Per Robert De Niro è stato un anno straordinario. Ad aprile, l’icona del cinema ha dato il benvenuto a una figlia, Gia, con la compagna Tiffany Chen. Tre mesi dopo ha perso il nipote Leandro per overdose a soli 19 anni. Poi è arrivato lo sciopero degli attori, che ha causato un blocco dell’industria e che lo ha messo fuori gioco per i quattro mesi successivi e gli ha impedito di promuovere Killers of the Flower Moon, una magistrale saga criminale che regalava la sua migliore interpretazione degli ultimi anni. Infine, è stato coinvolto in un incubo legale con un’ex assistente che, dopo un processo molto chiacchierato, lo ha ritenuto non responsabile personalmente per discriminazione di genere, ma ha lasciato alla sua compagnia una sentenza da 1,2 milioni di dollari.
Per l’attore ottantenne è stato a dir poco difficile.
«È tanta roba», dice con la gola strozzata. «Non ho altra scelta che andare avanti. E la mia più grande preoccupazione ora, insieme a tutto il resto, è che usciamo da questa situazione con un mostro come Trump. La sua è una classica truffa. È irreale».
Fa una pausa. «Se si guarda ad altri governi totalitari come la Germania nazista o l’Unione Sovietica, quello che è successo a noi si ripercuoterà su tutti in modi che non si possono nemmeno immaginare».
Sono seduto di fronte a De Niro nel suo ufficio a Tribeca. Alle parte sono appese foto di De Niro in posa con luminari come Nelson Mandela e Federico Fellini, mentre in uno dei tavolini all’angolo ci sono bottiglie di champagne sufficienti per una festa di Gatsby. La venerabile star di classici del cinema come Taxi Driver, Toro scatenato, Quei bravi ragazzi e Heat – La sfida si sta dedicando al suo pranzo: un bicchiere di Coca-Cola e pancetta canadese tagliata a pezzi e infilzata con coltello e forchetta.
Siamo qui per parlare di William Hale, ovvero l’agghiacciante personaggio che interpreta, in Killers of the Flower Moon, una sorta di anti-western sul Regno del Terrore, quando i coloni bianchi dell’Oklahoma degli anni ’20, guidati da Hale, sposarono e uccisero sistematicamente i ricchi membri della tribù Osage per ottenere i diritti sulla loro terra ricca di petrolio. Hale spinge il nipote, il sempliciotto Ernest Burkhart (Leonardo DiCaprio), a sposare e avvelenare Mollie Kyle (Lily Gladstone, straordinaria), una donna Osage appartenente a una famiglia ricca di petrolio. Ma Mollie non se ne andrà in silenzio… Il film segna la decima collaborazione di De Niro con Scorsese nell’arco di cinquant’anni a partire da Mean Streets – Domenica in chiesa, lunedì all’inferno, del 1973, in quello che è probabilmente il più ricco e longevo rapporto attore-regista nella storia del cinema.
Rolling Stone ha parlato con De Niro di questo film da Oscar, del suo rapporto speciale con “Marty” e del già citato “uomo arancione” che, a suo dire, «dà ai newyorkesi una bruttissima fama».
Voglio congratularmi con lei per aver dato il benvenuto al mondo a un bambino per metà asiatico. Anch’io sono per metà asiatico, e siamo sempre felici di aumentare le nostre fila.
Oh, sì. La mia bambina è per metà cinese. Voglio provare a insegnarle il cinese e a recitarle filastrocche in inglese e cinese. Spero di farle imparare entrambe le cose.
Lei e Al Pacino avete parlato del diventare padri a questa età? È stata una strana coincidenza. Gli annunci sono arrivati a distanza di pochissimo tempo l’uno dall’altro.
No, non sapevo che avesse avuto un figlio! Non so in quali condizioni abbia avuto il bambino, ma sono stato felice per lui e gli ho augurato buona fortuna. Non so quale sia la storia del bambino di Al, ma quando lo vedrò ne parleremo.
Lei ha anche dei figli per metà neri. Che cosa teme per i suoi figli nell’America di oggi?
Anni fa Joe Pesci mi disse: “Sei più americano della maggior parte degli americani”, perché all’epoca avevo due figli misti. E non ci avevo mai pensato. Ma poi mi sono detto: “Sai, non ha tutti i torti”. Questo Paese è così. Ma ogni gruppo deve andare a votare.
Lei ha detto che Apple ha censurato una parte del suo recente discorso ai Gotham Awards in cui parlava dei pericoli di un’altra presidenza Trump.
