C’era una volta, nel Texas degli anni ’70, un gruppo di registi che si recò in una remota fattoria per girare quello che speravano sarebbe stato il Quarto potere dei film porno. Solo uno di loro sarebbe uscito vivo da quella pittoresca residenza rurale. La stessa “Final Girl“, quasi un decennio dopo, non solo ha subìto un’altra serie di omicidi correlati, ma è stata anche ribattezzata la nuova grande star di Hollywood. Tra l’inizio e la fine di questa favola c’è la storia di un’altra donna che anela alla fama e che alla fine dovrà invece accontentarsi dell’infamia. Il XX secolo è stato difficile per le donne che volevano sfondare nel mondo dello spettacolo. Basta chiedere a Ti West e Mia Goth.
Nel corso di tre film (X – A Sexy Horror Story, Pearl e ora MaXXXine, nelle sale italiane dal 28 agosto), il regista originario del Delaware e l’attrice britannica hanno confezionato un incubo tutto americano che va dalla Prima guerra mondiale all’era Reagan. Le loro collaborazioni hanno anche creato un legame professionale così forte che per alcuni sono i Josef von Sternberg e Marlene Dietrich dei film horror moderni, trasformandosi in un tipo di duo cinematografico che retrospettivamente sembra essere una coppia fabbricata in Paradiso, o per lo meno tra Hollywood e Vine. West si era già fatto un nome come regista dal profondo amore per il cinema d’exploitation d’epoca (vedi The House of the Devil del 2009) e un senso spiccato di come usare il gore e il terrore per ottenere il massimo della paura. Goth aveva lavorato con registi come Lars von Trier (Nymphomaniac), Claire Denis (High Life), Gore Verbinski (La cura dal benessere) e Luca Guadagnino (Suspiria) e aveva una redditizia carriera secondaria come modella. Insieme, in qualche modo, hanno messo in atto un’alchimia che ha dato vita a visioni sanguinolente a sfondo cinefilo messe in scena con ogni mezzo necessario.
Seduti fianco a fianco durante una conversazione su Zoom, West e Goth sembrano due vecchi amici dell’università che si ritrovano per un caffè. Poi iniziano a raccontare come hanno convinto la A24 a lasciargli girare un feroce ritorno al grindhouse pulp – in cui Goth interpreterà sia un’aspirante starlette che una maniaca omicida di novant’anni – in parallelo con un melodramma in Technicolor anni ’50 imbevuto nello sciroppo d’acero, e ci si ricorda che questi due artisti hanno in qualche modo trasformato un trilogia di film di culto in un fenomeno di massa. I due hanno parlato con noi del processo di realizzazione di tutti e tre i film, di come lavorano così bene insieme, del motivo per cui Goth ha dovuto collaborare alla sceneggiatura di Pearl, dell’arte di ricreare gli anni ’80 senza indugiare solo sulla nostalgia e di molto altro ancora. Questa conversazione è stata modificata per ragioni di lunghezza e chiarezza.
Quando avete conosciuto il vostro lavoro reciproco?
Mia Goth: Ho visto The House of the Devil diciamo… dieci anni fa? È uno dei miei film preferiti, quindi conoscevo Ti da tempo. Poi, nel 2020, ci siamo incontrati e siamo subito andati molto d’accordo. Abbiamo fatto una lunga chiacchierata su Zoom ed è immediatamente scattato qualcosa. Il resto è storia.
Ti West: Direi che Nymphomaniac è stato il primo film in cui mi sono accorto di lei. Poi ho visto High Life e Suspiria forse un anno prima rispetto a quando abbiamo iniziato il casting di X – A Sexy Horror Story. Quando si inizia a fare un film si hanno in mente alcuni attori, e il direttore del casting ti manda un’intera lista di nomi. Mia era in cima a quella lista… (rivolgendosi a Goth) credo che tu sia stata la seconda persona che ho incontrato, ma solo perché eri a Londra e c’era un grande fuso orario: altrimenti saresti stata la prima. Abbiamo fatto una lunga chiacchierata sul film, e lì ho pensato: c’è una lunga lista di altre persone con cui dovrei parlare, ma perché? Non c’è più motivo di farlo. Eravamo già in sintonia su quello che volevamo fare insieme.
