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Robbie Williams: diventare un ‘Better Man’

La popstar inglese si racconta in un film , nelle sale dal 1° gennaio , che è insieme un anti-biopic musicale (pur restando la perfetta parabola di un artista amatissimo) e una scommessa cinematografica e personale vinta. Lo abbiamo incontrato per parlare di successi, insuccessi, dolore e gloria. E per farci dire se oggi si sente davvero un uomo migliore

Foto: Luca Carlino courtesy of Lucky Red

Ha L-O-V-E tatuato su quattro dita della mano destra. Un nodo da marinaio sul dorso della stessa mano. Sul collo, due paia di occhiali – gli stessi che indossa il suo avatar-scimpanzé sul poster di Better Man, nelle sale con Lucky Red dal 1° gennaio – per guardare con un paio indietro, con l’altro avanti. “L’età si ferma nel momento in cui diventi una persona di successo”, dice Robbie Williams in questo film che lo racconta come nessuna intervista o biografia abbia mai fatto prima d’ora. Ma Better Man è anche l’anti-biopic musicale che, in anni di invasione sugli schermi di biopic musicali, mette in scena la parabola di un artista scegliendo una chiave spericolatamente inedita: il protagonista è, appunto, una scimmia, e te ne dimentichi dal primo minuto esatto, anzi dal primo secondo.

È il mezzo attraverso cui Robbie Williams, narratore della sua stessa storia, torna al suo passato glorioso, burrascoso, in ogni caso grandioso. Anche se, dice sempre lui, «mi guardo indietro solo quando parlo con qualcuno che mi fa le domande giuste». Michael Gracey, al secondo film dopo il greatest success di The Greatest Showman, l’ha fatto. Le sue lunghe conversazioni con Robbie Williams – durante le quali è nata anche una profonda amicizia – hanno portato a questa storia, la sua storia, ma anche la storia di tanti, perché in qualche modo c’eravamo tutti, in quegli anni di alti e bassi, paure e deliri, tormenti ed estasi. E Robbie si è messo gli occhiali, ancora una volta, e ha guardato là dove preferisce non tornare.

Robbie Williams con i fan romani. Foto: Luca Carlino courtesy of Lucky Red

«Mi chiedono costantemente di tornare al mio passato», mi dice nel pomeriggio di un assolato dicembre romano, dopo che la mattina abbiamo presentato il film alla stampa italiana, tra un’esibizione sul palco della finale di X Factor e quella all’Auditorium Ennio Morricone prima della première di Better Man, con la canotta addosso e le torce dei telefonini accese davanti. «Lo fanno perché sto sempre promuovendo qualcosa, un nuovo album, un nuovo tour. E parte della promozione è sempre parlare della mia esperienza di “essere Robbie Williams”. Questa volta non è stato tanto diverso, però è diverso il risultato: lo vedo proiettato sul grande schermo, e ammetto che è piuttosto sconvolgente. Però, in fondo, è la cosa che faccio tutti i giorni della mia vita: chiedermi, monitorare attentamente che cosa vuol dire essere Robbie Williams, e cercare di agire e reagire in modo consono a tutto ciò».

In Better Man c’è Robbie Williams dall’infanzia al successo, e oltre. E in mezzo il rapporto (difficilissimo) con il padre, quello (dolcissimo) con la nonna, e il provino per i Take That, le groupie, le dipendenze, gli amori, Knebworth a testa in giù e la Royal Albert Hall da baronetto del nuovo Brit-pop. «Io e Michael abbiamo parlato per venti ore nel corso di un anno e mezzo, e io gli ho detto tutte le cose che ricordavo sulla mia vita», dice a me. «E molte di queste cose le ho dovute andare a ripescare perché era come se fossero scomparse dalla mia memoria. È stata una catarsi, una terapia. E anche una bella botta di narcisismo». Sul narcisismo Robbie torna spesso. Un po’ per scherzare: «Ho fatto questo film solo come mossa di carriera, per far continuare a parlare di me: è di questo che vivo». E un po’ no: «Non voglio dare messaggi, ma se quello che abbiamo fatto servirà a comunicare qualcosa a qualcuno, a farlo sentire meno solo, allora il mio narcisismo è servito a qualcosa».

La versione “scimmiesca” di Robbie Williams in ‘Better Man’. Foto: Paramount Pictures

Let Robbie entertain us, ancora, per sempre. Anche il Robbie del film è un entertainer nato: è la sua natura, e in fondo anche la sua condanna. Oggi tutto è cambiato: siamo potenzialmente intrattenuti da qualsiasi cosa, e allora cosa fa un intrattenitore nato per mantenere quell’attenzione su di sé? «In fatto di entertainment, quest’epoca è come il selvaggio West». Ma Robbie lo dice senza nostalgia per il passato, anzi. «Ci sono così tante nuove forme di intrattenimento adesso, e per questo è un tempo affascinante ed esaltante in cui vivere. Ci siamo abituati alle nuove tecnologie, che possono trasformare chiunque in una star di YouTube, o di TikTok, o di Instagram. E io questo nuovo flusso lo voglio seguire, perché è totalmente punk. Puoi fare tutto da solo, ed è una cosa che mi gasa moltissimo. Per decenni ci sono stati dei guardiani fuori dalle porte dell’industria, e quelle persone così importanti ti permettevano con la loro grazia di accedere oppure no a certi luoghi, di calpestare il suolo della radio, della televisione. E Dio li benedica, perché hanno lasciato entrare anche me, e di questo gli sarò sempre grato. Ma ora puoi letteralmente prendere una videocamera o uno smartphone e diventare qualcuno o qualcosa. E questo per me è essere un entertainer». Mi chiedo – e gli chiedo – cosa sarebbe successo se Robbie Williams fosse esploso oggi. «Di sicuro sarei diventato un content creator», mi risponde lui con il suo sorriso furbo.

Robbie Williams sul set del film. Foto: Paramount Pictures

As my soul heals the shame / I will grow through this pain”, canta Robbie in Better Man, la canzone che dà significativamente il titolo a questo film. La vergogna, il dolore. Ma si deve passare di lì, insegna lui, per guarire, per crescere. Per guardare non più indietro, ma avanti. E allora gli chiedo cosa vuol dire per lui essere un better man, e se crede di esserlo diventato lui stesso, ora che ha compiuto cinquant’anni. «Sì, oggi sono di sicuro un uomo migliore», risponde Robbie sicuro. «Ho generato così tanto caos nel mio passato, per me e per tutti quelli attorno a me. Sai i tuffatori alle Olimpiadi, che quando entrano in acqua devono fare meno schizzi possibile? Ecco, io prima mi buttavo sempre “a bomba”… splaaaash! Ora invece sto facendo del mio meglio per fare meno schizzi, anche perché in ballo ci sono molte più vite, non solo la mia. Quelle dei miei quattro figli, quella di mia moglie. E so che potrei ancora creare un sacco di caos, per via dei miei impulsi e per la mia innata tendenza ad autosabotarmi. Ma oggi non lo voglio più».

E allora il better man di oggi cosa direbbe alla piccola scimmietta Robbie, quella che genera caos, che spacca tutto, e che però ha prodotto cose bellissime, ed è riuscita a farsi amare così tanto, da così tanti? «A quel Robbie direi: sei in grado di fare tutto, devi solo avere un po’ di pazienza. E alla fine starai bene, anzi: benissimo».

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