È successo che stavo lavorando al discorso con uno scrittore, Lewis Friedman, e lui l’ha consegnato a loro, e poi uno dei consulenti ha inserito nel discorso qualcosa sul fatto che i bambini in Oklahoma non sono nemmeno in grado di leggere il libro Killers of the Flower Moon (in italiano tradotto Gli assassini della terra rossa, ndt). E poi non ho sentito più nulla. Mi hanno dato il copione, ho guardato il suggeritore e ho chiesto: “Che cosa è successo?”. E loro hanno pensato che ne avessi parlato con Marty o con qualcuno, ma non era così. Pensavano che mi sarebbe andata bene e che forse stavo ancora sbagliando, ma non era così. Marty e io ne abbiamo parlato il giorno dopo e lui mi ha detto: “Sì, ti ho mandato un messaggio: [Apple] mi ha chiesto, con rispetto, di abbassare i toni”.
Di recente Apple avrebbe anche cancellato The Problem with Jon Stewart, in parte perché il talk show di Stewart era critico nei confronti della Cina.
Oh, questo è interessante. Non volevo nemmeno dare la colpa a loro, ma sul momento ero infastidito da chiunque l’avesse fatto. Se Marty mi avesse chiamato per dirmi: “Apple mi ha chiesto di fare questo e quello”, ne avremmo discusso. Ma ho detto a Marty: “Tutto quello che c’è in quel discorso porta al tema al cuore di questo film. E non voglio sminuire il film. Non è uno sproloquio su Trump. È del tutto appropriato a quello che abbiamo fatto”.
Ha mai visto il video virale di un sostenitore di Trump che a Staten Island distrugge un suo ritratto dal set di Quei bravi ragazzi dopo le sue critiche nei confronti di Trump?
No. Non si può piacere a tutti. Ci sarà sempre qualcuno a cui non piacerai per questo o quello. Io so solo che Trump tira fuori il peggio dalle persone. È un mostro. All’inizio, quando è stato eletto, non lo pensavo. Pensavo: “Forse si raddrizzerà”. Ora quest’uomo è più che pericoloso, e spero che la gente se ne renda conto. Una volta imboccata questa strada, non sarà facile tornare indietro. Sono appena stato alla Casa Bianca per i Kennedy Center Honors con Billy Crystal e mi sono commosso. Le band stavano suonando canzoni natalizie, era tutto così festoso, e ho pensato: “Così dev’essere”. Che cosa sta succedendo con questa storia di Trump? È una follia.
Pensa che Biden sia la persona giusta per affrontare Trump?
Non è possibile che non sia l’uomo giusto per sconfiggere Trump. Nikki Haley, forse? Abbiamo bisogno di qualsiasi cosa pur di sbarazzarci di Trump. Se si presentasse, potrebbe almeno dissuaderlo e far sì che fosse lei la candidata. Ma Biden è la persona migliore a questo punto. Spero solo che tutti vadano a votare, che tutte le minoranze e i giovani vadano a votare. Votare, votare. Dovete andare a votare.
Trump ha risposto al suo discorso ai Gotham Awards definendola “un perdente”.
L’ho visto. Il problema è che la gente gli va dietro. Dio non voglia che diventi di nuovo presidente: questa è una strada che, se la prendiamo, sarà molto difficile da percorrere. Come ha detto Liz Cheney, “non se ne andrà”.
Ha cercato di non andarsene. Se si guarda al 6 gennaio, non capisco come le immagini delle persone che assaltano il Campidoglio non siano impresse nella mente di tutti gli americani.
È incredibile. C’era il pazzo con il cappello e le corna. Era come se un gruppo di detenuti si fosse messo a gestire un manicomio.
David Grann, l’autore di Killers of the Flower Moon, ha raccontato di aver visitato un museo locale della Nazione Osage in Oklahoma e di aver osservato una foto della tribù Osage con alcuni coloni bianchi, ma una parte di quell’immagine era mancante. Chiese quindi alla direttrice del museo il perché e lei rispose: “Proprio lì c’era il diavolo”. Cioè William Hale.
Alcune parti di lui non le capisco. Una parte di lui potrebbe anche aver pensato che di amarli davvero, ma non li ha mai considerati suoi pari, quindi si è arrogato il diritto di prendere ciò che era loro: perché è così che è andata. È l’esercizio di un diritto che non avevo, ecco cos’è.