L’idea di far interpretare a una sola attrice entrambi i ruoli principali in X c’era fin dall’inizio?
TW: C’era fin dall’inizio, sì. Ma non ne avevo parlato con nessuno.
Perché?
TW: Perché non sapevo se ce l’avremmo fatta. La prima domanda che facevo a chiunque venisse preso in considerazione per una parte in X era sempre: “Perché cazzo lo vuoi fare?”. Perché sulla carta era un film fottutamente malato. Alcuni, magari chiamati anche solo per una piccola parte, mi dicevano: “Come hai osato mandarmi questa sceneggiatura? Non ci penso nemmeno a fare una roba del genere!”. Quindi, il fatto che qualcuno fosse realmente disposto ad accettare quel personaggio mi ha sinceramente interessato: “Perché vuoi farlo?”, le ho chiesto. “Perché questo film quando potresti avere tanti altri progetti su cui lavorare?”. E in base alla risposta di Mia… be’, ho capito che avrebbe potuto interpretare entrambe le parti. Recitare in due ruoli contemporaneamente è terribilmente complicato. È complicato dal punto di vista della performance, della tecnica e degli effetti speciali. Ed è anche rischioso, perché se non funziona sei spacciato. Per questo motivo sono stato cauto nel proporle quest’idea durante la nostra prima chiacchierata. Ma quando poi gliene ho parlato, lei si è fermata e ho visto che ha iniziato a rifletterci su… E ricordo che all’improvviso si è gasato e ha detto: “Potrei farlo da dio”. Io le ho creduto. Ho pensato: “È pronta per la sfida”.
Mia, quando Ti ti ha chiesto “Perché vuoi fare questo film?”, cos’hai risposto?
MG: Ripensandoci, mi rendo conto – oggi più chiaramente che mai – di quanto Maxine mi fosse vicina, in quel momento della mia vita. Recitavo da circa otto anni, e sentivo che non mi era ancora stata data l’opportunità di mettermi veramente alla prova. Avevo voglia di stare su un set e avere un ruolo che mi mettesse KO, volevo qualcosa che mi sfidasse, che mi facesse uscire completamente dalla mia comfort zone. Stavo aspettando che arrivasse qualcosa di simile. Ho aspettato tanto, perché credo che le cose accadano quando devono accadere. Poi è arrivato questo copione, ed è stato incredibile. Non solo per la storia: c’erano cose che mi spaventavano molto. Ma il fatto che Ti lo stesse realizzando e che A24 lo stesse producendo mi ha fatto sentire pienamente supportata, non ho avuto la sensazione che sarebbe stato fatto in modo gratuito. Sapevo di essere in buone mani. E poi Ti ha accennato al fatto che, sai, forse interpreterai anche la vecchia versione di Pearl. Dopo che l’ha detto, ho sentito che dovevo fare. Perciò la mia risposta è stata: “Era quello che stavo aspettando”. Sapevo di essere pronta, di avere alle spalle un bagaglio sufficiente per affrontare una cosa del genere. Le giornate sul set erano lunghe e stancanti, ma ero così felice di essere lì, a fare tutto questo.
TW: Erano sei ore di trucco, poi tutta la giornata di riprese, poi ti togli il trucco e l’indomani ti ritrovi nei panni dell’altro personaggi. Inoltre dovevamo lavorare in fretta, quando si arrivava sul set bisognava accendere la macchina da presa e partire. Mia ha avuto fin dall’inizio un atteggiamento impavido, del tipo: “Ce la faremo”.
Quando è nata l’idea di scrivere Pearl insieme?
