Ho studiato fotografia e graphic design alla Royal College of Art di Londra, perché lì il dipartimento di cinema non esisteva. Poi, durante il corso dei miei studi, ho deciso di fare un film – Boy on a Bicycle del 1965 – usando una Bolex 16mm. Mio fratello Tony faceva l’attore, il montatore e il responsabile tecnico, mio padre invece interpretava un cieco fuori di testa. Quando il British Film Institute vide il mio lavoro, decise di finanziare il film, che in totale costò 250 sterline». Ecco come è iniziata la carriera di Ridley Scott, uno dei registi più innovativi e visionari della Storia, responsabile tra l’altro di film cult come Blade Runner – di cui sta producendo il sequel – il leggendario spot 1984 per Apple Mac e, soprattutto, la saga di Alien, il cui ultimo capitolo, Alien: Covenant, esce l’11 maggio.
Avido fumatore di sigari e grande estimatore di malt liquor, Ridley Scott è per me direttamente responsabile di paura/claustrofobia/terrore per lo spazio, così come Spielberg lo è stato per l’acqua con il suo Lo Squalo. Oltre ad aver creato per primo la genesis della figura dell’eroina femminile ammazza-tutti-a-calci-in-culo con la magnifica Sigourney Weaver-Ripley: fucile a ripetizione e Reebok Alien Stomper. Covenant è il secondo capitolo della trilogia di prequel iniziata con Prometheus, e si ricollegherà all’Alien originale del 1979. Narra la storia di un equipaggio alla ricerca di un pianeta abitabile per cominciare una nuova colonia umana, ma quello che sembra un paradiso si rivelerà un mondo insidioso e pericolosissimo. Nel cast ritroviamo il sintetico Michael Fassbender, reincarnato in due versioni (David e Walter), Noomi Rapace, Katherine Waterston (la nuova Ripley), James Franco, Guy Pearce, Danny McBride, Demian Bichir, Carmen Ejogo, Callie Hernandez e Billy Crudup. Avanti con le domande!
Trovate l’intervista completa al regista e al protagonista Michael Fassbender sul numero di Rolling Stone in edicola.
Sir Ridley Scott (e diamogli l’onorificenza!), sei famoso per essere contrario ai sequel. C’è un motivo particolare per cui, invece, hai deciso di fare questo?
Vero, non ho mai voluto fare un sequel, ma uno dei vantaggi di avere una certa età (79 anni, ndr) è il fatto che puoi cambiare opinione e nessuno si azzarda a romperti le palle. Ho deciso di fare Prometheus perché non potevo credere che, dopo quattro Alien, nessuno si fosse mai chiesto l’origine di questi alieni. Eppure è una domanda abbastanza naturale, soprattutto quando si rivelano così minacciosi. Ovviamente, dopo aver aperto il cosiddetto vaso di Pandora, ho iniziato a farmi altre domande, alcune delle quali trovano una risposta in Alien: Covenant. Questo è un film che affronta argomenti come mortalità e immortalità, continuando a esplorare il concetto delle nostre origini, chi siamo e da dove veniamo. Tutti gli Alien diretti da me sono legati al mio credo nell’esistenza di forme extraterrestri. Non credo nel fatto che siamo “semplicemente” il risultato di un incidente biologico. Credo in uno spirito supremo, c’è chi crede nell’esistenza di Dio e chi, come me, in altre specie viventi. Sul nostro pianeta abbiamo ancora più dell’80% delle specie da classificare, persino il posto dove abitiamo per noi è ancora un mistero. Se guardi la complessità dell’Universo, è assurdo pensare di essere l’unica forma vivente e pensante, eppure nel 1979 nessuno credeva negli alieni. Per me è più facile credere alla possibilità dell’esistenza di milioni di pianeti come il nostro, che alla teoria dell’evoluzione.
Sono passati quasi 40 anni dal primo Alien e la tecnologia è evoluta in modo impressionante. Quanto era difficile a quei tempi lavorare senza effetti speciali?
