Se non avete visto i video con cui Salvatore Esposito ha raccontato il suo ultimo giorno sul set della stagione finale di Gomorra recuperateli subito. Perché è l’esempio perfetto di come un’icona della serialità utilizzi la tecnologia per portare i fan con sé, direttamente sui luoghi, dietro le quinte e tra i protagonisti della serie che ha cambiato tutto. «Il mio primo pensiero alla fine di quella giornata è stato: “È finita, e mo?”», confessa Salvatore. «Perché sono otto anni che ho iniziato questo nuovo mio percorso di vita e posso dire che tutto quello che ricevuto in questo periodo è stato qualcosa di molto, molto superiore a qualsiasi mia più rosea aspettativa. Cosa ha in serbo il futuro per me? Essendo un curioso di natura mi pongo spesso questa domanda».
Incontriamo Esposito a Venezia, a margine di Creare la magia del cinema, la prima di tre masterclass del progetto Xiaomi HyperCharge RestART: ricaricarsi con la cultura, in collaborazione con la NABA di Milano. Il lancio dell’innovativa tecnologia di ricarica rapida presente sul nuovo Xiaomi 11T Pro permette allo smartphone di diventare parte integrante della visione, mettendo insieme differenti forme d’arte contemporanea con cui è possibile creare interessanti connessioni virtuose. «Xiaomi riesce a raccontare questa evoluzione in modo splendido», dice Salvatore. «Quando mi hanno spiegato di questa nuova tecnologia che hanno brevettato, questa ricarica iper veloce, non ci potevo credere. La nostra vita oramai passa attraverso il cellulare, in un modo o nell’altro, quindi pensare che ci sia la possibilità di essere sempre connessi è un’innovazione pazzesca, è il futuro».
Insieme a Esposito, a parlare di amore per grande schermo e ibridazione c’è Mario Martone, in concorso alla Mostra con Qui rido io. «C’è tanta Napoli a Venezia, è già qualche anno che succede ed è grande motivo d’orgoglio. Poi quando abbiamo la fortuna di avere maestri come Martone, Sorrentino, Garrone, tutti ne traiamo beneficio e anche noi attori guadagniamo moltissimo».
Oggi il telefonino è diventato parte integrante del mestiere di un attore: «È anche fonte di lavoro perché attraverso il cellulare sei in contatto con le mail di lavoro, con i familiari, con i social che ormai sono la nuova frontiera della connessione», afferma Esposito. «Sono stato in vacanza qualche giorno fa e avevo sullo smartphone i biglietti dell’aereo, il green pass, le autocertificazioni… E mi sono chiesto: “Ma se perdo ‘sto telefono come faccio?” È una roba che forse sottovalutiamo, ma diamo così tanto al telefono e il telefono dà così tanto a noi… Ma dobbiamo fare attenzione a non renderlo uno strumento centralizzante: dobbiamo saperlo gestire e non farci gestire».
Nella carriera di Salvatore però c’è anche la cara vecchia carta stampata: è in libreria il suo romanzo d’esordio, Lo sciamano. «C’è sempre un’evoluzione costante dentro di me che mi portato a sentire l’esigenza di raccontare non solo i personaggi che creavo e i film a cui lavoravo, ma anche le storie e i personaggi che mi piacerebbe venissero raccontati. Sono un appassionato di tutto ciò che non è spiegabile, ho voluto scrivere questo Christian Costa, uno sciamano esperto in crimini a sfondo esoterico, satanico, un grafologo, un simbolista, uno che cerca sempre di trovare una spiegazione. Ma la cosa bella del libro è che spesso una spiegazione razionale c’è, ma se così razionale non fosse?».
Esposito è anche reduce dall’esperienza interazionale della terza stagione di Fargo, dove ha capito una volta di più la potenza dell’impatto che Gomorra ha avuto negli States, di cui in Italia forse non ci rendiamo davvero conto del tutto. «Posso raccontarti la descrizione del mio agente americano: “La differenza è che tu in Italia vieni visto come un giovane attore italiano, anche bravissimo, mentre all’estero sei una giovane star internazionale. La percezione che si ha di te fuori è quella di un grande talento che ha delle potenzialità enormi, mentre in Italia forse è come se si fossero un po’ abituati alla tua scoperta a forse hanno paura di confrontarsi con il lavoro che hai fatto”. Io cercherò con tutte le mie forze di percorrere entrambe le strade, per rendere i miei personaggi e i miei lavori sempre più esclusivi, valorizzandoli sempre di più, che sia in Italia o all’estero».
Tra la serialità di Gomorra e quella di Fargo in termini artistici non ci sono molte differenze, ma «in termini materiali sì: in America il cinema e la serialità sono visti come una grande industria, ci sono budget enormi messi a disposizione dei progetti e i ricavi corrispondono. In Italia invece è un po’ come se continuassimo a lavorare di fino. Faccio sempre un paragone: negli USA l’industry è come una grande boutique di marche di lusso, che quando entri ti lascia a bocca aperta. Noi italiani invece siamo la piccola bottega dell’artigiano che fa piccoli prodotti, ma di grandi qualità».
Ma intanto cosa dobbiamo aspettarci dal finalone di Gomorra (che arriverà finalmente su Sky a novembre)? «Tutto ciò che potrei dirvi non renderebbe quello che saàrà l’ultima stagione della serie più venduta, più vista, più apprezzata all’estero. Non avete idea di quello che vi aspetta».