Le vacanze estive si avvicinano. Posso prendere in prestito la macchina fotografica? Non so perché, ma vorrei fare un film”. E lui: “Cosa? Tu?”. E io: “Perché no?”. E lui: “Be’, se vuoi prenderla in prestito, ti serve una sceneggiatura”. Così, durante il fine settimana, ho scritto una sceneggiatura. E ho preso la macchina da presa. All’epoca ero ossessionato da Ulisse, mi colpiva la natura visiva della scrittura di Joyce. Così ho realizzato la mia versione, in cui un ragazzo decide di marinare la scuola per un giorno pensando che troverà la libertà, ma scoprirà invece che è tutto l’opposto della libertà, è una prigione a cielo aperto. Passa tutto il giorno a nascondersi, è il contrario di quello pensava di ottenere.
È un’idea molto matura per uno studente.
Ho avuto la cinepresa per un mese. Tony era il tipo che dormiva fino all’una, così sono andato da lui e gli ho detto: “Alzati! Ho una macchina da presa e faremo un film”. Mio fratello era l’attore e mi aiutava con l’attrezzatura, abbiamo fatto questo piccolo film che si intitolava Boy and Bicycle. È costato 65 sterline, durava mezz’ora ed è ancora nella biblioteca del British Film Institute. E sa una cosa? Funzionava, cazzo! A quel punto ero ossessionato dai registi giapponesi come Kurosawa, che aveva sempre queste bellissime immagini in bianco e nero. Credo che il mio dono sia lo sguardo, ma quel piccolo film è bellissimo perché ha quel flusso di coscienza che era proprio di Tony. Mentre lo stavamo montando, so che lui mi odiava: gli avevo rovinato le vacanze estive. Ma non ci siamo resi conto che stavamo formando una partnership per la vita. Mi manca terribilmente.
Abbiamo appena avuto Barbie e Oppenheimer, che hanno ottenuto risultati incredibili al botteghino. Come pensa che sarà il futuro del cinema in sala? Si tratterà perlopiù di cosiddetti “film evento” in formato IMAX?
Spero vivamente di no. Mia figlia ha appena terminato il suo secondo film, che ha scritto per Eric Bana, e che tratta del cultismo a Berlino. Un ragazzino di 16 anni, con il suo dannato cellulare, non esce mai di casa e finisce in un buco nero per cui pensa di essere un fallito. Così questa setta inizia a tenere d’occhio i ragazzi come lui e ad adescarli. Questo è il suo film. E io le ho detto: “Cosa ti ho fatto perché tu scrivessi questo? È colpa mia?!”.