In realtà cerco di usare CGI (Computer Generated Imagery, ndr) il meno possible. Nel primo Alien non esisteva proprio, i tempi non erano maturi. Credo che, quando hai delle limitazioni, sei molto più creativo e innovativo. Troppi effetti digitali rovinano il mistero del film. Quando si può, meglio usare quelli vecchio stile. Per esempio, nel primo Alien l’idea di avere l’androide Ash con il sangue bianco mi è venuta sul set. Gli abbiamo messo delle gocce di latte sulla fronte ed è diventato subito terrificante. Sono sempre del parere di non esagerare con gli effetti: less is more. È come Lo Squalo, il primo è il migliore, perché lo squalo lo vediamo pochissimo, il mostro non è lui, ma l’acqua. Il primo Alien è quello che fa più paura proprio perché è il primo: la storia è molto semplice, quasi da film di serie B, ci sono sette persone a bordo e bisogna capire chi muore per primo. Tutto il resto, invece, è un capolavoro, il cast è fantastico, il lavoro di camera è eccellente, le luci, il montaggio, il design, tutto straordinario. Fare spaventare la gente con un film è un lavoro molto difficile, per me è stato più facile fare film comici come Thelma & Louise, o Il genio della truffa con Nicolas Cage.
Quali sono i tuoi ricordi del primo Alien?
Non so chi abbia pensato che, dopo aver visto il mio primo film I duellanti, sarei stato il regista giusto per dirigere Alien. So che non ero la prima scelta, avevano già rifutato sei registi, compreso Robert Altman. Ho trovato la storia molto interessante, la sua semplicità spartana era terrificante, tutti i personaggi erano importanti, un particolare insolito, soprattutto in un thriller, dove i personaggi spesso sono secondari. Quando ho chiesto alla Fox di darmi 13 milioni di dollari, ho quasi perso il lavoro. Alla fine sono riuscito a farmene dare 8,5 per 16 settimane di riprese. A quel tempo ero un super fan di Jean Giraud a.k.a. Moebius, che disegnava per la rivista Heavy Metal. Guardando le sue immagini pensavo che se fossi riuscito ad applicare il mio stile di design alle immagini cinematografiche, sarei riuscito a girare esattamente il film che avevo in testa. Ecco perché ho deciso di lavorare con artisti come H. R. Giger, che ha disegnato gli alieni, Ron Cobb, responsabile del look dell’astrovane Nostromo, e Moebius, che si è occupato di costumi e tute spaziali. I costumi sono molto importanti per me, aiutano gli attori a calarsi nel ruolo.
Originariamente Ellen Ripley era una parte maschile. Come mai hai deciso di scegliere Sigourney Weaver?
Mi è stata proposta e mi è piaciuta. Ho sempre usato donne forti nei miei film, non pensavo che Ripley potesse diventare la prima eroina cinematografica e aprire la porta a una serie di attrici e donne straordinarie come Noomi Rapace e Katherine Waterston, la nuova protagonista feroce e dal coraggio inarrestabile. Sono sempre stato circondato da donne, tutte le persone che gestiscono le mie compagnie sono sotto il comando di donne, sono loro che controllano il lavoro dei miei uomini! Mi ricordo che l’audizione di Sigourney è stata molto divertente. Le chiesi di recitare una pagina di dialoghi, mentre fumava una sigaretta. La cosa strana era che, come attrice, era bravissima, ma fumava in modo insolito, sembrava imitasse Humphrey Bogart. Quando Alan Ladd Jr., il presidente della 20th Century Fox, vide il filmato mi disse: “Va benissimo, prendiamola. Ti chiedo solo un favore, non farla fumare, è ridicola!”.
Quali sono stati i film più importanti che hanno influenzato la tua carriera?
In casa mia i film dell’orrore erano proibiti: i miei genitori li consideravano allo stesso livello di quelli pornografici! Vivevo a Hartlepool, una piccola città sulla costa della contea di Durham, e l’unico passatempo era andare al cinema. Per me non esisteva il cinema d’autore, guardavo di tutto, da Cantando sotto la pioggia ai film di Ingmar Bergman, Kurosawa e John Cassavetes. Il film fantapolitico e postapocalittico più bello che abbia mai visto è L’ultima spiaggia, con Gregory Peck, Anthony Perkins e Ava Gardner. È un capolavoro della fantascienza, per me pari a Il dottor Stranamore.
È vero che stai già scrivendo il prossimo sequel?
Sì, sarà l’evoluzione di questo, seguito da un altro che ci porterà direttamente nel primo Alien del 1979. Saranno molte le domande che troveranno risposta, inclusa una delle più importanti: come e perché questi alieni sono riusciti a entrare nel corpo dello Space Jockey, il Fantino spaziale.