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Ripartire da Zero(calcare)

Per rivolgersi a un pubblico più ampio, quello di 'Strappare lungo i bordi'. E dietro la sua serie Netflix, c'è uno dei fenomeni più belli e importanti di questi ultimi dieci-quindici anni. Chiacchierata con Michele Rech

Foto: Netflix


Strappare lungo i bordi era in tendenza su Twitter due ore dopo che Netflix l’ha caricata. Madonna quant’è bella, ho riso e ho pure pianto, Calca’ che meraviglia, ‘cci tua Miche’, perfetto perfetto, che capolavoro, ma non spoilerate eh?! Passano le ore e i tweet si fanno valanga. Le prime frasi da scrivere sui muri o sui diari se soltanto usasse ancora: “Pizza margherita o pizza stocazzo?”, “Sei soltanto un filo d’erba in un prato”, “Stavamo sempre a seminà e non raccoglievamo mai”, “Sei cintura nera de come se schiva la vita”, in romanaccio internationale, la lingua dei pensieri di Zerocalcare, così tenera, spiccia, persino spietata. Nel tardo pomeriggio Michele è in collegamento da Milano: «C’ho la faccia mangiata dalla psoriasi, ho dovuto comprare un bite per quanto sto serrando i denti», si lamenta. L’ansia. La prestazione. «Questa notte dovrò leggere tutti i commenti, poi se riterrò che questa roba può essere considerata soddisfacente mi piacerebbe sicuramente ragionare su altre cose».

Risponde così a tutti gli orfani prematuri della prima serie di Zerocalcare. Uscita su Netflix, bevuti in due ore i sei episodi da 20 minuti, bruciata l’attesa di quattro anni. Che avrebbe fatto una serie Michele lo diceva in giro da quando uscì Macerie prime, e i suoi primi sketch approssimativamente animati su Facebook, doppiati da lui stesso a cento all’ora. «All’inizio», ricorda, «c’era la mia ignoranza totale della questione. Pensavo: questa roba me la faccio da solo. Poi ho capito che non si poteva e allora ho pensato di coinvolgere qualche amico capace di fare animazione. Alla fine mi sono reso conto che neppure questo era fattibile, né tecnicamente né da un punto di vista amministrativo, di gestione di un budget. Quindi ho cercato di capire quali erano gli studi italiani che avevano la capacità di confezionare una serie e ho incontrato Movimenti».

Movimenti Production è parte di un network di animatori (che comprende per esempio lo storico Studio Bozzetto), sta a Milano e lavora soprattutto su cartoni per ragazzini. Hanno in portfolio un Topo Gigio per Rai Yoyo, un videoclip per tha Supreme, parecchi progetti in sviluppo. «Li conoscevo già», continua Michele, «e siccome nell’animazione c’è sempre il rischio che tutto venga fatto dagli schiavi in Corea volevo garantirmi da questo punto di vista. Poi ho chiesto di lavorare a questa cosa in maniera anomala, nel senso che ho fatto un botto di robba, gli storyboard, il doppiaggio, le sceneggiature, tutti i personaggi. Sono stato in ogni passaggio della catena di produzione. Loro hanno accettato».

Profuma un po’ di animazione giapponese, la serie. Di linee tonde, inclusive, tra Paperino e Pazienza. «Non è un lavoro indipendente, ci hanno lavorato duecento persone, fatto con un budget che è piccolo per un progetto di animazione ma non è quello di un lavoro indipendente». Come in Rebibbia Quarantine, Michele doppia se stesso. Per un bel po’ doppia anche Secco, Sarah e Alice. L’Armadillo è Valerio Mastandrea, ma il suo è molto più di un doppiaggio: «Valerio ha avuto nella mia vita da tanti anni il ruolo dell’armadillo, nel senso che è venuto in contatto prima di me con tutta una serie di mondi dello spettacolo, mediatici, quindi ha imparato prima delle cose, e per me ha sempre avuto un ruolo tra il gufo e il consigliere. Non mi ricordo neppure di averglielo chiesto, è stata una cosa automatica».

