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Rocco Papaleo, l’intervista: «Chiamatemi Rock»

Se dovesse scegliere tra la sua anima di attore, regista o musicista, sarebbe... Scopritelo nella nostra chiacchierata con l'uomo che ha dimostrato che la Basilicata esiste

«Come mi sono confrontato con una storia vera? Ho fatto finta, come sempre». Ladies and gentlemen, Rocco Papaleo. Che a prendersi sul serio non ci pensa proprio, mai. La storia vera a cui si riferisce è quella che ha ispirato il suo ultimo film, Bob & Marys, di cui è protagonista insieme a Laura Morante: «A convincermi è stato il tono dato dal regista Francesco Prisco e… sono stufo di cantare le lodi di Laura (ride e la guarda) ma sì, il fatto di poter recitare con lei è stato determinante nella scelta».

Bob & Marys, al secolo Roberto e Marisa, sono la coppia della porta accanto: istruttore di guida lui e operatrice volontaria lei sono sposati da anni, ma la vita è diventata monotona. Almeno finché degli spietati malavitosi non invadono casa loro e la riempiono di pacchi dal contenuto misterioso (e ovviamente illegale), che i due sono costretti a custodire. Ma davanti a questa pratica criminale, detta accùppatura, marito e moglie ritroveranno l’energia di quando erano giovani e la voglia di reagire al sopruso, a tempo di rock ‘n’ roll: «Il ballo nel film è il point break della storia, loro danzano e da lì in poi cominciano a risalire la china».

Senti, vuoi dirmi che dopo questo film dobbiamo chiamarti “Rock”?
E come mi vuoi chiamare?! Certo che mi devi chiamare Rock, già alcune mie amiche nell’ambito della musica lo fanno, un po’ per abbreviare… Non so se è un Rock con il “ck “o solo un Roc con la “c” muta. Però mi piace. Sì, ti prego chiamami Rock.

Meglio Papaleo attore, regista o musicista?
Viaggiano insieme, sono sfaccettature che si alimentano e completano (spero) a vicenda. Però se mi puntassero una pistola alla tempia e mi imponessero di scegliere, opterei per la mia anima musicale, quella di cantautore o comunque di amateur della questione musicale. 

Che cosa ha formato la tua anima musicale?

Dai fustini del detersivo suonati come batteria al mangiadischi – parliamo degli anni ’60 – fino alla prima chitarra, comprata a metà con un mio amico: 2500 lire per uno. Poi mia madre ha dato un impulso determinante, acquistando anche l’altra parte: la chitarra è diventata mia e da lì in poi ho sempre suonato, scritto canzoni, senza neanche pensare di avere una prospettiva artistica. Quando ho fatto la scuola di recitazione avevo composto già una cinquantina di pezzi. Diciamo che sono un cantautore che si è mantenuto facendo l’attore, ecco.


Un artista, un genere?
Uno è difficilissimo. Di getto ti direi Paolo Conte, che forse è l’ispirazione principale, ma anche Pino Daniele e poi… i Radiohead, voglio essere stravagante! Ascolto tutto. E sono rimasto fulminato dalla swing. Che poi lo swing cos’è, se non la componente più interessante di ogni tipo di musica…

Com’è stata l’esperienza dello spettacolo ‘Forse non sarà domani’ su Luigi Tenco? (Ultima data, il 12 aprile ad Assisi, nda)
Eccezionale. Ho sempre amato Tenco e in quell’elenco di artisti di riferimento avrei potuto citare anche lui. Avevo nove anni quando successe il fattaccio a Sanremo, però facendo questo spettacolo ho avuto modo di approfondire anche canzoni meno note e cose che Stefano Valanzuolo ha estrapolato da alcune sue interviste: il 90% del suo pensiero di 50 anni fa è ancora attualissimo.

Tu lo sai di essere l’uomo che ha dimostrato che la Basilicata esiste… 
Mi sono preso dei meriti anche oltre quello che ho fatto, perché lì mi tengono come una specie di beniamino. In realtà, con Basilicata coast to coast, io ho fatto i cazzi miei. Ho raccontato una storia in cui la Basilicata era perfetta. Mi ha dato un’originalità perché è una terra sconosciuta e quello lucano è un accento diverso dagli altri: probabilmente se fossi stato napoletano, calabrese o pugliese avrei avuto meno fortuna, perché mi sarei confuso nel gruppo. Quindi grazie alla Basilicata, ho fatto ancora troppo poco.

I tuoi compatrioti lucani ti hanno perdonato per quello spot dell’Eni?
L’ho dichiarato che ho fatto una cazzata. E l’ho fatta non considerando che avrei urtato persone simili a me, che hanno un sentimento ecologico proprio come il mio, basta vedere i miei film da regista per capirlo. Non mi sono mai considerato un simbolo della Basilicata, però a volte uno è simbolo suo malgrado e quindi essere testimonial in quella situazione controversa ha urtato parecchio. Però mi avevano anche abbindolato con il governo tecnico, l’idea di far ripartire l’Italia, avevo fatto Sanremo quell’anno e forse ho avuto anche un piccolo delirio di onnipotenza. Avevo capito che era necessario quel passo in quel momento in Italia e quindi mi sono sentito paladino, anche. Però oggi non lo rifarei e restituirei anche i soldi. Cioè non li ho, non mettetevi cose in testa, però se li avessi ancora li restituirei.

Sei lucano, ma vivi a Torino e tifi Roma, un bel mix…
Io vivo anche a Roma, ci ho abitato 40 anni  e ho avuto il tempo di innamorarmi della squadra, grazie a cattive compagnie, posso citare Mastandrea. Mi sono trasferito a Torino da poco per fare un’esperienza nordica, perché non sono un meridionale che odia il nord, anzi. Poi c’è Luciana Littizzetto, è stato proprio il film con lei (È nata una star, nda) che mi ha fatto scoprire la città in modo più approfondito. Quando ho deciso che avevo bisogno di una nuova esperienza ho pensato anche a Milano, però le case sono più care e visto che avevo deciso di non fare più pubblicità per l’Eni… mi sono orientato su Torino. Mi piace perché è più laterale, aleggia uno spirito provinciale che credo per un artista sia meglio rispetto a quello della metropoli. E poi Torino ha un’offerta culturale pari e Roma e a Milano, è una città perfetta per chi vuole reinventarsi un po’. Solo che ci sto pochissimo perché il lavoro è sempre in giro, oppure a Roma.


Ho letto che sarai uno dei ‘Moschettieri del re’ nella nuova commedia di Giovanni Veronesi con Favino, Mastandrea e Rubini. Quale?
È già uscita la notizia? Sarò Athos, però non posso dire altro…


Qual è il segreto di Rocco Papaleo?
Forse di non avere segreti, non lo so. Penso di essere realmente quello che si vede. E cioè uno che non è neanche troppo convinto del suo ruolo, per questo posso fare pure delle cazzate come la pubblicità dell’Eni, ma ho anche un’idea piuttosto giocosa di questa professione. Ammiro e apprezzo gli attori che si prendono molto sul serio, io però ho un altro approccio, più musicale: ho bisogno di un ritmo, di una linea melodica e, possibilmente, di un’armonia intorno.

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