Lei ha interpretato il “vero” Diavolo in Angel Heart – Ascensore per l’inferno e Max Cady in Cape Fear – Il promontorio della paura, ma trovo che William Hale sia più spaventoso di entrambi quei personaggi.
È la banalità del male. In un certo senso è un pilastro della comunità e fa parte di quella tradizione di Frontiera. Più invecchio e più il comportamento di alcune persone che vediamo oggi mi sembra assurdo.
Ci sono parallelismi tra William Hale e Donald Trump. Entrambi si atteggiano a pilastri della comunità e aiutano la gente, mentre in realtà la stanno dissanguando.
E lui sente, come se lo stesse razionalizzando a sé stesso, di amare la gente e di parlare la loro lingua, ma c’è un’altra parte di lui che è scollegata a tal punto da fargli commissionare degli omicidi. È orribile. Ora, se Trump viene eletto, lo “Stato profondo” e tutte le cose che va dicendo, be’, sono cose che ha creato lui. È tutta una sua proiezione. Quello che mi spaventa è che la gente si beve quello che dice. Ha fatto moltissimi danni.
Killers of the Flower Moon è una sorta di correttivo al modo in cui Hollywood ha storicamente trattato i nativi americani. In particolare nei film western, dove erano i cattivi senza nome.
Penso che questo film sia un capolavoro. Un grandissimo film. Non so quanto possa essere correttivo, ma la storia è lì e spetta al pubblico decidere che effetto ha oggi. È stata di Marty e Leo l’idea di cambiare la storia in modo che il bianco dell’FBI, Tom White (il personaggio interpretato da Jesse Plemons, ndt), non arrivasse a salvare la situazione. Tutto è incentrato sul rapporto tra Ernest e suo zio e tra Ernest e Mollie, interpretata da Lily Gladstone, che è semplicemente meravigliosa. È complesso e pone molte domande. Il conflitto non è nemmeno così chiaro, nelle intenzioni del personaggio di Leo.
Quest’anno ricorrono i cinquant’anni dall’uscita di Mean Streets, quindi cinquant’anni di Robert De Niro e Martin Scorsese. Quante probabilità c’erano che due ragazzi cresciuti a pochi isolati di distanza l’uno dall’altro a Little Italy, quando era una zona piuttosto difficile, potessero diventare delle icone di Hollywood?
Davvero? Wow… cinquant’anni. Io ero tra Kenmare e Broome e Marty stava su Elizabeth Street. Io e Marty avevamo un amico in comune che faceva la spola tra i nostri gruppi. Siccome ero interessato alla recitazione, il nostro amico comune mi diceva: “Oh, Marty sta studiando cinema alla New York University”. Aveva solo otto mesi più di me. È una cosa incredibile.
All’inizio c’era tensione tra voi due, dato che provenivate da zone diverse del quartiere, giusto? E all’epoca lei faceva parte di una gang?
Io facevo parte di un gruppo chiamato The Forty Thieves (“i quaranta ladroni”, ndt) e Marty di un altro gruppo in Prince Street, a due isolati a nord di Kenmare.
Allora la chiamavano “Bobby Milk”.
A volte mi chiamavano così, o “Bobby Irish”, o “Bobby il biondo”, perché avevo i capelli chiari. Un anno fa ho fatto un film con Barry Levinson che parla di Vito Genovese e Frank Costello e di come si sono conosciuti da giovani. È scritto da Nick Pileggi e prodotto da Irwin Winkler. Tra Kenmare e Mulberry c’era un club, l’Alto Knights, che frequentavo, e allora ho detto a Nick: “Da dove hai preso il nome di quel club? È un posto che conosco molto bene!”. Hanno cambiato il nome del film da Wise Guys, che era un po’ troppo ovvio, ad Alto Knights. Non avrei mai pensato di fare un altro film [sulla mafia], ma questo era interessante. È stata un’idea di Irwin quella di farmi interpretare entrambe le parti, Genovese e Costello.
Lei aveva lavorato con De Palma prima di Scorsese, ma ripensando alla sua prima collaborazione con Scorsese, nel ruolo di Johnny Boy in Mean Streets, com’è stata quell’esperienza?
Marty e io ci siamo incontrati alla cena di Natale di un amico comune quando avevo 26, 27 anni. C’era anche Brian. Gli dissi: “Chi sta bussando alla mia porta è fantastico”. Conosceva quel mondo perché veniva da quel mondo. E poi, in qualche modo, venne fuori Mean Streets. Allora si intitolava Season of the Witch, e lui mi disse che c’erano un paio di parti che avrei potuto fare. Stavo cercando di decidere quale parte fare e alla fine ho optato per quella di Johnny Boy. Ricordo di aver parlato con Marty al telefono e di avergli detto: “Hanno tutti elementi interessanti!”. Poi ho incontrato per strada Harvey Keitel, che interpretava Charlie, e mi ha detto: “Dovresti fare quella parte!”. Questo mi ha spinto in quella direzione.