TW: Ho proposto l’idea di base alla A24, poi ho subito detto: “Ecco come possiamo fare i due film uno dietro l’altro. Usiamo lo stesso cast, gli stessi set in Nuova Zelanda, ammortizziamo i costi”. Volevo che avessero la sensazione che non si trattasse di un’idea strampalata che mi era venuta in mente all’improvviso. Era in realtà radicata in un concept molto sensato, soprattutto considerato il fatto che eravamo in un periodo in cui praticamente nessuno poteva fare film. La A24 non era pronta a impegnarsi subito, ma era intrigata. Così ho chiamato Mia e le ho detto: “Ehi, ho un’idea, solo che dovrai restare in Nuova Zelanda qualche mese in più. Quindi se non sei d’accordo, non ci penserò più, perché non ha senso. E Mia, di questo le va dato merito, ha subito risposto: “Sì, ci sto”. A quel punto ho sentito che dovevamo svilupparlo insieme. Perché lei stava già interpretando la Pearl più anziana, e di tutto questo avremmo parlato molto, durante la sua ricerca del personaggio. Non sapevo se avremmo avuto o meno il via libera sul secondo film, ma [lavorare insieme alla sceneggiatura] non sarebbe stata una perdita di tempo, perché tutti quei retroscena sarebbero stati utili per interpretare la vecchia Pearl. L’obiettivo, comunque, è sempre stato quello di fare entrambi i film. Ci dicevamo sempre: “Stiamo scrivendo il secondo film”. Continuavamo a cercare di farlo esistere. Così siamo partiti per la Nuova Zelanda, con un sopracciglio alzato da parte di A24 e due settimane di quarantena per capire come non fargli cambiare idea. Probabilmente pensavano: “Sono abbastanza pazzi da fare entrambi i film” (ride).
MG: Non dovevano nemmeno darci il via libera…
TW: È stato un enorme atto di fiducia nei nostri confronti. Tutto il merito è loro, per aver detto di sì a questo progetto.
MG: Ci hanno lasciati completamente liberi. È stato come essere al campo estivo, potevamo scrivere quello che volevamo…
TW: … e poi ci sentivamo via FaceTime e collaboravamo, ci scambiavamo idee, aggiungevamo sezioni di testo. In qualche modo siamo riusciti a metterlo insieme. Sapevo che dovevamo consegnare una sceneggiatura valida, in modo che non si sentissero come se li stessimo truffando. Ma dovevo anche renderli consapevoli del fatto che, in pieno Covid, avevamo appena spostato tutta la produzione in Nuova Zelanda e costruito lì una replica del Texas, quindi si trattava di una scelta: possiamo smontare tutto quando abbiamo finito, tornare negli Stati Uniti e chiuderci in casa; oppure possiamo fare un secondo film, a metà prezzo, che sia altrettanto buono o addirittura migliore di quello appena finito. Alla fine si sono resi conto che in realtà non era così folle come sembrava.
A quel punto avevi già immaginato quello che sarebbe poi diventato MaXXXine?
TW: Be’, la battuta che ho fatto è stata: “Abbiamo X. Potremmo chiamare il secondo film XX. E poi, se facciamo una trilogia, possiamo intitolare l’ultimo film XXX” (ride). Quindi sì, ho proposto loro tutti e tre i film, e loro mi hanno risposto: “Ci piace l’idea del film anni ’80, ma perché non vediamo prima come va X? E poi, se funziona, facciamo quello ambientato negli anni ’80”. Il mio punto era: “Sì, ma il film anni ’80 è meglio come terza parte”. E loro: “Ok, allora vediamo come va X, e poi magari possiamo discutere di Pearl…”. Solo che, ovviamente, se avessimo lasciato la Nuova Zelanda e poi fossimo tornati a pensare a Pearl, ci sarebbe costato il triplo, e a quel punto tutti avremmo saputo che non si sarebbe mai fatto. Né allora, né mai. Quindi, in pratica, dovevamo impegnarci a fare i primi due film contemporaneamente. E se il secondo avesse funzionato, allora avremmo fatto il terzo. Questa era la scommessa.
Mia, hai detto che Pearl ha rappresentato un grande cambiamento per te: come mai? Pensi che avresti potuto fare MaXXXine, se non ci fosse stato quel film in mezzo?