Foto: Netflix

Alla fine, dietro Strappare lungo i bordi c’è uno dei fenomeni più belli e importanti di questi ultimi dieci-quindici anni qui da noi. Arriva uno “dai centri sociali”, solo, con in testa una serie di regole sull’autoproduzione, l’etica del lavoro, le responsabilità nei confronti della propria comunità, l’interrogarsi continuo sul sessismo, il linguaggio, il rispetto – quello che gli squaletti dell’opinionismo al Foglio o dove vi pare non capiranno mai – e riesce a mettere in scena le canzoni che nessuno ha saputo cantare, i film che nessuno ha saputo girare, i libri che nessuno ha saputo scrivere. Riferimento generazionale, commentatore guardingo del presente (vedi le brevi serie su L’Espresso e ora su L’Essenziale, ma anche le apparizioni a Propaganda Live). Sempre più personaggio coi suoi disegnelli, gli accolli, gli armadilli, i tic sull’apparire e non apparire che lo accomunano agli one man show di generazioni preistoriche e ormai in territorio cancel: Nanni Moretti, Woody Allen.

«Quando mi so’ trovato a scrivere, mi rendevo conto di tutta una serie di limiti che avevo rispetto alla gestione di un formato narrativo lungo», dice Michele, che a volte parla come un’assemblea. «Con Rebibbia Quarantine (la microserie per Propaganda Live, nda) mi sono misurato un po’ con quel tipo di ritmo e quindi ho pensato: facciamo come ho fatto coi fumetti, questa prima storia proviamo a raccontarla a blocchetti esattamente come fu per l’Armadillo». Nella Profezia dell’armadillo, dodici anni fa, una linea narrativa forte e profonda teneva assieme tutti i “blocchetti”, le considerazioni sul mondo e sulla vita, quelle veramente importanti, che nessuno è mai capace di mettere in comune.

Foto: Netflix

Chi guarderà Strappare lungo i bordi apprenderà le valenze psicosociofilosofiche nel: cambiare una ruota, prendere un treno, ordinare una pizza, vivere e arredare una casa propria, domare il groviglio di cavi sotto il televisore. Poi c’è la questione tematica. «Se io ho delle storie da raccontare, sono quelle che mi hanno fatto più male nella vita», dice Michele. La serie segue il viaggio in treno di tre personaggi, Zero, Secco e Sarah, a ricucire insieme il senso e il dolore di una di queste storie, come già accadeva nell’Armadillo. «Molte persone vivranno questa come un reboot. In realtà parliamo di due avvenimenti diversi nella vita mia e quindi di due persone completamente diverse. Nella Profezia dell’armadillo stavo molto vicino alla realtà, qui ci sta una dose di fantasia: il personaggio di Alice non è quello di Camille».

Sospeso tra l’adolescenza e l’età adulta che non arriva mai, Zerocalcare non cresce mai. Come Paperino. Come Holden Caulfield, per sempre fermo davanti al laghetto. «Questo sarà il primo approccio al personaggio mio per tante persone. Su Scheletri, l’ultima cosa mia, i miei amici hanno avuto figli, il tempo è passato. Ma questa volta io non potevo partire da lì. Mi serviva presentare l’universo mio a persone che non mi conoscono». L’obiezione viene facile. Zerocalcare esce dalla pagina, si anima, è talmente parte del nostro paesaggio che sembra eccessiva la preoccupazione di ripartire da zero. «Banalmente il mondo dei lettori in Italia è piccolo, e il mondo dei fumetti è infinitamente piccolo», spiega Michele. «Io ho venduto al massimo 120.000 copie, Netflix ha quattro milioni di abbonati in Italia. Non sto facendo un fumetto per i miei lettori, sto facendo una cosa per un pubblico più ampio». Ripartire da Zero(calcare).

Musica di Giancane. Canzoni di Bronski Beat, Fauve e Apparat. Michele rivendica l’intera playlist. Ti facevo più punk, gli dico. «Conta che ho deciso di fare animazione soltanto per metterci le musiche», confessa. «Ma il punk non è in grado di coprire certe atmosfere… In realtà il mio mondo musicale è un po’ indietro rispetto alla mia generazione, sono gli anni ’80, la new wave, quella roba là…». Sofisticatissima la breve citazione del videoclip di Smalltown Boy con la faccia di Calcare al posto di quella di Jimmy Somerville, alla fine di una delle puntate.

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