Lei e Scorsese avete realizzato dieci film insieme. Ha un film preferito tra questi?
Non saprei, mi è sempre piaciuto lavorare con Marty su tutto. È sempre stato divertente. Non che non sia successo con altri registi eccezionali, ma con Marty è sempre stata una cosa speciale. Ho sempre sentito che potevo fare qualcosa e lui era disposto a provarla, e la cosa peggiore che potesse accadere era che la tagliasse o che provassimo un’altra versione.
Il monologo “Stai parlando con me?” di Taxi Driver è stato improvvisato. Potrebbe essere l’improvvisazione più famosa della storia del cinema?
Lo è stata! Chi l’avrebbe mai detto… (ride)
A proposito di Taxi Driver, è un film che credo diventi sempre più attuale ogni anno che passa. Travis Bickle è un uomo ai margini che ha perso il contatto con la realtà, si è alienato dalla società, ha avuto sfortuna con le donne e si è fissato con la politica e la violenza. In pratica è la versione cinematografica di un “incel”.
Incel?
Significa letteralmente “celibe involontario”, oggi è usato per riferirsi a quel gruppo di giovani uomini che, principalmente online, sono diventati ostili alle donne perché non riescono ad attrarle, e dunque iniziano a scrivere cazzate sulla politica fantasticando di vendicarsi violentemente.
Sì, capisco quello che dice a proposito di Travis.
Re per una notte è invecchiato come un buon vino, ma all’epoca è stato massacrato.
Ricordo che ero in una cabina telefonica tra l’Ottava Avenue e la 43esima Strada quando il produttore mi disse: “È stato un disastro”. Io dissi: “Oddio”. Da quel punto di vista, fu dura. Non è stato accettato. Non era un film commerciale. Si pensava che avesse un certo potenziale commerciale, se vogliamo, ma non si sa mai come andrà. So solo che abbiamo fatto un film per certi versi personale e che la persona che lo ha scritto, Paul Zimmerman, era un critico cinematografico di Newsweek. E mi è piaciuta molto la sua sceneggiatura.
Ricordo che da bambino guardavo sempre Voglia di ricominciare. È stata la prima volta che mi lei ha colpito come attore. E quest’anno festeggia il suo trentesimo anniversario. Come avete trovato Leo per quel ruolo? Immagino che lei abbia avuto voce in capitolo su chi scegliere.
Abbiamo fatto una lettura del copione alla Warner Bros. con me, [il produttore] Art Linson, [il regista] Michael Caton-Jones, Leo e altri attori, e alla fine della lettura ho detto ad Art: “Quel ragazzo è molto interessante”. Non ho detto che dovevamo prenderlo, ma era davvero fantastico. Leo mi disse in seguito che aveva dato il massimo perché tanto non pensava che avrebbe ottenuto la parte.
Mi è venuto in mente Voglia di ricominciare mentre guardavo Killers of the Flower Moon, perché c’è quella sequenza in cui lei sculaccia Leo che mi ha riportato subito a lei che lo strangola in cucina in quel vostro primo film insieme.
Leo scherzando ha detto in un’intervista dicendo che Killers of the Flower Moon è solo una prosecuzione di quello che abbiamo fatto trent’anni prima (ride).
Ha qualche ricordo particolarmente caro del lavoro con Marty?
Ricordo che in Taxi Driver e in altri film successivi, quando parlavamo di una scena, io dicevo: “Guarda, questo mi ricorda una cosa che mi è successa, potrei metterlo in questa scena”, così ne ricavavamo degli elementi specifici che potevano essere applicati alla tal scena. Mi piacevano molto quei discorsi. Credo che un tempo volesse farsi prete, forse per questo ha una grande capacità di ascolto. Ed è una caratteristica molto importante in un regista. Prende quello che dici e trova sempre un modo per inserirlo in una scena. Spero che potremo fare altri film insieme. Spero che ci sia qualcosa, e qualunque cosa sia, sono certo che sarà speciale. Da anni ho un’idea che mi piacerebbe realizzare con lui. Ne stiamo parlando, quindi chissà. Mi vedo andare, e andare, e andare…