MG: Quel film ha cambiato la mia vita. Non so se avrò mai più un ruolo come Pearl. Credo che il secondo film sia quello che è perché a quel punto ci eravamo tutti scaldati. Mi sentivo a mio agio con tutti. Quella fattoria era davvero la mia casa. Così, quando abbiamo iniziato a girare Pearl… onestamente non credo che si possa fare una performance del genere se non ci si sente molto sicuri sul set. Ma non avevo nemmeno mai avuto quel tipo di materiale in cui affondare i denti. Non avevo mai avuto un regista che credesse in me nella misura in cui l’ha fatto Ti, un regista che mi lasciasse libera di vedere cosa potevo trovare nel mio personaggio. È stata la prima volta che ho potuto collaborare con un regista al di là dell’essere semplicemente un’attrice. Per questo Pearl ha cambiato la mia percezione di me come attrice. A tutti i livelli. È interessante che tu mi abbia chiesto di MaXXXine. La risposta ai primi due film è stata incredibilmente positiva, e credo che questo mi abbia dato un certo livello di fiducia e di spavalderia che sono riuscita a mettere in Maxine, che finalmente nel terzo film riesce a camminare a testa alta. Non so se sarei stata in grado di darle quel senso di tranquillità e di fiducia in sé stessa se non avessi sperimentato quello che sono stati X e Pearl e come la gente ha reagito a quei due film.
Come si è evoluto il vostro rapporto professionale in questo film? E Mia, quanti hai contribuito alla storia di MaXXXine, se non alla sceneggiatura vera e propria?
MG: Ormai conosco Ti da cinque anni. Siamo collaboratori, è un amico e mi conosce molto bene. Quindi, quando siamo arrivati al terzo film… (rivolgendosi a West) tu mi dirigi, ma direi che a questo punto è più come mettere dei guardrail.
TW: Sì. È un buon modo per dirlo.
MG: Era più una cosa del tipo: “Eri troppo a sinistra. Torna un po’ indietro”. E poi insieme trovavamo un’angolazione adatta. Lui si fida di me e io di lui. Ecco perché funziona.
C’erano cose specifiche – in termini di film e riferimenti agli anni ’80 – a cui ognuno di voi si è ispirato?
TW: Non così tanto come si potrebbe pensare, in realtà. In termini di stile, siamo sicuramente dalle parti di alcuni grandi film degli anni ’70 e ’80 che che il pubblico ama moltissimo. Ma no, stranamente l’aspetto anni ’80 di questo film non riguardava tanto i riferimenti precisi, quanto il fatto che per me la storia fosse coerente. Volevo che il mio film fosse ricco e stratificato come lo erano molti dei film dell’epoca, invece di imitarli e basta. Per dire: l’appartamento di Maxine è filologicamente molto vicino a quel periodo, ma è molto meno un omaggio a quei film e più un riferimento a quello che sta passando il personaggio. È così che l’ho visto.
La scelta dei Frankie Goes to Hollywood sembra un omaggio diretto a Omicidio a luci rosse, ma anche quella non suona come una mera nota nostalgica.
TW: Esatto, volevo assolutamente evitarlo. Se il nostro reparto artistico fosse qui in questo momento, potrebbe dirvi che abbiamo cercato in tutti i modi di evitare i colori pastello o qualsiasi cosa fosse di moda in quel momento. Se torniamo indietro a The House of the Devil, abbiamo finito per fare un film anni ’80 prima che fosse di moda rifare i film anni ’80. Ma in realtà sembra un film della fine degli anni ’70, perché non tutto era “corretto”: l’anno sarà anche stato il 1983, ma il divano in scena era del 1976. Così ho fatto per MaXXXine: niente gente con gli scaldamuscoli; siamo a Los Angeles, quindi il film è un po’ più “fashion” di quanto non lo sia, ad esempio, The House of the Devil. Per me non si tratta tanto di fare un “remake” di quell’epoca, quanto di farvi entrare in quel mondo. Volevo fare qualcosa che sembrasse una grande serata al cinema come una volta, con tutti i trucchi folli di Hollywood e la follia degli omicidi sullo schermo. Non volevamo che si trasformasse in qualcosa che sembrasse solo un tributo. Se volevamo fare un riferimento diretto, dovevamo giustificarlo. Ad esempio, come si fa a girare una scena davanti alla casa di Psycho, ma con un motivo che la faccia sembrare sensata? È una sfida, ma se riusciamo a trovare un modo per farlo funzionare, mi dicevo, allora possiamo provarci.
C’è una combinazione molto potente, molto tossica ed estremamente americana di sesso, repressione e culto della celebrità che attraversa tutti e tre questi film…
TW: Ammetto che non ci siamo seduti per dirci: “Ok, quali sono i sottotesti di queste tre storie?”. Ma sì, lì dentro c’è tutto. E nel caso di MaXXXine, credo che alcuni di quei temi siano incorporati nella follia della Hollywood di quel tempo: il monologo della scena d’apertura, per esempio, ne è un perfetto esempio. Arriva questa persona in cui nessuno crede, che poi dimostrerà di avere un grande talento, a cui però, quando fa un provino, dicono: “È stato fantastico. Adesso puoi mostrarci il seno?”. I temi a cui fai riferimento emergono spesso quando in scena c’è il personaggio di Elizabeth [Debicki], che interpreta una regista. Ma anche quando ho scritto la sua parte, ho sempre cercato di scrivere un personaggio che cerca di fare qualcosa piuttosto che farla diventare una sorta di simbolo di tutto ciò che non va nell’industria e nella società. Quando dice: “Non vogliono che tu sia nel film, perché è troppo controverso che una pornostar reciti in un horror satanico”, è una frase pensata per essere divertente e ironica. Ma ho cercato di inserirla in un momento reale tra loro due, all’interno di una conversazione che una regista avrebbe realmente potuto avere con una potenziale attrice.
Ma il film in cui Maxine vorrebbe recitare è il sequel di uno slasher intitolato The Puritan, quindi…
TW: (Ride) Niente è casuale nel film. Perché questa trilogia ha colpito così tante persone? Mia, ti chiedo scusa perché hai detto che per te questi film non sono horror, sono drammi… ma ecco, credo che abbiano avuto questo successo perché sono film di genere che escono in un momento in cui i film horror…
MG: Aspetta, ho detto che non sono film horror?
In alcune interviste hai contestato questa etichetta.
MG: Oh, no, sono decisamente film horror! Forse ha a che fare con il fatto che improvvisamente vengo chiamata “attrice horror”? Credo che quello che stavo cercando di dire è che quando analizzo un personaggio e scavo nella sceneggiatura durante la mia preparazione, il modo in cui un film viene etichettato è davvero l’ultima cosa a cui penso. E quando lo sto girando, non mi piace catalogare quello che sto facendo in un solo modo. Non cerco di fare una performance da “film horror”. Cerco solo di dare tutta me stessa per risultare vera. Tutto qui.
Grazie per aver chiarito questo punto. Ma avete pensato al motivo per cui questa trilogia ha entusiasmato non solo i fan del genere, ma anche spettatori che normalmente non amano gli horror?
TW: Sai, stiamo vivendo tempi duri. È strano… (fa una pausa). Voglio dire, non so come sia per te, ma la quantità di costumi di Halloween basati su questi film che abbiamo creato in pieno lockdown è surreale. Qualche sera fa abbiamo fatto una proiezione al Vista di Los Angeles, un doppio spettacolo di X e Pearl. Abbiamo finito per presentare a sorpresa il nuovo film in anteprima. E in platea c’era un sacco di gente vestita come i personaggi del film. C’erano un sacco di Maxine e moltissime Pearl.
MG: Sono a Toronto da qualche mese per le riprese di un film e la gente viene sempre a mostrarmi i tatuaggi di Pearl che ha sul braccio. Un sacco di gente. È incredibile.
TW: Io uso social media, e ho visto tutti i meme su questi film. So quello che hanno generato. Ma non sono in grado di capire perché siano così amati,. Se dovessi azzardare un’ipotesi, forse è perché tutti e tre questi film “sanno” di cinema. Sono film fatti per persone che amano il cinema. E se amate il mestiere del regista, le performance degli attori, la riflessione sul tempo, qualunque sia la vostra passione, questa è a tutti gli effetti una serata al cinema come quelle di una volta, e vi abbiamo dato tre film molto diversi tra loro che vi faranno sentire così. O forse è solo quello che spero. È questo che mi ha spinto a volerli fare, a prescindere da tutto.